Bar Atei
Leggendo il suo articolo nel mio piccolo bar di periferia volevo accostare alla sua analisi un vecchio modo di dire: «non vi è migliore Architetto del Signor della Casa». Già Teofilo Gallaccini nel suo Trattato “Sopra gli errori degli Architetti”, nel XVIII secolo1 ammoniva sull’interpretazione funesta di questo «proverbio volgare», ritornando ai dati da lei citati, in Germania l’80% delle case private sono costruite senza l’intervento del progettista1 in Italia si può facilmente immaginare che la media sia più alta, quindi la robba-casa ha anche il suo capo costruttore (architetto).
Mi sono chiesto: ma qual è la casa “archetipo” per il “Signor della casa”? Francesco Dragosei immagina nel suo libro “Lo squalo e il grattacielo”3 di far «pensare una casa che non sia la casa in cui viviamo» e dalla sua indagine esce fuori una strana casa che non «abita il nostro continente»: libera senza barriera (al limite una staccionata) / prato / bici buttata in un angolo / altalena pendente da un grande albero / cassetta della posta con bandierina rossa / breve vialetto / casa monofamiliare massimo a due piani di legno bianca / finestre a ghigliottina / rivestimento di assicelle sovrapposte in embrice / porta a ribalta per l’auto / malloppo di giornale del mattino / porta bianca con oblò / soggiorno grande / divani a elle / lungo tappeto / tavolinetto basso / televisore ad angolo / lampada con poltrona comoda / cucina vasta / frigorifero immenso / davanzale con torta di mele / scala con pilastrini classicheggianti / stanze da letto ingombre di cose con trapunte fatte di toppe / bandierine triangolari / scrittoio a saracinesca / mazza da baseball / guantone enorme, a questo campionario bisogna aggiungere gli oggetti tecnologicamente avanzati dell’oggi.
L’architetto per poter “speculare” ha bisogno essenzialmente del committente “robba-casa” e già, in un primo approccio empatico con esso, deve dedurre le basi del suo intervento. Le linee programmatiche vengono dettate sempre dall’immaginario “archetipo” del “Signor della casa”.
In una seconda fase bisogna “fingere” (secondo l’etimologia latina fingo: costruire, creare, fabbricare, foggiare, modellare, scolpire, plasmare, figurare, rappresentare, trasformare, rinnovare, immaginare, supporre, credere, pensare) e schizzare una “fabbrica” che abbia un senso per chi la commissiona.
Infine un’ipotetica terza fase arredare (il vocabolario della crusca alla parola arredare indica: provvedere al necessario) implica uno sforzo notevole perché capire i limiti del “necessario” del futuro abitante è un compito ardito, disposto spesso a sacrificare lo spazio dell’eccellenza (se possiamo utilizzare questo termine) per qualche suo sogno “vitale”, non di rado prelevato dal campionario della quotidianità più prossima o televisiva (TV XXX, grande salotto di cristallo, cucina isola/penisola, bagno idromassaggio, tutto il finto rustico del piazzista ecc.) che diventa “essenzialmente” lo spazio del progetto, quindi il luogo della speculazione architettonica.
Ma il problema non risiede solo nel “committente”, ma anche in chi deve far circolare le idee, costoro (non tutti, ma i pochi esclusi non fanno “audience”, brutta parola ma rende meglio l’idea) occupano le stanze delle decisioni, ma sembrano perennemente distratti a:
- puntualizzare su ogni virgola, sui progetti degli “immigrati” (Cfr. Ara Pacis di Richard Meier, MAXXI di Zaha Hadid, GNAM di Diener & Diener, auditorium di Ravello di Oscar Niemeyer, nuova loggia degli Uffizi di Arata Isozaki, ecc.);
- scrivere una lettera ai presidenti della Repubblica/Consiglio “alquanto ambigua” sulla fase di stallo delle grandi opere in Italia e su una presunta invasione straniera;
- polverizzare le università di architettura e creare nuovi “impiegati-burocrati” senza nessun cenno alla ricerca;
- votare leggi di condono ogni volta che necessitano;
- costruire città banali e senza senso (perché è indubbio che i progetti vanno firmati dai tecnici e non dai committenti); ecc..
Mi sono chiesto: ma qual è la casa “archetipo” per il “Signor della casa”? Francesco Dragosei immagina nel suo libro “Lo squalo e il grattacielo”3 di far «pensare una casa che non sia la casa in cui viviamo» e dalla sua indagine esce fuori una strana casa che non «abita il nostro continente»: libera senza barriera (al limite una staccionata) / prato / bici buttata in un angolo / altalena pendente da un grande albero / cassetta della posta con bandierina rossa / breve vialetto / casa monofamiliare massimo a due piani di legno bianca / finestre a ghigliottina / rivestimento di assicelle sovrapposte in embrice / porta a ribalta per l’auto / malloppo di giornale del mattino / porta bianca con oblò / soggiorno grande / divani a elle / lungo tappeto / tavolinetto basso / televisore ad angolo / lampada con poltrona comoda / cucina vasta / frigorifero immenso / davanzale con torta di mele / scala con pilastrini classicheggianti / stanze da letto ingombre di cose con trapunte fatte di toppe / bandierine triangolari / scrittoio a saracinesca / mazza da baseball / guantone enorme, a questo campionario bisogna aggiungere gli oggetti tecnologicamente avanzati dell’oggi.
