2 agosto 2010

0420 (finExTRA) 2 agosto 2010 ---> ARCHITETTURA ITALIANA [89] Cose che succedono (bis)

di Salvatore D'Agostino


«Ad uccidere 150 persone su 308 durante il terremoto dell'Aquila, fu il cemento «scadente». Dieci condomini si trasformarono in tombe per «errori di progetto e di calcolo delle strutture», «violazione delle norme antisismiche» e soprattutto «scadente qualità del calcestruzzo». Lo scrive il sostituto procuratore Fabio Picuti in una voluminosa memoria consegnata al giudice per le udienze preliminari dell'Aquila, pochi giorni fa. Un fascicolo istruito, in realtà, per chiedere il rinvio a giudizio dei vertici della Protezione Civile (con l'accusa di omicidio colposo per non aver valutato correttamente il rischio terremoto durante il periodo delle sciame sismico), ma che contiene all'interno anche un'analisi dei crolli del 6 aprile 2009».

Giuseppe Caporale, L'Aquila, la strage del cemento scadente, "Così ha ucciso metà delle vittime del sisma", La Repubblica, 1 agosto 2010. Link

2 agosto 2010

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14 commenti:

  1. Report da facebook

    Rossella Ferorelli:
    E, d'altra parte, anche ad Afragola crollano le palazzine. Ah, però loro avranno la stazione di Zaha Hadid.


    Francesco Alois:
    Finché si darà importanza prima di tutto al denaro, poi all'interesse ed infine agli affari propri, il cemento sarà sempre più scadente fino a diventare, ahimé, il male minore...
    P.S. La stazione di Zaha Hadid non si farà perché manca la pecunia. Resta solo l'immenso cantiere che tale resterà per anni...

    Rossella Ferorelli:
    Chissà come, non sono stupita.

    Salvatore D’agostino:
    ‎---> Rossella,
    mi piacerebbe conoscere un tuo parere: «Secondo te questa è cronaca o architettura?»
    A dopo,
    SD

    Salvatore D’agostino:
    ---> Francesco,
    abiti in prossimità del cantiere?

    P.S.:vale anche per la domanda posta a Rossella

    Rossella Ferorelli:
    Ero sul punto di risponderti che, più che di architettura, in questo caso si dovrebbe parlare di edilizia, quando mi sono chiesta se questo cliché non sia obsoleto, o quantomeno sbagliato.
    Ciò che mi avrebbe portato a dirti che si tratta di edilizia è la classica riflessione sulla questione del processo produttivo contro quello più propriamente creativo. Negli ultimi trent'anni il rapporto tra architettura "disegnata" e architettura "realizzata" si è evoluto incredibilmente, e non voglio qui addentrarmi nella vexata quaestio che vorrebbe schierati in opposizione quanti le vedano come paritarie e quanti no.
    Dicevo, dunque, che la domanda è più complessa di quello che sembra. Significa chiederci fino a che livello della catena produttiva di un edificio si spinge la responsabilità ed il dovere di conoscenza degli architetti.
    Una domanda a cui, per il momento, non ho risposta.

    Francesco Alois:
    Salvatore, non sono in prossimità del cantiere, ma lo posso raggiungere in 10 minuti di auto. Confesso di non esserci mai passato.

    Matteo Seraceni:
    ..spero di riuscire a completare presto anche la seconda parte della mia inchiesta sul terremoto.
    Per quello che dice Rossella: io credo che gli architetti (qualora siano i progettisti dell'opera) abbiano la responsabilità più grande.
    Mi spiego.
    Solo in Italia si ha una concezione assolutamente schizofrenica dell'attività progettuale, per cui l'architetto svolge un lavoro a se stante da quello che fa il progettista strutturale (e non è nemmeno in grado di valutare la bontà di un progetto strutturale), il progettista strutturale non è in grado di capire quello che fa il geologo (quando viene chiamato, sempre in rari casi), tutti sono all'oscuro del progetto degli impianti ed in generale neppure si sa bene chi fa il progetto degli impianti elettrici (ci penserà l'elettricista), e poi si spera che il geometra faccia bene i rilievi per il catasto...ah, serve pure la certificazione energetica? Non c'è problema: si chiama un povero sfigato, che non ha seguito il progetto, per farla per pochi soldi (ah, e che torni in classe A, qualsiasi cosa abbia deciso di fare l'architetto). -->

    Matteo Seraceni:
    --> Nei paesi civili l'architetto è il "supervisore" dell'intero processo e quindi si dovrebbe preoccupare dell'edificio dalla progettazione (tutta quindi: non solo fare i muri e gli arredi) alla realizzazione (seguire pure il cantiere).
    Se in Italia non si fa questo allora la colpa è dell'architetto (o dell'ingegnere o del geometra che si occupa del progetto), che non ha i mezzi necessari per seguire l'intero processo, perchè ignorante.
    L'ignoranza non può che portare alla rovina.

