24 agosto 2009

0027 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Linea di Senso di Robert Maddalena

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Linea di Senso di Robert Maddalena

Solitamente valuto le opere tanto che, ultimamente, tendo a dimenticare i nomi degli autori ragion per cui dovrei mescolare almeno una ventina di architetti, shakerarli e versarli sul tavolo, ne uscirebbe una cacofonia e, probabilmente, è il modo in cui intendo l'architettura e il paesaggio, però mi hai chiesto due nomi e quindi mi sforzo.


Gilles Clément, non tanto per i risvolti formali dei suoi interventi ma per aver stabilito tre concetti: terzo paesaggio, giardino in movimento e giardino planetario. Il primo legato all'importanza della biodiversità che si genera negli anfratti che l'uomo lascia a se stessi; il secondo legato alla vita casuale e incidentale del paesaggio (per la prima volta il paesaggista decide di non dominare la natura); il terzo relativo alla consapevolezza che finalmente s'è fatta strada di esser tutti abitanti dello stesso giardino e del dovere di mantenerlo pena la nostra sopravvivenza.

Alla seconda domanda ti rispondo BM: a differenza di Clèment la natura la dominava, eccome. Guai lasciarla a se stessa. Orti coltivati, teli stesi per raccogliere le acque piovane, wc improvvisati in situ con relativa raccolta del concime organico, capanno a due piani perché... sai com'è... è divertente sparare agli uccelli dall'alto. Avessi imparato anche solamente il venti per cento della sua capacità di dominare la natura! (Non cercare BM su internet, non lo trovi, era mio padre).

Se mi chiedi perché ti parlo di paesaggisti e non di architetti ti rispondo che prediligono le relazioni tra le cose piuttosto che le cose stesse
e penso (e spero) che nei prossimi decenni le relazioni prendano sempre di più il sopravvento pena la sopravvivenza del nostro piccolo giardino planetario.

Intersezioni --->OLTRE IL SENSO DEL LUOGO

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11 commenti:

  1. Robert,
    aggiungo il quarto concetto ‘I giardini di resistenza’ dove l’insieme degli spazi pubblici e privati contribuiscono, senza l’azione politica, a preservare il comune giardino planetario. Invece del principio di concorrenza si parla di divisione e incremento delle conoscenze tra i diversi attori della terra.
    Link: http://www.gillesclement.com/cat-jardinresistance-tit-Les-Jardins-de-resistance

    Sbagli,Gilles Clément è anche architetto, si è auto-costruito in due anni la sua casa a la Vallée.
    Interessante il suo approccio progettuale e le descrizioni degli animali che vivono negli interstizi della casa.

    «Con dei contadini, per esempio, a volte ho dubitato che sappiano che cosa è un paesaggio, un albero. Sì. Le sembrerà strano: ho fatto a volte delle passeggiate, ho accompagnato un fittavolo che andava a vendere le patate al mercato. Egli non aveva mai visto la Sainte-Victoire. Sanno che cosa è stato seminato qui, là, lungo la strada, che tempo farà domani, se la Sainte-Victoire è incapucciata oppure no, lo sentono dall’odore, come gli animali, come un cane sa che cosa è questo pezzo di pane, soltanto secondo i loro bisogni, ma che gli alberi siano verdi, e che questo verde è un albero, che questa terra è rossa e che questi rossi franosi sono colline, io non credo, realmente, che la maggior parte di loro lo sentano, lo sappiano, al di là del loro inconscio utilitario.» Cezanne descrizione di Sainte-Victoire

    Questa descrizione di Cezanne fa riflettere, ci dice che il tema tanto amato dagli architetti ‘il paesaggio’ è solo una visione estetica/concettuale, parafrasando questa citazione possiamo azzardare l’ipotesi che per la maggior parte della gente l’abitazione (terra) non coincide con l’architettura (estetica).