L’architetto per poter “speculare” ha bisogno essenzialmente del committente “robba-casa” e già, in un primo approccio empatico con esso, deve dedurre le basi del suo intervento. Le linee programmatiche vengono dettate sempre dall’immaginario “archetipo” del “Signor della casa”.
In una seconda fase bisogna “fingere” (secondo l’etimologia latina fingo: costruire, creare, fabbricare, foggiare, modellare, scolpire, plasmare, figurare, rappresentare, trasformare, rinnovare, immaginare, supporre, credere, pensare) e schizzare una “fabbrica” che abbia un senso per chi la commissiona.
Infine un’ipotetica terza fase arredare (il vocabolario della crusca alla parola arredare indica: provvedere al necessario) implica uno sforzo notevole perché capire i limiti del “necessario” del futuro abitante è un compito ardito, disposto spesso a sacrificare lo spazio dell’eccellenza (se possiamo utilizzare questo termine) per qualche suo sogno “vitale”, non di rado prelevato dal campionario della quotidianità più prossima o televisiva (TV XXX, grande salotto di cristallo, cucina isola/penisola, bagno idromassaggio, tutto il finto rustico del piazzista ecc.) che diventa “essenzialmente” lo spazio del progetto, quindi il luogo della speculazione architettonica.
Ma il problema non risiede solo nel “committente”, ma anche in chi deve far circolare le idee, costoro (non tutti, ma i pochi esclusi non fanno “audience”, brutta parola ma rende meglio l’idea) occupano le stanze delle decisioni, ma sembrano perennemente distratti a:
- puntualizzare su ogni virgola, sui progetti degli “immigrati” (Cfr. Ara Pacis di Richard Meier, MAXXI di Zaha Hadid, GNAM di Diener & Diener, auditorium di Ravello di Oscar Niemeyer, nuova loggia degli Uffizi di Arata Isozaki, ecc.);
- scrivere una lettera ai presidenti della Repubblica/Consiglio “alquanto ambigua” sulla fase di stallo delle grandi opere in Italia e su una presunta invasione straniera;
- polverizzare le università di architettura e creare nuovi “impiegati-burocrati” senza nessun cenno alla ricerca;
- votare leggi di condono ogni volta che necessitano;
- costruire città banali e senza senso (perché è indubbio che i progetti vanno firmati dai tecnici e non dai committenti); ecc..
Da questo sembra che a quelli privi di audiotel (altra brutta parola, ma per assurdo sono quelli che decidono) non rimane che l’abuso per poter “fingere” di avere un mestiere con qualche valenza, per me questo è praticabile in due sensi: il primo è quello di uso comune; il secondo, quello auspicabile, è AB-(nella sua accezione latina “indica il luogo o la persona da cui si proviene o ci si allontana o ci si differenzia”)-USO. Negli stessi anni indicati da lei come “la stagione del futuro dell’abitare” Gianni Rodari annotava: «avevo in mente di tutto fuor che la scuola. […] Raccontavo ai bambini, un po’ per simpatia un po’ per la voglia di giocare, storie senza il minimo riferimento alla realtà né al buonsenso»4.
Ah! Dimenticavo come dice(va) Giorgio Gaber «non si fuma nella stanza del bambino» e per poter giocare con lo spazio c’è bisogno che BARIATE.
Abusivo.Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA
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1Teofilo Gallacini, Trattato sopra gli errori degli architetti, Venezia, 1767. Edizione elettronica del 9 novembre 1999 sulla biblioteca on-line del sito LibroMania.it.
2Christian Schittich, Atlante delle case unifamiliari, Utet, Torino, 2002, p. 9.
3Francesco Dragosei, Lo squalo e il grattacielo. Miti e fantasmi dell'immaginario americano, Il mulino, Milano, 2002.
4Gianni Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 2001.
1Teofilo Gallacini, Trattato sopra gli errori degli architetti, Venezia, 1767. Edizione elettronica del 9 novembre 1999 sulla biblioteca on-line del sito LibroMania.it.
2Christian Schittich, Atlante delle case unifamiliari, Utet, Torino, 2002, p. 9.
3Francesco Dragosei, Lo squalo e il grattacielo. Miti e fantasmi dell'immaginario americano, Il mulino, Milano, 2002.
4Gianni Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 2001.