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  2. 2° report da face book

    Matteo Seraceni:
    Mi spiego meglio, altrimenti sembro razzista: se non sai quanto grande in linea di massima deve essere un pilastro e quindi, anche in un palazzo di 6 piani li fai tutti di 30cmx30cm, se non sai che la coibentazione va all'esterno dell'edificio e quindi girare "fuori" dal pilastro e non dentro, se non sai che nei muri e nei solai occorre far posto anche per gli impianti, allora non si comprende il perchè ti sia stata data la possibilità di presentare qualsiasi progetto.

    Rossella Ferorelli:
    Condivido ogni sillaba perché sono anch'io per il riallacciamento delle competenze.
    Però mi rendo anche conto che non è più un'epoca in cui si può sapere molto di tutto. Poco di tutto, o tutto di poco. Tragico ma vero, soprattutto quando c'è da prendersi responsabilità pesanti. Tu che sei giovane saprai come me che non c'è formazione che tenga...
    Piuttosto, bisognerebbe auspicare una collaborazione più stretta tra tutti gli specialisti in tutte le fasi del processo, e non solo ognuno per il suo angolino.

    Matteo Seraceni:
    Si, ovviamente non mi candido come "supervisore" sopra citato: dovrebbero essere professionisti con tanti anni di esperienza alle spalle a doversi occupare di queste cose. Peccato che in Italia, questi benedetti professionisti in genere ne sanno meno dei neo-laureati, perchè mentre i neo-laureati conoscono le ultime legislazioni (studiate ovviamente in facoltà), tantissimi professionisti non giudicano necessario nemmeno tenersi aggiornati.
    Non sai quanti "ingegneri strutturisti" ad esempio non conoscano minimamente la progettazione agli stati limite (obbligatoria dalla NTC2008) e fanno lavorare (ovviamente per poche lire) giovani neo-laureati che gli fanno tutto! :)
    Condivido appieno per la collaborazione: non sai quante volte mi sono "scornato" con diversi "professionisti" (si fa per dire) che partivano per la tangente senza minimamente interfacciarsi con gli altri operatori del processo (mamma mia, come sono tecnico... :D ).

    Matteo Seraceni:
    Un buon progetto va fatto con molti professionisti "specializzati" e deve crescere assieme: il processo deve essere continuo e graduale.
    La butto lì: si parte con un progetto di massima, con un'abbozzo di struttura, poi si cerca di individuare le posizioni di impianti ed eventuali opere accessorie, poi si torna indietro all'architettonico, poi si fa un definitivo delle strutture, poi ancora architettonico, poi esecutivo delle strutture ed impianti.
    Ma tanto è come parlare al vento...

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  3. 3° report da face book

    Francesco Alois:
    Concordo con te Matteo. Sono geometra e sono all'ultimo anno di Architettura e quanto dici è tragicamente vero. Devo dire che non sempre il corso di studi ti viene incontro. Per un laboratorio di progettazione abbiamo realizzato una palazzina (sic) con pilastri 30x30 anche se il muro "girava" rigorosamente intorno e la struttura è abbastanza ben adattabile (la userò per il laboratorio di costruzioni 2 con pilastri giustamente dimensionati). Di impianti si parla soltanto al V anno con un esame a scelta (impianti tecnici appunto). Nella vita professionale ho visto tanta tristezza della quale mi sono reso conto dopo. Gli impianti venivano progettati "dopo" e "da un altro", computo metrico compreso (che facevo io) e spesso mi è toccato correggere obbrobri contabili di architetti e studi di architettura con diversi anni di esperienza alle spalle. Non mi vergogno a dire che addirittura uno di questi studi ha ammesso candidamente di non capirne niente di computo metrico... Se penso che il corso di estimo (al V anno ce ne sarà un altro) è stato incomprensibile ed i colleghi a me più vicini si sono potuti avvalere della mia esperienza, comprendo come per quello studio il computo metrico sia un vero problema. Anche la struttura nasce dopo e spesso chi progetta l'architettonico non si rende ben conto di quello che fa. Ho visto disegni di solai di 20cm in latero-cemento e chi li ha progettati non si rendeva conto che non solo erano impossibili, ma alteravano anche buona parte del progetto visto che la quota dal suolo dell'edificio si sarebbe alzata di conseguenza, uscendo fuori dai parametri urbanistici...
    Non credo che oggi le facoltà siano in grado di far semplicemente comprendere sul serio quanto sia complessa la progettazione di un edificio anche "semplice", perché già nei laboratori di composizione vedo i colleghi disegnare linee su linee non rendendosi conto che quel luogo dei punti, nella realtà sarà un muro, una finestra, un burrone, senza che il docente lo faccia loro notare. Poi mi guardano strano se dubito fortemente della validità dei trenta che prendiamo.

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  4. ----> Francesco, Rossella e Francesco,
    condivido i temi della vostra conversazione.
    V’invito a leggere un interessante articolo di Sylvia Bartyan dal titolo emblematico “Alcune delle ragioni che spiegano la marginalità degli architetti italiani in Europa”, Casabella n. 738, 11-2005, pp. 3-5.
    Riporto i cinque punti salienti evidenziati in neretto:
    1. Normativa di settore non armonizzata;
    2. Formazione inadeguata;
    3. Scarsa dimestichezza con mercati competitivi;
    4. Pochi programmi culturali europei;
    5. Scarso utilizzo degli strumenti di informazioni.