    Anche se ho non ho conosciuto BM posso immaginare la sua grande ostinata sapienza.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. faccio qui i miei semplici complimenti al tuo "linea di senso" che seguo di tanto in tanto... e per quanto tu dici sul fatto che "prediligi le relazioni tra le cose più che le cose"...(utile input ad una diversa visione dell'architettura)... e parlando del tuo, mi hai fatto ricordare come era così anche il mio, di padre. ciao marco+pasian

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  3. Sì, so che c’è anche il quarto concetto ma mi interessavano soprattutto i primi tre. Anzi, pure dei primi tre mi interessa soprattutto il giardino planetario e il terzo paesaggio. Il primo è, per fortuna, un concetto che sta prendendo piede nella mentalità di molti mentre il secondo può essere un modo per vedere il lato "positivo" di certi nostri insediamenti come può essere la città diffusa. Ovvio che c’è anche il rischio di giustificarla (così come col giardino di resistenza) e penso che sia un pericolo da evitare accuratamente ma che ci vuoi fare… sembra che tra qualche architetto sia persino preferibile la cacca-diffusa piuttosto che altri insediamenti magari sbagliati ma tuttora reversibili e correggibili (la città-diffusa padana allo stato attuale è, putroppo, irreversibile).

    Non penso sia sufficiente essersi autocostuito la propria casa per esser architetto… lo sarebbero milioni di nostri concittadini.

    Per quanto riguarda la questione che mi poni ti rispondo che sono appena tornato da Amsterdam e penso che gli Olandesi siano l’unico popolo del mondo contemporaneo (o moderno come lo si voglia chiamare) in cui paesaggio, architettura, ambiente e territorio sono la stessa identica cosa. C’è solo da imparare (e in fretta) da loro, soprattutto la loro capacità, appunto, di relazionarsi alle cose.

    Robert

    ps: ringrazio Marco

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  4. Robert,
    certo Clément non è un architetto era un nonsense per riflettere sulla cultura architettonica italiana.
    Io credo che ci sia un grado molto alto d’inconsapevolezza sui temi dell’architettura e un’intolleranza nei confronti degli edifici ‘contemporanei’.
    Come affermi l’Italia è autocostruita la maggior parte dei suoi abitanti è un architetto ‘consapevole’ (non esiste la modestia).
    Il compito dell’architettura è capire quest’atteggiamento molto italiano e non contrapporsi falsamente erigendo delle roccaforti per i soli addetti ai lavori.
    L’architetto italiano è spesso elitario e poco incisivo.
    A proposito dell’architettura olandese ti trascrivo alcuni brani tratti da Abitare n. 491, dell’interessante rubrica S.O.S., dove un’architettura ideata da un architetto non noto (in questo caso Antonio Russo e Gian Maria Sforza Fogliani) è commentata da architetti noti (in questo caso da Renzo Piano e Rem Koolhaas).

    Ecco il dialogo con Rem Koolhaas:
    «GMSF: È possibile che siano tracce di costruzioni, anche abusive…
    RK: Ho capito. Un po’ di italiano lo parlo, o quanto meno riesco a capire i concetti tipicamente italiani…
    […]
    GMSF: Per produrre l’aggetto del livello superiore, che crea un’ombra sulla facciata del piano terreno. Capisco che anche questa possa sembrare una scelta di natura formale…
    RK: No, guarda, non è ancora una critica, la mia. E adesso passiamo a una questione un po’ più crudele: mi domandavo se da voi in Italia finestre come queste sono retrò, nostalgiche o semplicemente rappresentano qualcosa che non è mai scomparso.
    […]
    GMSF: Qui c’è la cucina, che in verità ha, più che una finestra, una grande porta aperta verso il giardino.
    RK: Per me la questione sta in questi termini, al di là degli scherzi: ho un profondo amore per l’Italia, ma a volte faccio fatica a capire se le [sic] stato delle cose deriva da scelte precise o piuttosto da un retaggio di soluzioni che non sono mai state messe in discussione. Tutto ciò può avere senso, ma poterebbe anche non averlo. Queste vostre finestre sembrano venire dagli anni cinquanta.
    […]
    GMSF: Semplicemente, senza stare troppo a discutere, al posto della terza camera da letto abbiamo fatto uno studio. Cercare di convincere i committenti secondo me non serve più di tanto.
    RK: Credo che questa sia una grande differenza tra l’architettura italiana e quella dei paesi nordici. Forse voi non vi impegnate a fondo quanto noi nel rapporto con i committenti, considerate i progetti come fatti compiuti, mentre noi passiamo ore a negoziare un punto di vista, tra implacabili lamentele e infinite argomentazioni.
    […]
    RK: Hai qualche figura di rifermento tra gli architetti, qualche “eroe” che ammiri particolarmente? Hai usato la parola “ordinario”stai citando qualcuno?
    GMSF: Non amo in particolare qualche architetto, amo invece delle architetture. Ci sono edifici bellissimi, che appassionano indipendentemente dal loro autore.
    RK: Percepisco una dimensione “venturiana” in questo concetto della “non riconoscibilità”, una sensibilità alla Bob Venturi frammentata, o rifratta. La riconosco nel modello, e anche nelle piante del vostro progetto.
    GMSF: Se proprio devo fare un nome, penso a un italiano come Francesco Venezia. Mi piace il suo lavoro, pochi edifici eccezionalmente disegnati, ben costruiti, fuori dalle mode. Amo le sue piante perché sono fatte di geometrie, e non di forme.
    RK: Conosco il suo lavoro e lo apprezzo molto. È nelle mie corde, dal momento che, pur non condividendola, sono molto interessato alla dimensione estetica dell’architettura italiana.
    Fose [sic] è il caso di chiudere, che ne dite?»

