30 aprile 2008

0012 [SPECULAZIONE] Uno stretto ponte intervista a Carmelo Pennisi...

di Salvatore D'Agostino 

   Intervista a Carmelo Pennisi curatore insieme a Massimiliano Durante dei testi di “Il Ponte” evento speciale il 3 maggio all’Auditorium di Roma. Monologo interpretato da Alessandro Preziosi con musiche di Stefano Di Battista.

Salvatore D'Agostino Perché una pièce teatrale sul ‘ponte sullo stretto’? 

Carmelo Pennisi A me non interessava trattare l’argomento ponte, in quanto ponte, ma interessava parlare proprio del ponte sullo stretto. Per una serie di molteplici ragioni, che in parte potrai immaginare, il ponte sullo stretto rappresenterebbe la sfida delle sfide, per un paese come l’Italia ormai persosi in un vicolo senza uscita di occasioni perse e speranze spesso disattese. Questo non vuol dire che io sia d’accordo con la sua costruzione, né che ne sia contrario. Dico soltanto che il Paese, in questo difficile momento, ha bisogno di cercare delle sfide che lo mobilitino.
   La mobilitazione, secondo me, porta sempre un risveglio sociale e culturale. Ovviamente non è compito di un’artista, qual io sono, dare giudizi politici di merito, anche ove mai questi ci fossero. L’arte deve avere il solo compito di osservare e interrogarsi. Il ponte sullo stretto ha anche per me, in quanto siciliano, un valore affettivo e di ricordo. Tutti i siciliani, da quando nascono, sentono parlare del ponte sullo stretto. C’è dell’inquietudine nel farlo, perché spesso tutti ci dicono che altre sono le priorità della nostra isola (mancanza d’acqua, ospedali, strade, ecc.), che non il ponte. Ma mi chiedo, e credimi senza nessun accento polemico: qualcuno si è posto, in questi giorni, della cronica mancata risoluzione dei problemi dei pendolari dell’hinterland milanese, allorché Milano si è aggiudicata l’expò 2015? Qualcuno ha detto che bisogna trovare prima i soldi per i pendolari e poi fare un’expò? Non credo di aver sentito una considerazione del genere. E non l’ho sentita perché, giustamente, sarebbe stato mettere in relazione due problemi (expò e pendolari), che nessuna relazione hanno tra loro. Allora dire sì o no al ponte sullo stretto, secondo me, non deve essere una decisione presa sulla scorta di mancanza d’acqua, di ospedali, di strade; ma deve essere una scelta ponderata su ciò che vorrebbe dire per lo sviluppo urbanistico di quell’area (Reggio Calabria e Messina), per ciò che vorrebbe dire per lo sviluppo economico, per ciò che vorrebbe dire per lo sviluppo sociale e culturale. Se il gioco non dovesse valere la candela, per usare un vecchio detto, allora va bene dire no alla sua costruzione. Ma sia chiaro, che questo è solo uno dei tanti ragionamenti che ho fatto prima di scrivere il testo, perché il ponte sullo stretto per me rimane una grande metafora sulla vita e sulla necessità della progettazione. 

Un terzo delle morti bianche in Italia avviene nell'edilizia ed è fisiologico la morte per le costruzione di grandi opere, chi è il suo operaio? 

Il mio operaio rappresenta tutti gli uomini semplici, che sono la maggioranza, che chiede insistentemente conto delle ragioni della sua morte. Non ha paura di morire, sia chiaro, ha solo paura di morire per una cosa senza progetto, per una cosa senza futuro. Costruire una grande opera architettonica sappiamo che costa, come ci dicono tutte le statistiche, delle morti sul lavoro. Quindi è come se un paese ci chiedesse di andare in guerra, di combattere per lui, di vincere questa guerra per il suo futuro. Allora l’operaio vorrebbe che gli mostrassero questo futuro, prima di partire per la guerra. L’operaio ci ricorda, in ogni momento, che compito della classe dirigente è quella di dare un senso ai sacrifici degli uomini semplici. 

Qual è lo scarto tra l'idea e la realizzazione? 

