26 novembre 2008

Antonio Quistelli una matita sottile

Wilfing Architettura ospita un ricordo dedicato all'architetto Antonio Quistelli (Napoli 26 febbraio 1929 - Roma 8 novembre 2008)
Dal Devoto-Oli: Ricordo derivato di cor cordis 'cuore' in quanto dagli antichi era ritenuto sede della memoria.
Ed è proprio nello spirito di WA essere una sede di memorie.


Mail di Isidoro Pennisi del 22 novembre 2008 12.46
«
Ho riletto quella che può definirsi una "orazione funebre", che ho esposto durante il funerale di Antonio [...] Certo, è retorica. ma secondo me tocca diverse questioni di attualità che possono essere importanti e frutto di discussione. La retorica, in fondo, è strumento di comunicazione antico e nobile quando non diventa demagogia a buon mercato. Il documento, nel suo complesso, è inedito, e mi farebbe piacere che diventasse ancora più pubblico, esattamente in questa versione.»

Da Isidoro Pennisi ad Antonio Quistelli - Roma, 10 Novembre 2008, Chiesa di S. Maria del Sacro Cuore.

Le parole che io oggi ho il dovere di trasmettervi non sono di nessuna utilità per Antonio Quistelli e la sua anima. Le parole che si declamano di fronte ad un feretro sono parole che utilizzano la più grave delle occasioni di una esistenza per parlare ai vivi: a quelli che restano e ancora debbono misurarsi con la vita. E’ così da sempre. Chi lascia il tempo, lascia sempre qualche cosa in sospeso; qualche cosa che deve compiersi attraverso lo sforzo e le giornate di chi continua a vivere. Chi muore ha solo questa possibilità per rimanere tra i vivi: che qualcuno continui, che il mondo vada avanti, che il tempo continui a scorrere. Antonio Quistelli, da oggi, è il passato. Ognuno di noi, nel suo segreto e intimo spazio dedicato agli affetti, può fare i conti con lui e con i legami intercorsi. Certo è, che la vera sofferenza, il dolore indescrivibile a parole, oggi non mi appartengono. Non si può millantare una cosa che non si ha il diritto di sentire. Dolore e sofferenza, in questo momento appartengono ai suoi due figli, alla sorella, ai nipoti, e in generale a tutte le persone che con lui hanno avuto relazioni radicalmente affettive e ricche di tempo: giorni, mesi, anni. Antonio Quistelli ha avuto l’onore e l’onere di una vita pubblica che supera, non tanto in qualità ma in intensità e tempo consumato, quella privata. E’ un fatto. Un po’ per naturale ambizione umana, ma soprattutto per educazione, ha obbedito al tempo storico e alle occasioni, e non si è tirato indietro, diventando conseguentemente un protagonista del suo tempo. Il fatto che lui abbia concluso il suo compito in questi giorni, richiamato probabilmente ad altri incarichi, è una constatazione che si presta a delle considerazioni che non possono essere sottaciute.

Volubilis, Marocco (16 Aprile 1987)*

I suoi occhi hanno visto, come ultime fotografie
da portare via con sé, un Paese e una comunità in profonda difficoltà. In difficoltà materiale, certo, ma soprattutto in difficoltà ideale. Un Paese che non sembra avere più le forze per reagire non tanto di fronte ad estemporanei e accidentali provvedimenti legislativi, ma di fronte all’incapacità di darsi un obiettivo posto al di la dell’orizzonte visibile.
Antonio Quistelli, al contrario, per sua fortuna e per via della diversa natura umana e intellettuale che hanno contraddistinto la generazione cui appartiene, ha operato in gioventù e nella sua maturazione, all’interno di uno sforzo di riedificazione civile ed etica di un Paese che usciva da una delle sue più spregiudicate avventure della sua pur giovane storia di popolo. Antonio Quistelli ha fatto parte di una classe dirigente e di una borghesia che oltre a godere di una posizione ha ripagato il proprio Paese con uno sforzo e un servizio che, guardando le cose dal nostro presente, sembra straordinario e del tutto anomalo. In lui è presente una precisa e rara qualità pubblica, che riscatta gli eventuali, umani, punti di flesso privati. La qualità di chi accetta di servire il suo tempo per quello che esso è, e non per ciò che si vorrebbe, egoisticamente, che fosse. Per questo profondo convincimento, per ubbidire al richiamo del suo tempo, ha rinunciato a dedicarsi completamente alla professione dei suoi sogni, alla scuola che idealmente desiderava, ad inseguire le figure di un Pantheon personale che conformano, spesso, un mondo ideale, per compromettersi e mettersi al servizio della comunità storica effettiva: per come questa è, e per come si incarna nella storia del tempo che ci tocca in sorte di vivere. Servire la propria comunità, lo Stato, vuol dire questo, e vuole dire, soprattutto, riuscire a tenere sullo stesso parallelo le ambizioni personali con quelle di una comunità, sciogliendo la propria biografia dentro quella collettiva.