    Robert forse non è il caso di chiudere qui, l’architettura italiana deve riflettere (e in fretta come dici tu) se il nostro paese autocostruito sia un valore o qualcos’altro.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. Forse non mi sono spiegato. A me dell’Olanda non interessa tanto il loro atteggiamento “moderno” nei confronti del linguaggio. Li ammiro per la loro capacità di progettare il proprio futuro e il proprio territorio. M’interessano i loro ultimi 150 anni di urbanistica e architettura. M’interessa che siano riusciti a mettere in pratica (meglio di altri) il modernismo e dire, 50-70 anni dopo, “forse abbiamo sbagliato qualcosa” e tornare a Berlage e alla scuola di Amsterdam (il Borneo e la nuova cittadina di 18000 abitanti che hanno appena finito ha fronti strada, corti e canali) senza però perdere per strada le soluzioni moderniste intelligenti, senza rinunciare alla sperimentazione tipologica e al mix di linguaggi, forme e spazi. Dando risposte alla richiesta di individualismo che si esplica nella richiesta di unifamiliari senza però mandare a quel paese l’intero territorio…

    Vista così, la polemica di Koolhas non mi interessa per nulla (tra l’altro la sua Kunsthalle è un capolavoro, ma di lui penso ciò che penso di Le Corbusier: un grande architetto, uno sbadato urbanista… e Le Corbusier era giustificato, lui no).

    Il problema per me è capire perché gli olandesi riescano a progettare il proprio futuro, noi no. 400 anni di modernità alle spalle? Sicuro… noi 50 solo. Acqua al collo che ti costringe a metterti d’accordo pena l’affogamento? Anche questo è un aiuto. Un po’ di sano protestantesimo mescolato al cattolicesimo che ha generato solidarietà sommata a moralità? Anche quello ci sta. Poi che altro? Boh… non so… Sicuramente un grande rispetto per la figura dell’architetto e dell’urbanista assieme ad un grande rispetto per chi abita da parte del progettista. A cui si unisce poi un 40% di edilizia pubblica a fronte del nostro misero 4%...

    E come credi che riescano a convincere i loro committenti della loro bontà delle soluzioni? Semplice… non hanno 100000 architetti con la lingua di fuori a cui fanno concorrenza qualche altra centinaia di migliaia di geometri e ingegneri di qualsiasi specializzazione… tu lo chiami elitarismo questo? Ovvio che uno dice: meglio che faccia come il cliente chiede sennò semplicemente cambia progettista. E poi, tu te le faresti mettere in pancia le mani da uno che non è laureato in medicina? Anzi… mi sa che nemmeno in bocca per curarti i denti te le faresti mettere, o no? Perché invece il territorio invece sì? Perchè tolleriamo che la nostra professione venga esercitata da uno qualsiasi? La qualità del territorio passa innanzitutto dal fatto di avere esperti che intervengono. E poi, scusami… non mi dire che non si può fare un buon progetto con archi, colonne e modanature, lo si può fare eccome, è semplicemente un linguaggio come un altro, sta nella nostra capacità di compositori ottenere buone e coerenti soluzioni architettoniche.