Non so come rispondere di preciso a questa domanda. L’idea mi è venuta un giorno, quando improvvisamente mi sono ricordato bambino, sulla nave traghetto, mentre guardavo la Sicilia che si avvicinava: era, per me siciliano, sempre un’emozione. Poi ho pensato all’orgoglio di essere un isolano. Poi ho pensato a me isolano, inserito in un contesto come l’Italia. Alla fine ho ragionato sul difficile momento del paese e sull’importanza della progettazione di qualsiasi cosa, non solo dei ponti. Dopo aver pensato tutto questo, ne ho parlato con della gente con cui solitamente lavoro, e così è nata la realizzazione dello spettacolo. Uno spettacolo fatto di recitazione, di musica e di immagini video. 
   Permettimi un’ultima considerazione: fare architettura non è un mestiere come un altro, fare architettura vuol dire modificare qualcosa che ci arriva direttamente dall’eternità. La responsabilità di ciò, io la considero enorme. Non sono ovviamente d’accordo sul concetto hegeliano che tutto si evolve, e si distrugge, in un eterno processo di sintesi. Io spero che gli architetti rifuggano sempre da tale categoria filosofica. Ho scritto questo testo pensando anche ai giovani studenti d’architettura, sperando di ricordargli che l’osservazione e l’etica saranno fondamentali per il loro futuro lavoro.

30 aprile 2008
(Ultima modifica 8 agosto 2012)

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4 commenti:

  1. il ponte sullo stretto .... opera d'arte o architettura?
    Carmelo Pennisi idealizza l'opera ponte, la eleva a intervento capace di un risveglio sociale e culturale, non solo per i siciliani ma per tutta l'italia. apprezzo l'ottimismo ma non credo che la sicilia o l'italia avranno grossi vantaggi dalla realizzazione di un intervento del genere.
    l'accento viene spostato sulla durevolezza di un intervento del genere che deve ambire all'eternita' , consacrando cosi' il progresso dell'uomo e porsi a competere con i simboli degli expo dei secoli passati........le tendenze di oggi invece ci riportano ad una concezione del tempo intesa alla modalita' greca (AION), la temporaneita' degli interventi, e non dimentichiamoci soprattutto che la prima funzione del ponte deve essere quella di una infrastruttura!!!
    le infrastrutture hanno senso quando vengono utilizzate sempre (ricordate le famose cattedrali nel deserto?)..... secondo diversi studi il ponte verrebbe utilizzato la meta' dei giorni durante un anno a causa del vento dello stretto.....solo questa e' una motivazione per me sufficiente per non costruirlo... eppoi non dimentichiamoci che non verrebbero coinvolti artisti per la progettazione, ne' architetti sensibili alla questione sociale o ambientale...il ponte purtroppo e' ancora un'occasione di sviluppo non per la sicilia, non per i siciliani, e' la piu' grossa ambizione della mafia.
    pertanto e' corretto parlare del ponte come la grande metafora della vita...proprio perche' un architetto non puo' e non deve essere convinto che il ponte non va fatto!!!!
    un giovane architetto con-fuso

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  2. Anche io mi dico sempre: "che ci andiamo a fare su marte? ci sono ben altre cose importanti e urgenti da fare....."
    eppoi è ovvio che alla mafia i soldi per ospedali, trni, autostrade, sonsolidamenti geologici, gli fanno schifo, che li facciamo a fare?

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  3. giovane architetto con-fuso,
    il ponte è e resta una metafora della politica-affaristica italiana dell’ultimo quarantennio.
    Carmelo Bene parlava del ‘sud del sud dei santi’ come “cartina di tornasole dell’intera Europa”.
    Un concetto ripreso dal teatro (come scrittura scenica) di Emma Dante e Antonio Latella (ma vedi anche Vincenzo Pirrotta).
    Per capire meglio il concetto di mafia ti copio e incollo un’intervista ad Antonio Latella:

    - Antonio, tu sei nato nel sud Italia, dirigi un teatro a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, nel centro del territorio della Camorra. Cosa ti spinge a fare uno spettacolo sulla mafia?
    Il bisogno di provare a fare qualcosa di importante per il mio paese e per i giovani.
    Il bisogno di giustizia.
    Il bisogno di dire “basta”.
    Il bisogno di sentirsi utili.
    - Hai dato il titolo “Mamma mafia” allo spettacolo. Mamma mafia e padre stato? Cosa c´è dietro questo titolo?
    Oltre alla dichiarata ironia, ad un italiano si può toccare tutto, tranne la mamma… Nella mamma io vedo la Patria, intesa come terra e non come Stato o come governo. Parlare di mafia è terribile perché vuol dire parlare di famiglia, del sistema della famiglia. Parlare di mafia cambia da regione a regione, da paese a paese, da famiglia a famiglia. Parlare di mafia vuol dire parlare di religione, vuol dire parlare di chiesa, di educazione, di asilo, di scuole elementari, di liceo, di colonia per bambini, di centro estivo, di vacanze, di fabbrica, di sindacato, di legislatura, di speranza, di paura, di foto di famiglia, di ricordi, di emigranti, di paese che si svuota e va in America, di comunismo, di democrazia cristiana, di prima Repubblica. Non esiste Italia senza mafia, sono italiano e mi fa male, ma si cresce in modo diverso in ogni paese con ogni dialetto ma con mafie diverse...la mafia è, non si spiega, esiste punto e basta.
    - Dopo la "Trilogia della villeggiatura" e la "Metamorfosi e altri racconti" di Kafka questa sarà la tua terza regia allo Schauspiel Köln. Anche stavolta sarà una produzione in due lingue. Che effetto ha il lavoro con attori italianoe tedeschi sul tema mafia?
    Lavorare con due lingue è una grande possibilità, unica. Due lingue per un solo discorso, due culture per fare capire che il pensiero mafioso non si può più solo circoscrivere all’ Italia, il pensiero mafioso è come una piovra che con i suoi tentacoli ha invaso l’intero mondo. Dove c’è povertà arriva la mafia, dove c’è ricchezza la mafia si è già installata.
    - Ci sono delle esperienze personali, che tu hai avuto con la mafia?
    Ogni giorno la mafia è una esperienza personale. Ogni giorno mi confronto con la mafia, è in tutto: dalla coda alla posta, al panettiere...dai soldi che si danno ai teatri, dai premi che si danno ai teatri, ai registi, agli attori... La mafia non è una cosa, è un pensiero, che nasce da quando il paese era diviso in feudi ma nonostante questo l’uomo ha alzato la testa ed ha vissuto il Rinascimento, nonostante questo le teste pensanti vivono oltre il marcio e i rifiuti e lottano e magari decidono di denunciare con un libro, con un film, con una canzone, con una manifestazione, con uno spettacolo, con un urlo. Ho paura di non riuscire a fare giustizia con questo spettacolo, allora in quel caso la mafia mi farebbe più paura, perché avrebbe vinto anche su di me. La mafia si è già raccontata da sola, ha prodotto film, ha costruito città, ha innalzato chiese, ha banche in tutto il mondo…noi la chiamiamo mafia, voi?
    - Pensi che si possa sconfiggere la mafia?
    Bisognerebbe spegnere i cervelli degli uomini e questo è impossibile.

    Bisognerebbe spegnere i cervelli a presto,
    Salvatore D’Agostino

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  4. qfwfq ,
    riporto anche ciò che hai scritto su fb:

    «sai che ho sempre pensato che la maggior parte delle obbiezioni alla costruzione del ponte fossero assolutamente ideologiche basate su considerazioni che in ogni caso se vere vorrebbero dire abbandonare l'isola a se stessa e non fare più nulla. Prima tra tutti la motivazione che dice "il ponte sarebbero solo soldi alla mafia", come se alla mafia i soldi investiti su altre opere gli fanno schifo (treni, ospedali, sistemazioni idrogeologiche, ecc.). L'altro luogo comune è invece il cd benaltrismo (prima di questa opera ci sono altre cose da fare), un sempre verde che pure non dovrebbe consentire di impiegare alcun fondo (almeno finchè non si risolve la fame nel mondo......)».

    Come dicevo al ‘giovane architetto confuso’ non è una questione di ‘ponte’ ma d’identità condivisa.
    ‘Nel sud del sud dei santi’- riprendendo ‘Carmelo Bene’ – i santi sono gli uomini di potere.
    Il ponte è la cartina di tornasole ‘politica-sociale’ delle mafie di potere del nostro paese.
    Le mafie si nutrono di un’atavica cultura ‘familistica’ molto amata anche da moltissimi governanti del nord.
    Il ponte è una metafora dei nostri tempi.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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