    Un’analisi lucida a tratti impietosa sul nostro sistema ‘del cemento’ italiano.
    Ecco come concludeva il suo articolo: «L’attuale isolamento professionale può essere giustificato solo in parte dall’assenza, in Italia, di un sistema in grado di sviluppare architettura di qualità e dalle carenze dell’ordinamento giuridico. In attesa che anche nel nostro paese si comprenda, come è accaduto in nazioni più lungimiranti, che lo sviluppo organico del settore dell’edilizia potrebbe avere un ruolo importante nel rilancio dell’economia nazionale, è auspicabile che, fin d’ora, gli architetti italiani considerino l’Europa intera mercato di riferimento utilizzando con maggiore convinzione gli strumenti informativi e giuridici a loro disposizione».
    Non a caso da tempo etichetto (vedi finExTRA) questi episodi (di falsa) cronaca come ARCHITETTURA ITALIANA.
    Non a caso ho giocato nell’inchiesta OLTRE IL SENSO DEL LUOGO con due domande (giornalistiche o stile facebook ‘mi piace’) per capire ciò che non si vuole osservare, ovvero la forte contrapposizione (mediatica, opinionistica, populista) tra il reale ‘ciclo del cemento’ (vedi Roberto Saviano---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/04/0011-b-uso-io-so-e-ho-le-prove-di-come.html - Matteo credo ti possa servire per la tua seconda parte -) e il virtuale ‘l’archistar’.
    Virtuale perché le loro architetture incidono relativamente sul totale del costruito.
    Inoltre sono ‘pompati’ da un sistema politico (fondamentale per capire il tema archistar) mediatico che annienta qualsiasi altra possibilità di fare architettura di qualità.
    In qualche modo siamo ingabbiati su un doppio registro ‘mediatico’ il ‘ciclo del cemento’ rubricato come ‘fatto di cronaca’ e quindi come evento eccezionale e ‘archistar’ come l’architettura necessaria per l’internazionalizzazione delle nostre città.
    Si capisce che queste due temi (concetti tasca) non ci permettono di comprendere e affrontare con ‘onestà’ i problemi dell’architettura in Italia.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. 4° report da facebook

    Matteo Seraceni:
    Ci sarebbe tanto da dire su questi punti...a caldo credo che la Bartyan abbia proprio mancato il bersaglio:
    1. Normativa di settore non armonizzata: no, non è la normativa, è l'ordinamento nazionale che prpone almeno 4 figure (architetto, ingegnere, geometra, perito edile) e sotto-figure (architetti e ingegneri junior) che in pratica hanno le stesse competenze. E qui ci sta un bel "e che cazzo!" (scusa il francesismo). O eliminiamo tutti e si fa un albo di "operatori dell'architettura" cui può accedere chiuque, previo diploma di laurea e esame di stato, oppure si danno delle competenze SPECIFICHE E NON SOVRAPPOSTE a ciascuna categoria (quindi, se si decide che i geometri possono fare architettonici fino a 3000mc, allora gli architetti possono fare architettonici sopra a 3000mc, ecc..). Come può sussistere un mercato di professionisti, che presuppone quindi competenze specifiche, quando in realtà non si richiedono competenze specifiche?!?
    2. Formazione inadeguata: grandissima cazzata (scusa il secondo francesismo). Avete mai frequentato un corso in un campus americano? O almeno fuori dall'europa? Nessuna università in genere fornisce gli strumenti con cui uno esce e tac! sa tutto di tutto.
    Occorre prepare corsi di master (ma a prezzi accettabili e seri) con cui essere qualificati in un ambito preciso. Non come si fa oggi con la certificazione energetica, che con un corso (lo vogliamo proprio chiamare corso?) di 200 ore chiunque (sia esso ingegnere o geometra) diventa immediatamente pratico di impianti ed edifici. -->

    Matteo Seraceni:
    -->
    3. Scarsa dimestichezza con mercati competitivi: quali sarebbero?!?
    Venga a lavorare da noi (emilia-romagna) e si renderà conto che ormai i miei colleghi sono giunti alle coltellate, pur di accapparrarsi qualche cliente: più competitivo di così...Non mi stancherò mai di ripeterlo: occorre reintrodurre la parcella minima. E' vero: questo comporta una spostamento a destra della curva di domanda di lavoro (cioè ci sono meno "posti" disponibili sul mercato), ma almeno si lavorerebbe per salari decenti. IO MI RIFIUTO DI FARE IL PROGETTO DI UNA STRUTTURA PER POCHE LIRE (visto e considerato che ne sono responsabile per almeno 10 anni e che tutti i progetti, proprio perchè venduti a poco, devono essere fatti velocemente e male, per farne il più possibile).
    La 4 non la commento neanche...
    5. Scarso utilizzo degli strumenti di informazione: forse da parte degli over-40 (che in effetti in Italia sono i "giovani architetti", vista la natura geriatrica di questa professione). Nessun collega della mia età (30 anni) lavora senza computer e modellazione CAD; moltissimi usano direttamente una modellazione parametrica 3D (con programmi tipo REVIT o ARCHICAD, per citare i più famosi) per gli edifici. Ma ovviamente noi siamo quelli schiavizzati dai "giovani architetti" sopra, i quali hanno l'unica fortuna di avere ormai una clientela abbastanza ampia (perchè ovviamente sanno poco o niente di computer e nuove normative).