    Robert

    PS: mi fa piacere che sia stato citato Venezia, uno dei nostri migliori architetti.

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  6. Robert,
    credo che ti sia spiegato bene.
    Condivido la tua analisi:«A me dell’Olanda non interessa tanto il loro atteggiamento “moderno” nei confronti del linguaggio. Li ammiro per la loro capacità di progettare il proprio futuro e il proprio territorio».
    Stiamo riflettendo sul perché in Italia non c’è una maturità architettonica ma solo un incivile scempio che sia esso ‘abusivo’ o ‘coazione a ripetere di codici architettonici banal-sentimental-retrò-antico-rustico-belpaese’.

    Tu mi chiedi: « E poi, scusami… non mi dire che non si può fare un buon progetto con archi, colonne e modanature, lo si può fare eccome, è semplicemente un linguaggio come un altro, sta nella nostra capacità di compositori ottenere buone e coerenti soluzioni architettoniche».

    Perché no! Ricordo che Philip Johnson stanco della retorica utilitaristica di una deriva architettonica politica del moderno, costruì nella sua tenuta a New Canaan un gazebo di archi: «Grandi o piccoli, di pietra scolpita o di metallo fuso, con o senza volte, liberi come nel padiglione o inglobati nelle pareti piatte come nella Sheldon Art Gallery, gli archi sono fondamentalmente affascinati. Gli archi su un’isola in mezzo a un lago lo sono due volte. E gli archi in falsa scala ma purtuttavia veri, tre volte. Lunga vita agli archi, lunga vita alle bizzarrie». AA.VV. ‘Philip Johnson – La casa di cristallo’ Electa, 1996, p. 25.

    O la straordinaria biblioteca della ‘Tama Art University ‘di Toyo Ito a Tokyo che colonne! e che archi!

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    P.S.: Non condivido l’idea dell’architetto compositore, almeno io non lo sono.

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  7. Siamo fatti così...
    Noi Italiani non dovremmo essere così severi nel giudicare l'architettura spontanea o tradizionale del nostro (bel?) paese. L'Italia non è l'Olanda e non lo sarà mai (fortuna o disgrazia?).
    Lo spontaneismo, come il campanilismo, sono caratteri peculiari non modificabili del nostro (mostro?) popolo, fatto da 60 milioni di allenatori di calcio (59 milioni dei quali sono anche architetti!).
    Il fatto (fato?) poi che il 40% delle opere d'arte e delle meraviglie architettoniche antiche si trovi entro i nostri (sacri?) confini, non ci aiuta certo ad assumere mentalità moderniste.
    Certo che se fossi stato architetto e paraculo, avrei progettato io l'Expò di Milano, con murature a faccia vista e coppi rossi: sarei stato considerato da alcuni un imbecille e da altri un post-ultra-arci-uisp modernista!
    Ma sono solo un geometra, vile e 'gnorante...
    Saluti.

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  8. ---> Vil geometra,
    nessuna critica allo spontaneismo, anzi occorre indagare queste realtà evitando la visione estetica o sentimentale dell’architetto taumaturgico.
    Ritrovo nelle parole di Rem Koolhaas una sana analisi sulla nostra architettura:
    1) Prevalentemente auto costruita o rimaneggiata ovvero abusiva;
    2) Una progettazione prelevata spesso dal campionario sentimentale del bel paese, mi spiego citando una pubblicità del catalogo Emmalunga: «Il calore dello stile rustico toscano – Per chi ama la campagna e vorrebbe sentirne la genuinità ogni giorno a tavola, questo modello di cucina evoca la tradizione e la natura. Nasce per le case di campagna. Ma è un’ottima soluzione anche per arredare con leggerezza e funzionalità l’angolo taverna delle case di città». Come dice Rem Koolhaas «un retaggio di soluzioni che non sono mai state messe in discussione».
    3) Il committente è anche il progettista. Difficilmente l’architetto riesce a mediare con quest’ultimo. L’architettura non è il principio della progettazione ma solo il fine per realizzare la propria idea di casa. L’architettura è il risultato della visione non sempre ‘aperta e colta’ del committente. L’immagine della casa del committente è piena di luoghi comuni architettonici, difficilmente innovativa.
    4) Un postmoderno o postradizioanle popolare’ inconsapevole’ più che una decisone ‘architettonica’ .

