di Salvatore D'Agostino
Intervista a Carmelo Pennisi curatore insieme a Massimiliano Durante dei testi di “Il Ponte” evento speciale il 3 maggio all’Auditorium di Roma. Monologo interpretato da Alessandro Preziosi con musiche di Stefano Di Battista.
Salvatore D'Agostino Perché una pièce teatrale sul ‘ponte sullo stretto’?
Carmelo Pennisi A me non interessava trattare l’argomento ponte, in quanto ponte, ma interessava parlare proprio del ponte sullo stretto. Per una serie di molteplici ragioni, che in parte potrai immaginare, il ponte sullo stretto rappresenterebbe la sfida delle sfide, per un paese come l’Italia ormai persosi in un vicolo senza uscita di occasioni perse e speranze spesso disattese. Questo non vuol dire che io sia d’accordo con la sua costruzione, né che ne sia contrario. Dico soltanto che il Paese, in questo difficile momento, ha bisogno di cercare delle sfide che lo mobilitino.
La mobilitazione, secondo me, porta sempre un risveglio sociale e culturale. Ovviamente non è compito di un’artista, qual io sono, dare giudizi politici di merito, anche ove mai questi ci fossero. L’arte deve avere il solo compito di osservare e interrogarsi. Il ponte sullo stretto ha anche per me, in quanto siciliano, un valore affettivo e di ricordo. Tutti i siciliani, da quando nascono, sentono parlare del ponte sullo stretto. C’è dell’inquietudine nel farlo, perché spesso tutti ci dicono che altre sono le priorità della nostra isola (mancanza d’acqua, ospedali, strade, ecc.), che non il ponte. Ma mi chiedo, e credimi senza nessun accento polemico: qualcuno si è posto, in questi giorni, della cronica mancata risoluzione dei problemi dei pendolari dell’hinterland milanese, allorché Milano si è aggiudicata l’expò 2015? Qualcuno ha detto che bisogna trovare prima i soldi per i pendolari e poi fare un’expò? Non credo di aver sentito una considerazione del genere. E non l’ho sentita perché, giustamente, sarebbe stato mettere in relazione due problemi (expò e pendolari), che nessuna relazione hanno tra loro. Allora dire sì o no al ponte sullo stretto, secondo me, non deve essere una decisione presa sulla scorta di mancanza d’acqua, di ospedali, di strade; ma deve essere una scelta ponderata su ciò che vorrebbe dire per lo sviluppo urbanistico di quell’area (Reggio Calabria e Messina), per ciò che vorrebbe dire per lo sviluppo economico, per ciò che vorrebbe dire per lo sviluppo sociale e culturale. Se il gioco non dovesse valere la candela, per usare un vecchio detto, allora va bene dire no alla sua costruzione. Ma sia chiaro, che questo è solo uno dei tanti ragionamenti che ho fatto prima di scrivere il testo, perché il ponte sullo stretto per me rimane una grande metafora sulla vita e sulla necessità della progettazione.
Un terzo delle morti bianche in Italia avviene nell'edilizia ed è fisiologico la morte per le costruzione di grandi opere, chi è il suo operaio?
Il mio operaio rappresenta tutti gli uomini semplici, che sono la maggioranza, che chiede insistentemente conto delle ragioni della sua morte. Non ha paura di morire, sia chiaro, ha solo paura di morire per una cosa senza progetto, per una cosa senza futuro. Costruire una grande opera architettonica sappiamo che costa, come ci dicono tutte le statistiche, delle morti sul lavoro. Quindi è come se un paese ci chiedesse di andare in guerra, di combattere per lui, di vincere questa guerra per il suo futuro. Allora l’operaio vorrebbe che gli mostrassero questo futuro, prima di partire per la guerra. L’operaio ci ricorda, in ogni momento, che compito della classe dirigente è quella di dare un senso ai sacrifici degli uomini semplici.
Qual è lo scarto tra l'idea e la realizzazione?
Non so come rispondere di preciso a questa domanda. L’idea mi è venuta un giorno, quando improvvisamente mi sono ricordato bambino, sulla nave traghetto, mentre guardavo la Sicilia che si avvicinava: era, per me siciliano, sempre un’emozione. Poi ho pensato all’orgoglio di essere un isolano. Poi ho pensato a me isolano, inserito in un contesto come l’Italia. Alla fine ho ragionato sul difficile momento del paese e sull’importanza della progettazione di qualsiasi cosa, non solo dei ponti. Dopo aver pensato tutto questo, ne ho parlato con della gente con cui solitamente lavoro, e così è nata la realizzazione dello spettacolo. Uno spettacolo fatto di recitazione, di musica e di immagini video.
Permettimi un’ultima considerazione: fare architettura non è un mestiere come un altro, fare architettura vuol dire modificare qualcosa che ci arriva direttamente dall’eternità. La responsabilità di ciò, io la considero enorme. Non sono ovviamente d’accordo sul concetto hegeliano che tutto si evolve, e si distrugge, in un eterno processo di sintesi. Io spero che gli architetti rifuggano sempre da tale categoria filosofica. Ho scritto questo testo pensando anche ai giovani studenti d’architettura, sperando di ricordargli che l’osservazione e l’etica saranno fondamentali per il loro futuro lavoro.
30 aprile 2008 (Ultima modifica 8 agosto 2012)
__________________________________________