di Salvatore D’Agostino
Non-luoghi, superluoghi, iperluoghi, junkspace, generic city, anticittà, villettopoli, ecomostri, aree abusive, centri storici vs periferie sono i neologismi che la teoria urbana, in questi ultimi decenni, ha sentito l’urgenza di utilizzare per uscire fuori dagli ambiti specialistici e comunicare POP. Creando un’infinità di gadget lessicali per definire problemi complessi usando parole immediate e spendibili in pochi secondi.
Parole che il giornalismo urbano ha stereotipato trasformando la complessa geografia civica e sociale in luoghi tematici piatti e uguali. Una sorta di demenza teorica urbana che ha distrutto, se non annullato, il complesso rapporto dei luoghi con l’abitare, poiché «non si può parlare del mondo come se fosse tutto uguale» osserva Walter Siti1, non si può più parlare di luoghi e città usando tautologie critiche rassicuranti POP senza camminare a piedi e con gli occhi aperti.
Un camminare a piedi con gli occhi spalancati che ho ritrovato in un articolo2 di Mario Fillioley. In questi anni, Fillioley, ha percorso migliaia di volte la tratta che da Siracusa lo portava nella sua villetta abusiva di famiglia a pochi chilometri da piazza Duomo. Questo più che decennale andirivieni gli ha permesso di cogliere i cambiamenti che da A (villetta status symbol per i locali) si sta trasformando in B (luogo di turismo globale). Un mutamento che il teorico urbano POP avrebbe sintetizzato con le parole anticittà, abusivismo, villettopoli.
Non-luoghi, superluoghi, iperluoghi, junkspace, generic city, anticittà, villettopoli, ecomostri, aree abusive, centri storici vs periferie sono i neologismi che la teoria urbana, in questi ultimi decenni, ha sentito l’urgenza di utilizzare per uscire fuori dagli ambiti specialistici e comunicare POP. Creando un’infinità di gadget lessicali per definire problemi complessi usando parole immediate e spendibili in pochi secondi.
Parole che il giornalismo urbano ha stereotipato trasformando la complessa geografia civica e sociale in luoghi tematici piatti e uguali. Una sorta di demenza teorica urbana che ha distrutto, se non annullato, il complesso rapporto dei luoghi con l’abitare, poiché «non si può parlare del mondo come se fosse tutto uguale» osserva Walter Siti1, non si può più parlare di luoghi e città usando tautologie critiche rassicuranti POP senza camminare a piedi e con gli occhi aperti.
Un camminare a piedi con gli occhi spalancati che ho ritrovato in un articolo2 di Mario Fillioley. In questi anni, Fillioley, ha percorso migliaia di volte la tratta che da Siracusa lo portava nella sua villetta abusiva di famiglia a pochi chilometri da piazza Duomo. Questo più che decennale andirivieni gli ha permesso di cogliere i cambiamenti che da A (villetta status symbol per i locali) si sta trasformando in B (luogo di turismo globale). Un mutamento che il teorico urbano POP avrebbe sintetizzato con le parole anticittà, abusivismo, villettopoli.