Isola di File, Egitto (9 settembre 1987)*

Preside di una Facoltà di Architettura1, Direttore di Dipartimento2, Presidente del Consiglio d’Amministrazione, oltre che Rettore di un Ateneo posto nel cuore del Mezzogiorno del nostro Paese, ha ricoperto tutti questi ruoli attingendo al suo sapere d’architetto e alle sue indubbie capacità di progettista. Sapere e capacità di chi sa bene come e perché comporre in un solo disegno, in maniera innaturale e non prevista, elementi eterogenei e apparentemente non riconducibili a fattore comune. Ha ricoperto tutti questi ruoli credendo in una precisa, classica, mediterranea interpretazione della Democrazia, dove il concetto di parità tra gli individui, emancipa e rende più maturo e realista il sogno illuminista e infantile dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Ha ricoperto tutti questi ruoli avendo fiducia nel tempo e nella potenza del progetto. E’ il progetto, infatti, a fare si che intere generazioni, una dopo l’altra, una sopra l’altra, abbiano la possibilità di raggiungere obiettivi alti, nuove frontiere, altrimenti improponibili se pensati all’interno del misero arco biologico che la vita ci concede. Antonio Quistelli sa bene che obiettivi alti e nuove frontiere non si raggiungono senza la consapevolezza dei debiti contratti con le persone incontrate negli incroci ventosi della vita. Le “cattive compagnie”, da ragazzo, i suoi maestri, da giovane, i suoi colleghi nell’avventura di una vita sullo Stretto di Messina, da uomo. Flora Borrelli, soprattutto; sua compagna di vita e d’aspirazioni, che, come lui e insieme a lui, ha creduto che la formazione e il trasferimento organico del sapere, sia già, e senza nulla aggiungere, il senso di una vita ben spesa. Cosa lascia in sospeso Antonio Quistelli? Tante cose, troppe in rapporto a ciò che sino a qualche anno orsono si poteva minimamente immaginare o pensare.
Lascia il proprio Paese, a cui ha dato e da cui ha ricevuto tanto, tra le mani di una classe dirigente, che qualunque sia la sua collocazione politica ed ideale è sempre del tutto inadeguata. Una classe dirigente che lui stesso ha contribuito a formare e selezionare.
Rospi risvegliati dal bacio fatato di una storia e riformati in Principi: questa era la sua spiegazione. Forse, in maniera più veritiera, persone destinate invece a seguire la sorte dei cavalli lipizziani che nascono bianchi e muoiono neri. Lascia il mestiere cui ha dedicato intelletto e talento in uno stato completamente anacronistico, lui che ha scritto, rivolgendosi a chi pensava di iscriversi ad una Facoltà di Architettura, queste esatte parole: ".... A chi volesse fare l'architetto bisognerebbe chiedere e dire: ebbene, sapete disegnare? Può essere importante: il "disegno" sarà una lingua che dovete conoscere. Pensate di saper attingere all'immaginario e insieme praticare la concretezza? E' importante. Siete in grado di dare a voi stessi l'autonomia della vostra soggettività e servirvene per interpretare la collettività? Le vostre mani sanno "fare" le cose? Riuscite a vedere gli uomini dietro i segni del mondo materiale, e credere che valga la pena di porre voi stessi e le vostre capacità al loro servizio? Forse, se è così, potete pensare di avventurarvi in un mondo che potrà conquistarvi, ma non sempre compensarvi..."