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  6. 5° report facebook

    Salvatore D'Agostino:
    --> Matteo,
    una curiosità hai letto l'intero articolo?

    Matteo Saraceni:

    Si (ma in effetti 4 o 5 anni fa).
    Me lo ricordo perchè affermava che gli ordini erano fra i principali cause della scarsa competitività degli architetti italiani.
    Secondo me è un'analisi riduttiva.
    Ci sono ordini che funzionano molto bene: vedi ad esempio in Inghilterra (ok, non sono veri e propri ordini) ma anche in Spagna.
    Ovviamente una revisione è necessaria ma credo che una forma di controllo corporativa sia sempre utile, soprattutto in un paese come il nostro in cui abbondano i "furbi".
    Voi abolireste l'ordine dei medici?

    Francesco Alois:

    Però, riguardo la formazione, premesso che è umano che chiunque esca da un qualsiasi corso di studi non sia in grado di fare "tutto". Il problema è semmai la consapevolezza della complessità del progetto architettonico. Non è possibile vedere colleghi che tagliano, piegano, cancellano, allungano o accorciano linee senza rendersi conto di quello che fanno e vi posso assicurare che è così ed è deprimente. Solo al IV anno, nell'ultimo laboratorio di composizione, il docente ci ha apertamente "minacciati" di bocciatura se ci fossimo presentati con solai o coperture di sezione inferiore agli 80cm perché "la struttura dev'essere per forza grossa viste le ampie luci in gioco. Non dimenticatevi che ci sono impianti molto complessi da realizzare, soprattutto nell'auditorium dove le pareti devono essere rivestite con pannelli speciali. La sezione minima dei muri è 50cm, non di meno.". Allo stesso modo abbiamo "dovuto" presentare delle sezioni architettoniche in cui era presente e ben visibile la struttura.
    Forse siamo stati fortunati.

    Francesco Alois:

    Come non detto: http://www.facebook.com/l/e47ff;tinyurl.com/2u96999. Sorvolo sulle date...

    Matteo Saraceni:
    Visto che ti piacciono i riferimenti esterni, ti riporto un commento al blog Desperate Architect che parlava dei danni fatti da Bersani:
    "La ragione economica contro un salario minimo in realtà c'è (basta prendere qualsiasi libro di microeconomia): fissando un salario minimo la curva di domanda per i posti di lavoro si sposta, togliendo in pratica "posti di lavoro" disponibili ed aumentando il salario medio percepito.
    Credo che l'abolizione del salario minimo voluta da Bersani volesse (in teoria) aumentare i posti di lavoro disponibili del settore (visto e considerato il fatto che in Italia c'è veramente un'abbondanza cronica di architetti); il rovescio della medaglia è che togliendo un salario minimo a posti di responsabilità e soprattutto di lavoro intellettuale (se un bracciante agricolo viene pagato meno, le arance non sono più cattive: semplicemente il bracciante è più incazzato), la qualità si abbassa notevolemente.
    Probabilmente le strade per supplire al surplus di architetti dovrebbero essere altre (fra cui rendere le università più difficili forse, così tanti non proverebbero architettura "tanto per fare").

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  7. 6° report facebook

    Matteo,
    --->
    L’analisi di Bartyan verteva sul rapporto tra l’Italia e l’Europa (non andava oltre) affermando che: «Il numero di professionisti italiani che esercitano all’estero, tuttavia, è esiguo e le ragioni che determinano tale immobilismo sono numerose e di natura diversa» di seguito i cinque punti da me elencati in precedenza.

    1. Non armonizzata con l’Europea
    Condivido con te in Italia resta il dramma di quattrocentomila tecnici edili che possono intervenire sul paesaggio italiano.
    Con il dramma di una figura post bellica (per esigenze tecniche) che ancora è abilita a dare il suo contributo.
    Ne parlavo qui http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/02/0038-speculazione-il-ddl-1865-e-lo.html
    Proponendo:
    1. abolire gli istituti tecnici per geometri com'è avvenuto per gli istituti magistrali, da qualche anno per insegnare nelle scuole primarie occorre la laurea, in modo tale che tra 70 anni la figura del geometra - nata per esigenze che adesso non ci sono più - scompaia;
    2. prevedere per tutti gli edifici di carattere pubblico (comprese le costruzioni private) un processo progettuale e tecnico sinergico tra ingegnere e architetto, chiarendo le competenze di ciascuno ed eliminando le mille lauree specialistiche che alimentano una confusione di competenze;
    3. ritornare a occuparsi di città e rivedere le leggi urbanistiche eliminando dal vocabolario le parole ‘centro storico’ e ‘periferia’;
    4. eliminare la discrezionalità politica sugli affidamenti degli incarichi ‘pubblici’.