    Hai ragione siamo un popolo strano di allenatori di calcio e architetti.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  9. Siamo fatti così (sequel)...
    Salvatore,
    il mio commento precedente, sebbene un po' troppo acido (venerdì pomeriggio a fine turno), non voleva certo tagliare le ali a chi apprezza il coraggio degli Olandesi Volanti. Anche a me piace deliziarmi gli occhi con modernità coraggiose (ammiro moltissimo Calatrava, Botta un po' meno ma è grande anche lui, su Piano dovrei aprire un discorso enciclopedico...) e seducenti linee controcorrente; volevo però solo ricordare che in Italia è tutto più difficile perchè il nostro paesaggio è completamente antropizzato oramai da millenni. Gli Olandesi, invece, hanno ancora enormi polders dove poter sperimentare ogni sorta di edificio o urbanistica. Ma tant'è, non voglio aprire discorsi sui massimi sistemi.
    Da qui le idee sul recupero dei centri in abbandono, centri che avrebbero ancora moltissimo da dire, ma la cui voce si sta spegnendo lentamente tra crolli, emigrazioni vicine o lontane, e lutti silenziosi.
    Recuperi coraggiosi dove si deve demolire ciò che non è salvabile (non sono partigiano del salvate tutto ad ogni costo), ma poi ricostruire con i dovuti contrasti e le armonie necessarie. Immagino la sede centrale di una megaditta non in un solito palazzone neocementista, ma diffusa in decine di uffici tecnologicamente e architettonicamente interconnessi tra loro, nel bel mezzo di un centro storico di un paesello del sud Italia.
    Queste soluzioni, uniche e peculiari come l'Italia stessa, sono una delle poche vie d'uscita dal cul-de-sac in cui si è cacciata l'architettura italiana.
    Un saluto a tutti.

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  10. Vil, dimenticavo una cosa: tutto ‘sto discorso non ha alcuna valenza, se non in minima parte, estetica. Non ha come obiettivo il conservare un bel paese… come potrebbe sembrare. Ha innanzitutto un obiettivo: soldi. Sì, soldi. Il loro territorio costa infinitamente meno della cacca-diffusa del lombardo-veneto. Meno infrastrutture, meno dissesti idrogeologici, meno burocrazia e tempi morti per tracciare una strada, meno sottoservizi… e via così. Sì, insomma, non certi dei cretini sono.

    Salvatore afferma che nessuno conosce la Salemi di Siza. Se giri per Amsterdam trovi vie intitolate a Cor Van Estereen a De Klerk a Berlage ecc ecc…

    Sarebbe stato da rispondere a Salvatore: non apprezzo un architetto in particolare ma l’intero ufficio tecnico di Amsterdam (ovviamente mettendolo tra i “non noti” in quanti tutti conoscono l’Olanda dei Volanti e non dei piedi per terra).

    Quando dico che bisogna imparare da loro, intendo che bisogna imparare questa loro cultura. Se mi chiedi perché non l’abbiamo imparata non so risponderti ma se vuoi una risposta molto semplice e stupida vai sul blog de-architecura (nome falsamente altisonante) ti risponderanno semplicemente: Le Corbusier! Eh? Facile, no? :-)

    Robert

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  11. ---> Robert,
    condivido è una questione di cultura (ti riporto lo steso pensiero formulato in un altro commento):
    siamo all’anno zero dell’architettura, prendiamone atto, tutto questo è avvenuto, adesso dobbiamo porci una sola domanda: «Come ricostruire la nostra Italia devastata dalle barbarie dei cementificatori e dagli architetti accademici da poltrona?».

    Parlare dell’influenza di Le Corbusier sull’Italia e come parlare di Mafia in TV.

    Per riprenderti dal tuo viaggio ti suggerisco questa lettura dello scrittore Gianni Biondillo, ecco l’incipit: «Non bisognerebbe mai fare una vacanza all’estero con i propri figli. È quello che sto pensando ora, di ritorno dalla Germania. Mai. È frustrante. Come faccio ora a spiegare alle mie due bambine perché ho deciso di farle crescere in una città come Milano?»
    Link: http://www.nazioneindiana.com/2008/09/15/urbanita-2/
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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