St. Denis, Francia (25 settembre 1992) *

Le opere che ha realizzato o solo pensato non si genuflettono di fronte alle caratteristiche superficiali di un'epoca, o ad una delle tante avanguardie. Non azzerano il loro compito appiattendosi sulle sole istanze figurative. Le sue opere hanno provato, al contrario, in maniera strategica, a dare un senso alle trasformazioni che si è chiamati a produrre nello scenario dell'artificiale e hanno mirato a dare soluzioni che sono sempre di tutt'altro genere da quelle che si risolvono nell’inserire una nuova ed originale figura nel mondo. E' la ricerca di bellezza reale, quella, come ricorda Cacciari, che si traduce 'kallon' e non beautiful, a far crescere l'opera e a farla transitare dall'idea al reale. Bellezza che è cocciuta ricerca d'armonia tra le cose che l'uomo è chiamato a produrre e inserire nel mondo: un disegno. Questo tipo di ricerca, quando ha valenze del genere, destituisce di fondamento il destino del singolo atto, altamente caratterizzato, che antepone il suo modo d'essere alla trama in cui s'inserisce, o la propria visione del mondo al mondo per com'é, effettivamente. Lascia la scuola di architettura e la struttura universitaria che ha contribuito a realizzare, e nei confronti delle quali ha forse dedicato più sforzi di quanto sia giusto chiedere ad un essere umano, in una situazione che la vede coinvolta, senza capacità di distinzione, all’interno della crisi evidente del sistema universitario del nostro Paese. La Berkley del Meridione3, secondo una definizione dell'epoca, nel tempo è diventata Ateneo, ed è, oggi certamente qualcosa di diverso e certamente di meno, in rapporto alle aspirazioni che nutrirono quei momenti fondativi. Quest'Istituzione però esiste, e questa è la cosa più rilevante. Esiste, all'interno di un panorama che è tutt'ora difficile, in una situazione in cui essa però rimane una delle poche realtà che continuano ad avere il compito di portare avanti la realizzazione di quelle condizioni proprie al riscatto e la modernizzazione effettiva di questa realtà. Coinvolto in questo progetto politico e culturale, a sua volta Antonio Quistelli ha coinvolto interi brani di una generazione di uomini e donne, in cui ha creduto: ed ha fatto bene. In qualsiasi caso. Costruire, infatti, è opera grave e difficile, e sarà il tempo, come sempre, a trarre le conclusioni di questa storia, a giudicare l’operato d’ognuno. E’ chiaro, però, che queste persone, compreso me stesso, che godono del privilegio di operare in questa struttura universitaria, soprattutto in questo momento storico debbono decidere se prestare il petto o le spalle al proprio tempo; debbono decidere se continuare a coltivare una biografia personale o se è il momento di trasferire tempo ed energie verso la riabilitazione di una biografia collettiva; debbono decidere, in sostanza, se provare ad essere proporzionati allo sforzo che occorre per portare a compimento tutto quello che Antonio Quistelli ed altri hanno lasciato in sospeso, oppure continuare a ritagliarsi uno spazio vitale, anche di rilievo, esclusivamente utilizzando questa struttura. Perché una cosa posso dire con certezza. Io a lui ho sempre detto che l’occasionale incontro che mi ha permesso di conoscerlo e di condividere qualche anno di vita, è nulla rispetto alla vera fortuna che ho avuto nel godere, insieme a tantissimi altri, del suo lavoro e del suo impegno, della sua intelligenza e della sua dedizione, offerte a tutti, indistintamente e indirettamente. La scuola che io ho frequentato in un momento della mia vita, il suo clima, le sue condizioni, la particolare forma di coinvolgimento educativo, sono per me più importanti del rapporto personale con lui. Anche se non l’avessi conosciuto, come a tantissimi altri è capitato, il suo contributo alla mia formazione e alla mia vita sarebbe stato identico, o quasi. Il conoscerlo, in sostanza, è stato ininfluente rispetto alla capacità di onorare la vera qualità che io credo vada riconosciuta alle persone come lui: farsi carico dei destini collettivi vuol dire rinunciare, con dolore, a farsi carico anche di quelli privati e personali. Chi non capisce o non vuole accettare questa dura e tragica legge della nostra vita in cui non è mai possibile servire due padroni esigenti, non può apprezzare in maniera compiuta una figura come quella di Antonio Quistelli. Alcune importanti vittorie, quindi, personali e pubbliche, ma moltissime sconfitte. Questo è il destino di chi preferisce avere ragione invece che utilizzare le circostanze per come vengono, piegandole a proprio favore. Questo è il destino di chi preferisce abituarsi a perdere molte volte invece di accontentarsi e rassegnarsi in partenza a vincere poco.
E’ soprattutto questo il significato degli ultimi anni della sua vita.
Come sempre, arriva allora il momento dei saluti. Il momento in cui è necessario tagliare l’ultimo filo che ancora adesso, qua dentro, ci tiene legati alla sua figura, al suo volto, alla sua voce, colta e partenopea. Per chi crede che da qui inizia un avventura nuova come per chi crede che qui si chiuda ogni avventura, io non ho parole probanti da declamare, che possano darci sollievo o certezze. Il fatto che ritengo evidente è che la cosa che chiamiamo morte fa parte di questo fiume che è vita che ad un certo momento si ingrotta e sparisce alla vista. Tanto poco viviamo e chissà quanto tempo aspettiamo per nascere e poterlo fare: per questo, forse, il poco tempo a nostra disposizione ha così tanto valore. Che ti sia lieve la terra, Prof. Antonio Quistelli, e buona fortuna.
Isidoro Pennisi