    2. Sempre riferito al contesto europeo.
    In Italia manca il tirocinio post laurea.
    Ovviamente, come dici tu, non è tutto negativo ciò che s’insegna nelle nostre università.
    Perfettamente d’accordo sui falsi master o aggiornamenti italiani.

    3. Anche qui parla dell’Italia nel contesto Europeo.
    Ti riporto un breve passo: «La scarsa propensione dei committenti privati italiani ad utilizzare lo strumento del concorso di progettazione, d’altra parte, ha contribuito a formare l’attitudine dei nostri architetti a non attrezzarsi al confronto con altri professionisti».
    Tu denunci un’anomalia italiana che andrebbe combattuta.

    4. Punto essenziale
    Tu non commenti ma è il nodo cruciale della nostro ‘provincialismo’: «l’attitudine degli italiani a non considerare tutta l’Europa come il proprio mercato di riferimento».
    D’altronde con la mentalità dello speculatore il progettista ‘tipico’ (folk, pseudo identitario) perché dovrebbe osservare il mercato europeo? Lì non ha amici politici o familiari.

    5. Informazione non strumenti CAD
    «È abbastanza sorprendente, per esempio, quanto sia basso il numero di abbonati italiani alla Gazzetta Europea su cui sono pubblicati i bandi di concorso europei».

    Matteo, quest’articolo va riletto non parla di ordini.
    Parla dell’Italia nel contesto europeo ma non quella dei succulenti finanziamenti.
    A dopo,
    SD

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  8. 7° report facebook

    Matteo Seraceni:
    ...a proposito di corsi universitari: visto come sta andando la revisione del libro, io proporrei anche un corso di italiano nelle università di architettura...

    Salvatore D’agostino:
    ---> Francesco,
    SCUOLA
    vi è sempre stato uno scollamento nell’accademia italiana tra architettura ‘disegnata’ e architettura ‘pratica’.
    Leggendo il libro di Stefano Mirti su Toyo Ito, quet’ultimo registrava lo stesso scollamento anche in Giappone. Affermando che gli architetti giapponesi apprendono il lavoro negli studi d’architettura.
    A questo punto, poiché anche in Italia si apprende il lavoro presso gli studi, c’è da chiedersi: cosa imparano i neo-laureati a studio?
    Io ho appreso tutto quello che non si deve fare.
    Voi?

    AFRAGOLA
    Ti chiedevo perché non fai un reportage fotografico magari da pubblicare sul tuo blog?
    Così evitiamo le immagini confezionate.
    Che ne dici?

    Salvatore D’agostino:

    ---> Matteo,
    DESPERATE ARCHITECT
    Condivido il mondo del lavoro è molto disperato.
    Più che ai riferimenti esterni sono interessato ai frammenti.
    Questo è un buon frammento, ma dobbiamo andare oltre. Che ne pensi di queste considerazioni dello scrittore La gioia? L'Italia è un paese del 'secondo mondo'

    Ti passo il solito link ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/08/0427-finextra-9-agosto-2010-identita.html

    ITALIANO
    Condivido

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  9. 8° report facebook
    Francesco Alois:
    Salvatore
    SCUOLA: da geometra di studio, anch'io ho imparato quello che non si deve fare... Solo in uno di questi c'era un ingegnere che credeva in me e mi stava preparando alla professione, ma una falsa occasione me lo ha fatto perdere di vista. Da architetto ti saprò dire più in la.

    AFRAGOLA: stavo pensando a qualcosa del genere, ma le poche notizie in possesso mi hanno sempre frenato. Mi sono più volte ripromesso di passare da quelle parti, ma ogni volta c'era qualche impedimento che mi costringeva a desistere. Spero di visitare l'area prima che comincino i corsi entro ottobre/novembre.

    Salvatore e Matteo
    ITALIANO: mi trovate d'accordo, è una delle cose che dico più spesso. Più volte, nei "test" o nelle brevi "relazioni" i docenti si sono lamentati non solo della pochezza dei contenuti, ma anche di errori di grammatica "da scuole elementari", ma hanno sempre sorvolato perché "... questa non è la sede e... lasciamo perdere!". Ma allora, tutte quelle belle parole sull'architetto che deve avere una cultura multidisciplinare, sono frottole dette per liberare i polmoni dall'aria viziata? Se dalle facoltà usciranno architetti che usano l'italiano con più difficoltà della matita sul foglio, la colpa non è solo degli studenti (resta comunque una loro precisa responsabilità morale nei confronti del mestiere che stanno per intraprendere). Nei casi meno gravi basta leggere un buon libro, non di architettura, un romanzo o un saggio, negli altri casi servono veri corsi di base.
    Ma io non faccio testo, ho 34 anni, non sono più "giovane" (alcune colleghe mi danno del voi...), ho un'altra maturità e vengo da altre esperienze, vorrei che questi pensieri li avessero i miei colleghi ventitreenni.

