Rem,
mi chiedi (leggi commento) il racconto della mia nottata passata nel ‘Sacco di Palermo’.
Se ci permetti, prima vorrei narrarti del mio arrivo a Palermo.
Giungere quasi alle undici, dopo tre ore e mezza di viaggio senza aver incontrato l’ombra di un bar, sai bene che non è facile.
Da piazza Giulio Cesare (dalla stazione) a piazza San Francesco ci sono dieci minuti di strada a piedi, quasi un chilometro da percorrere.
Ecco, la nostra prima tappa è stata alla Focacceria San Francesco per una granita con brioche (ti confesso: non regge il confronto con le granite catanesi).
Ripresoci dal lento ‘littorino’ viaggio, abbiamo percorso i venti metri che ci conducevano nella via Immacolatella per assaggiare per l’ennesima volta l’ironia di Giacomo Serpotta.
Giacomo Serpotta è stato un abile decoratore d’interni in stucco del settecento. Aveva inventato una miscela con fine scaglie di marmo per dare alle sue statue la sensazione di un bianco marmo lucente.
Rem, appena entri nell’Oratorio di San Lorenzo non puoi non cominciare a ridere di gusto.
L’oratorio è un luogo - prevalentemente privato - dove si prega, dal latino oratorium, derivato da orare ‘pregare’. Uno spazio silenzioso.
Il nostro stuccatore settecentesco in questo spazio s’inventa la sana bellezza del caos causata da un’infinità di bambini che giocano.
I putti ‘bambini’ corrono, saltano, rotolano, si accarezzano, si baciano, si nascondono, si mascherano e soprattutto si fanno scherzi atroci (uno di essi con irriverenza tira i genitali al suo compagno di sventura).
Rem, ti fermi al centro e capisci che Giacomo Serpotta ha dato gioia ai pii francescani, ma se resti al centro e osservi l’altare cominci a piangere.
Piangi, perché ti trovi davanti una copia della ‘Natività’ dipinta da Caravaggio nel suo dannato peregrinare in Sicilia, esattamente nel 1609.
Quella copia ci ricorda che il 19 ottobre 1969 fu trafugata da ignoti e che nei mesi successivi agli attentati di Falcone e Borsellino - secondo Giovani Brusca - fu materia di scambio dei mafiosi con lo stato, per alleggerire le norme restrittive nei confronti dei propri detenuti.
Piangi, perché il 9 dicembre 2009 il pentito di mafia Gaspare Spatuzza in un interrogatorio ha dichiarato che quel quadro fu nascosto in una campagna e mangiato da topi e maiali ed infine bruciato.
Rem, piangi perché davanti a quel finto quadro passa la storia dell’Italia. Pare che ieri il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari e il suo aggiunto Domenico Gozzo (che indagano su queste vicende) abbiano dichiarato: «Speriamo di essere a un passo dalla verità sulla strage di via d'Amelio. Lo Stato è in grado di raccogliere questa verità, il problema è se c'è una politica in grado di raccogliere questa verità». Link
Ritornando alla tua domanda. Ho dormito pochissimo, poiché essendo un siciliano di montagna, non sopporto il caldo umido e il condizionatore acceso durante la notte.
Ho dormito sapendo che quel palazzo di dodici piani e lungo cento metri, ospita duecento famiglie. In pratica un falansterio civile creato da dei geni della speculazione edilizia palermitana. Invenzione nata tra l’intreccio di abili imprenditori e Vito Ciancimino (sindaco di Palermo di allora). L’intreccio tra mafia e politica era (ed è) evidente. Un accordo che ha previsto l’abbattimento di stupende ville liberty - anche quelle progettate da Ernesto Basile - .
Come vedi la cultura è roba da stupidi ‘moralisti’. Il cemento non ama essere intralciato.
Sapendo inoltre che l’appartamento di cento metri quadrati dove ho dormito, adesso ha un valore commerciale di 300mila euro.
Rem, ho dormito su un sacco di storie, ahimè, che ci riguardano.
Ho dormito sull’architettura italiana.
Un caro saluto,
Salvatore D’Agostino
20 luglio 2010
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