Come usare WA fsdafrdasfsdafdsafdasfdsafdsafdsafdsafdsafdsafdsfghsfCos'è WA

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1Di Reggio Calabria, dal 1976 al 1989.
2Dipartimento di Scienze Ambientali e Territoriali dell'Università di Reggio Calabria, dal 1989 al 1995.
3
In riferimento all'Università di Architettura "Mediterranea" di Reggio Calabria. A tal proposito una riflessione andrebbe fatta, in merito allo stato odierno delle Università di Architettura in Italia, Antonio Quistelli è stato uno degli ideatori della prima facoltà di esportazione da Roma a Reggio Calabria ma non credo il precursore delle facoltà diffuse/dequalificate a cui stiamo assistendo. A mio avviso, una riflessione che andrebbe vagliata da persone intelligenti e libere e non dalle gerarchie universitarie o da esponenti politici. [N. d. R. ]
Una prima risposta:
Mail di Isidoro Pennisi del 25 novembre 2008 16.49
«Inoltre, la storia della scuola di Reggio, se proprio vuoi sapere come sono andate le cose, è una storia calabrese. La facoltà nacque prima che arrivassero Quaroni e Quistelli, e fu una misura di
compensazione politica e sociale (insieme alla Liquichimica di Saline, le Officine Omeca) della scelta di Catanzaro capoluogo. Quaroni, poi, fu nominato presidente del comitato tecnico, e di li inizia un'altra storia».

*Le immagini sono state tratte da: Antonio Quistelli, La matita sottile (Taccuini di viaggio), Gangemi, Roma, 1994

2 commenti:

  1. Raccolgo e inoltro una cartolina di Renato Nicolini sull'Università di Reggio Calabria pubblicata sulla presS/Tletter n.34-2008.

    Cartolina Reggio Calabria

    Che Fuksas sia, più che un archistar, un populista alla Maramaldo? Nel senso che se la prende con la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria piuttosto che con quelle di Roma, con Ligini che è morto piuttosto che con Renzo Piano… La Facoltà di Reggio è stata l’ottava facoltà di architettura italiana, dopo Roma, Milano, Firenze, Torino, Napoli, Palermo e Venezia; è nata su impulso di Ludovico Quaroni, su un progetto didattico di sperimentazione di profili professionali diversificati che ridefinissero la figura dell’”architetto”; non so se Andreotti sottoscriverebbe che a parlar male degli assenti non si sbaglia mai.

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  2. "...siamo un punto effimero, in un fottutissimo cielo stellato!" AChe?!?

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