    Matteo Seraceni:
    @Francesco: non sono come le colleghe e ti do del tu se non ti dispiace, visto che siamo quasi coetanei.
    Innanzitutto a 34 anni si è non "giovani", è vero, ma "giovanissimi" in Italia! :)
    A 25 anni si è "appena nati" forse...io credo che il problema più grosso delle facoltà di architettura siano le facoltà di architettura stesse.
    Non sai ad esempio quanti amici hanno provato con ingegneria e poi, visto che era troppo difficile, si sono detti "ma si, faccio architettura": perchè è vero, è una facoltà estremamente "facile" e la maggior parte dei professori di architettura non fa nulla per andare contro questa tendenza.
    Faccio una considerazione (forse banale, ma non credo vista l'attuale situazione): visto che architetti e ingegneri iscritti al settore civile/ambientale hanno le stesse competenze una volta ricevuta l'abilitazione (a parte la questione restauro e impianti, vorrei ricordare che sia un ingegnere che un architetto potrebbero progettare la struttura di un grattacielo o di un ponte sospeso) credo che entrambe queste facoltà dovrebbero essere "toste" allo stesso modo.
    Perchè altrimenti non capisco perchè uno dovrebbe scornarsi per tanti anni in una facoltà che lascia pochissimo tempo libero come ingegneria, quando poi può fare architettura: anzi, grazie ai grandi geni del governo ora è possibile un'altra via: se rinasco, faccio architettura (così in 5 anni me la cavo e forse riesco in questi anni anche a mantenere una vita sociale decente) e poi prendo l'abilitazione come ingegnere!! :)
    Il risultato è identico (a quello che sono adesso) ma con una laurea a 25 anni e molto meno sbattimento.

    Non è polemica è semplicemente analisi costi/benefici.

    RispondiElimina
  10. 9° report facebook

    Francesco Alois:

    Figurati, ci dobbiamo dare del tu, la mia era solo una battuta. Alle colleghe che mi chiedono: "Voi avete fatto quella cosa?" io rispondo: "No, l'ho fatta solo io" giusto per toglierle dall'imbarazzo. In realtà non mi sento affatto vecchio, anzi mi sento come un bambino altrimenti a 30 anni non mi sarei messo in discussione iscrivendomi all'università quando era più semplice (all'epoca ero ancora "in corsa") prendere l'abilitazione di geometra e lavorare nell'edilizia, ma questa mi è risultata subito troppo stretta.
    Concordo sulla "facilità" delle facoltà di architettura. C'è gente che passa da "noi" per prendere gli esami di matematica perché più facili e poi trasferirsi ad ingegneria e continuare. C'è anche gente che si trasferisce da altre facoltà di architettura perché considerate più difficili (dalla Sapienza e dalla Federico II dalle nostre parti). In realtà non è che capitino meglio, però non ho grossi metri di paragone se non i commenti di amici di altre facoltà e tutto sommato siamo più o meno sullo stesso piano.
    Questa, però, è una questione che coinvolge la società: troppo abituati ad avere facilità di accesso a qualsiasi cosa, troppo abituati al benessere immediato, troppo abituati a non competere tanto non ce ne sarebbe bisogno visto che "ho papà che ci ha l'impresa".

    Italo Boccafogli:
    Mi intrometto. Nel settore delle costruzioni la figura cardine ed assolutamente in via d'estinzione è semplicemente l'impresa. Architetti, geometri e ingegneri hanno mille problemi, ma una parte grandissima nella crisi di qualità del settore è nell'impresa che non c'è più. Se siamo, forse, più bravi a progettare, siamo poi assolutamente incapaci di produrre come si deve.

    Matteo Seraceni:
    E' vero: condivido.
    Mi sembra che ne avessi già parlato un anno fa con Pietro Pagliardini: mi capitò un progetto nello studio in cui lavoravo della ristrutturazione di un edificio in muratura degli anni '20 (io feci lo strutturale, non la parte architettonica). La parete muraria era molto bella e mi ricordo che ci furono notevoli problemi nel trovare maestranze capaci di replicare un lavoro che, probabilmente, all'inzio del '900 era abbastanza facile da eseguire.
    A furia di occupare maestranze a basso prezzo e assolutamente non preparate ormai riesce difficile montare anche le grondaie...inoltre come è possibile che ogni cavolo di muratore, dopo qualche anno che lavora, mette su la propria impresa individuale?!? Ma quante sono?? E si fanno pagare pure tanto...
    Però questo si che è un problema di legislazione: basterebbe fare i controlli necessari (ed obbligatori) per mettere fuori mercato gli incompetenti...ah, già...siamo in Italia...

    RispondiElimina
  11. 10° report facebook

    Francesco Alois:
    Riguardo le imprese dico sempre: se Brunelleschi non avesse avuto quelle maestranze, certamente non avremmo Quella cupola. Proprio per questo motivo trovo assurdo che un progettista debba avere un titolo di studio o accademico e poi si veda quasi sempre costretto ad affidare la realizzazione del progetto a personale che ha imparato il mestiere solo per arte pratica. Ci vorrebbe una formazione professionale quanto meno dell'imprenditore e dei suoi capimastro che devono essere capaci di comprendere il progetto e seguirne la costruzione. Se è vero che un cattivo progetto in fase di esecuzione non può andare che peggio, un buon progetto può essere rovinato da una cattiva esecuzione e se il committente per costruire la propria abitazione chiama prima l'impresa e poi il progettista, è pur vero che quando ci sono infiltrazioni perché la guaina non è stesa a regola d'arte, chi ci va di mezzo è il progettista, non l'impresa... chissà perché...

    Italo Boccafogli:
    Le imprese per le quali ho lavorato avevano tra i dipendenti ingegneri, geometri e anche architetti. Avevano inoltre straordinarie maestranze. Erano in grado di giudicare e criticare qualunque progetto arrivasse loro, sapevano entrare nel merito. Poi il loro ruolo era la produzione, ma aggiungevano al progetto una competenza altrimenti non disponibile che appunto, ora, non è più disponibile. Il ciclo delle competenze era completo. Si ricordi che un ingegnere, di norma, non sa mettere in opera un betoncino armato, nè fare un semplice intonaco. Può solo raccomandarsi che siano seguite le indicazioni della "letteratura" che accompagna il prodotto (come per le medicine ormai) e ad opera finita andare a "battere" sul muro sperando che suoni come si spera. Ero, tantissimo tempo fa, giovanissimo direttore del più grande cantiere residenziale attivo in provincia di Bologna. Un caposquadra carpentiere di quelli con i fiocchi, che mi voleva bene, mi disse un giorno: "inzgnir (ingegnere in bolognese) con questi disegni 100 di voi il cantiere non lo tirano su. 100 di noi, pur con qualche errore, in cima ci arrivano". Ciao a tutti. Vado in cantiere.

    Matteo Seraceni:
    Italo, tu sei fortunato. Qua in romagna è già tanto se si trova qualcuno che sa leggere...

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  12. 11° report facebook

    ---> Matteo, Francesco e Italo (benvenuto),
    riannodo i tre temi in un unico commento collettivo.

    AFRAGOLA E I BLOG
    La tesi principale di Fabio Metitieri nel suo libro ‘Il grande inganno del WEB 2.0’ è l’inconsistenza dei dialoghi in rete:«Insomma, stiamo assistendo a un riassetto di tutto il settore, in cerca di nuovi modelli per fronteggiare la crisi, ma gli unici risultati, finora, paiono essere una sensibile diminuzione della professionalità e la riduzione dei tempi di lavoro e dei compensi, su tutti i fronti, vecchi e nuovi, con un conseguente, progressivo e inevitabile scadimento delle qualità dell’informazione stessa. Del vero citizen journalism, intanto, aspettiamo ancora di vedere almeno l’ombra, in particolare in Italia, dove i bloggher [ndr non è un errore li chiamava così in tono polemico], secondo una ricerca dell’aggregatore Wikio (Pasteris 2007), riportano in gran parte notizie tratte proprio dai grandi quotidiani. Forse ci ritroveremo tra qualche tempo con un’infinità di opinioni sulle opinioni e senza nessun autore che produca delle notizie originali o delle idee nuove, in una situazione che riporta alla mente le critiche di Geert Lovink e di Dave Winer ». P. 77
    Tesi condivisa, tra le righe, dal filosofo Mario Perniola.
    Tralascio la valutazione del giornalismo italiano (ovvero la guerra non fredda dei partiti su carta) degli ultimi anni, ciò che ti propongo è la visione non ‘opinionistica’ del blog, osservando il cantiere nella sua evoluzione.
    Credo che sia un uso intelligente e maturo del blog.

    SCUOLA O SQUOLA
    Tema ostico, ma cruciale. Non ho dubbi la prima riforma (vera, condivisa) ‘non politica’ (economica) ma ‘tecnica’ dovrebbe essere quella scolastica. Ormai siamo allo sbando totale.
    Tempo fa mi aveva incuriosito, lo strano modus operandi francese ----> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2008/10/0002-squola-in-francia-pochi-poli.html

    STUDIO E CANTIERE
    Un dato: nell’edilizia si concentrano i neo imprenditori con il più basso livello d’istruzione, 60% fino alla licenza media inferiore (ISTAT 2005).
    La maggior parte delle leggi italiane sull’edilizia sono state scritte per far fronte alle emergenze o di mal costume o naturali (vedete le ultime leggi antisismiche post-Abruzzo).
    Come sopra, andrebbe creato un pool d’esperti per rifare ex-novo la legislazione in materia.
    In questo caso non vedo nessuna idea politica ‘illuminante’ ma semplicemente ‘tecnica’.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  13. 12° report da face book

    Matteo Seraceni:
    Quello che dice Metitiei vale anche per la nostra professione: "stiamo assistendo a un riassetto di tutto il settore, in cerca di nuovi modelli per fronteggiare la crisi, ma gli unici risultati, finora, paiono essere una sensibile diminuzione della professionalità e la riduzione dei tempi di lavoro e dei compensi, su tutti i fronti, vecchi e nuovi, con un conseguente, progressivo e inevitabile scadimento delle qualità dell’informazione stessa" (basta cambiare informazione con architettura e il gioco è fatto!)

    Matteo Seraceni:
    Cioè, la posso dire fuori dai denti?
    Vi piace l'abolizione del minimo e sottopagare i professionisti?
    Bene, facciamo così: la prossima volta che dovete andare sotto i ferri in ospedale facciamo che per operarvi non venga chiamato il primario, ma si faccia un concorso in cui vince il chirurgo che si farà pagare di meno per farvi l'operazione. Voi fareste una cosa del genere?
    Perchè è la stessa cosa che si sta chiedendo nella progettazione degli edifici.

    Italo Boccafogli:
    L'abolizione del tariffario minimo è grande corbelleria. Si trattava oltretutto di buona tutela proprio per i giovani professionisti, in quanto i vecchi, se davvero bravi e ricercati, potevano e possono permettersi di richiedere più di quel minimo. Però, in generale, le norme recenti premiano i professionisti (le partite IVA) in quanto serve una loro asseverazione o certificazione ovunque. Quel che non funziona, ribadisco, è però che la qualità di un bene costruito te la deve assicurare il costruttore in primissima persona e non solo attraverso la firma di n professionisti. Chi è che rende unitario e coerente l'intero processo? Sarà mica il Direttore dei Lavori per caso?

    Matteo Seraceni:
    Serve una figura così come esiste in tanti altri paesi che si occupi dell'intero processo edilizio, dalla progettazione alla direzione lavori e che può anche non essere il progettista architettonico, che abbia il diritto di veto sulle scelte del costruttore e la facoltà di denunciarlo apertamente.
    E poi basta che un imbianchino o uno spazzino si svegliano la mattina e mettono su una ditta edile: come è possibile non richiedere un minimo di requisiti per questa gente?!?
    Servono ditte serie gestite da professionisti e non da analfabeti...

    Matteo Seraceni:
    Probabilmente perchè in economica "la moneta cattiva scaccia quella buona" e quindi è più facile che costruttori inetti e scadenti (non solo mafiosi) lavorino più di quelli capaci.
    Anche perchè se agli interessi economici si aggiungono quelli politici allora la frittata è fatta: vi consiglio un video illuminante sulla questione
    http://www.facebook.com/l/b80aa;www.youtube.com/watch?v=EnUHdlSJe8E&feature=related

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  14. 13° report facebbok

    ---> Matteo e Italo,
    Metitieri a tratti era illuminante.
    Vi riporto uno dei suoi ultimi commenti del 9 dicembre 2008 (morirà nell'aprile 2009): «Io ho una teoria, su certi bloggher Vib (ndr Very Important Bloggher neologismo coniato da Metitieri) italiani. Che stiano scontando adesso la loro non conoscenza della Rete, nonche’ la loro incoerenza e la loro sostanziale mancanza di ideali. O forse di idee, oltre che di ideali. Quando si ragiona e si scrive solo e sempre o in base a bassi ideologismi o in base ai propri tornaconti personali e al bisogno di nutrire il proprio ego, prima o poi arriva il lancio di pomodori, al quale si reagisce in modo inconsulto.
    Ho scritto, nei commenti del Manteblog, che quel prezzo di Mantellini e’ “pre-Internet”. Sembra di rileggere certi articoli ingenui e preoccupati della stampa generalista negli anni ’90. In effetti, se Luna non fosse il futuro direttore di Mantellini, tanto scandalo per un furto di identita’ su Facebook non ci sarebbe mai stato. D’altra parte, gli stessi bloggher Vib italiani usano il micro-blogging come dei bambini, per scrivere le marachelle come se i loro lifestream non fossero indicizzati da Google e non li leggesse nessuno…
    Diciamoci la verita’: in effetti questi se-dicenti guru la Rete ancora non l’hanno mai capita.
    Ciao, Fabio».

    Link: http://bernyblog.wordpress.com/2008/12/09/facebook-dallaltare-alla-polvere-dalle-stelle-alle-stalle/

    Fabio Metitieri non aveva un blog (secondo lui gli articoli andavano filtrati dalle redazioni e pubblicati a pagamento nelle riviste cartacee-online), si definiva un flame ovvero un commentatore 'critico' assiduo dei blog dei VIB.
    Andrebbero raccolti i suoi commenti.
    I VIB non hanno mai amato 'Metitieri' troppo acuto e spesso dissacrante nei confronti dei POST-ottimismi-DELLA RETE.
    Perdonate la divagazione.
    In edilizia non esiste un sistema 'critico' nei confronti dei legislatori.
    Come vi dicevo da anni promulghiamo leggi 'precarie' senza nessuna visione organica (come dice Matteo') dell'intero 'processo edilizio'.
    Il nodo delle leggi edili in Italia è la vera emergenza.
    Siamo in balia degli speculatori d'altronde abbiamo votato uno dei più bravi 'speculatori' per governare il nostro paese.
    Saluti,
    Salvatore D'Agostino

    P.S.: Elio e le storie tese raccontano bene ciò che stiamo cercando di descrivere.

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