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31 gennaio 2012

0054 [MONDOBLOG] Il denotatore digitale: Marco Brizzi

di Salvatore D'Agostino
«Nel 1999 (sic ndr 1995) nasce «arch'it», diretta da Marco Brizzi, tuttora la più solida e conosciuta tra le riviste di architettura online con base in Italia. Non è secondario che «arch'it» nasca a Firenze e leghi il proprio nome fin da subito a un festival annuale di architettura e media («Image»). Sembra una pietra filosofale, il detonatore digitale è piazzato proprio nel cuore di una delle facoltà di architettura meno disponibili all'innovazione e in un colpo solo riesce a mettere nel mirino di uno sguardo «aperto e disincantato» anche i rapporti tra architettura e media […] La bomba esploderà avrà successo, anche se a qualche anno di distanza si può dire che certamente ha creato dei nuovi poteri ma forse non è riuscita che marginalmente a mettere in crisi il sistema di potere che sembrava essere in grado di indebolire più a fondo. È certamente riuscita, però, a produrre due fenomeni.

Il primo è stato quello ovvio dell'emulazione, per cui negli anni successivi abbiamo dovuto assistere a un proliferare incontrollato di direttori self-appointed di riviste digitali, pronti a definirsi critici di architettura e spargere senza paura giudizi tranchant su questo e quel maestro e apprezzamenti quasi erotici su progetti di amici e conoscenti.

Il secondo, potenzialmente più rilevante, è stato quello di «far crescere» una generazione di critici e aspiranti critici (o teorici) dell'architettura, che trovano finalmente sulle pagine di «arch'it» quello spazio e quella libertà di selezione dei contenuti che le riviste e i giornali non sembrano voler concedere.» (Pippo Ciorra)1

Nel novembre del 2010 fa scrivevo*: 
«Dopo le ripetute incursioni nel mondo dei blog*, è arrivato il momento di mettere ordine tra le pagine scritte nel Web in questi anni.
Cominciamo a rispondere alla domanda posta qualche tempo fa su questo blog: chi è stato il pioniere dei blog di architettura?*

La risposta è: Marco Brizzi con  la creazione di arch’it nel marzo 1995  (aveva appena compiuto 28 anni).2

Arch’it è una semplice pagina bianca con pochi e chiari rimandi alle rubriche. In questi quindici anni ha ospitato gli scritti dei migliori critici/architetti  - e non solo – italiani. Mantenendo un registro critico e disinteressandosi all’aspetto ‘virale’ di internet o ‘all'estetica Web' del momento. Usando la rete come pagina d’approfondimento e non come campo di una rivoluzione in corso.
Per Arch’it il web log ha la stessa radice della pagina cartacea: la scrittura.
Di seguito il colloquio avvenuto nel pomeriggio del 14 luglio scorso con Marco Brizzi.

 Salvatore D'Agostino Questa è un'homepage del 1998, l'anno del tuo inizio come direttore editoriale di arch'it.
Quali erano le idee guida di quegli anni? 

Marco Brizzi Dove l’hai trovata, su archive punto org? 

Sì.

Bella!
Idee guida vere e proprie, per arch'it, ho preferito non definirne. C'erano, naturalmente, all'origine, delle scelte editoriali delle sensibilità, delle ipotesi. E molte domande. Nel seguire il lavoro avviato dai miei amici mi interessava sfruttare la Rete per misurarne la capacità adattativa, per porre dei temi e delle questioni che altre forme dell'editoria di architettura, in quel momento, non avevano interesse a porre. Nell'Internet stavano nascendo diverse attitudini e mi sembrava opportuno contribuire a stimolarle.

Quando si iniziano dei percorsi si stilano, non dico dei manifesti, ma dei punti programmatici. 

In questo caso le azioni sono state guidate in larga misura dalla spontaneità. Non un progetto editoriale vero e proprio, quindi, né qualcosa di simile. Per me arch'it si poneva in linea di continuità con lo spirito del gruppo che aveva fatto nascere quello spazio web nel 1995. Mi interessava mettere alla prova l'efficacia di alcuni temi. In questo senso, c'è stata una progressiva e variabile messa a punto delle idee; ed è questa, semmai, che ha descritto nel tempo un orientamento e, se vuoi, un percorso. Non ho sentito la necessità di produrre un manifesto. So che qualcuno è rimasto sorpreso nel non ritrovare sulle pagine di arch'it esplicite dichiarazioni che accompagnassero la mia conduzione. 

Il tuo lavoro su arch'it è simile al lavoro di un editore poiché, benché rari siano i tuoi scritti, interessanti sono i contributi che in questi anni sei riuscito a far pubblicare. Su arch'it hai dato spazio ai maggiori critici sia emergenti e non, sei un catalizzatore e divulgatore - in senso positivo - del dibattito sull'architettura?

Questa considerazione è interessante.
È vero, non mi sento di avere determinato un percorso rigoroso, semmai ho cercato di fare spazio e di accomunare delle figure che, concordo con te, ho avuto la fortuna di coinvolgere e che hanno contribuito alla costruzione di arch’it, molto di più di quanto non abbia fatto io.
Credo che questo abbia a che fare con la 'naturalità' del percorso compiuto. Percorso tanto naturale che a volte si è atrofizzato, a volte si è sviluppato con maggiore impeto, a seconda delle occasioni e anche delle disponibilità di tempo e d'animo delle persone che hanno collaborato al progetto.
Ho avuto la fortuna di non dovere sottostare a delle regole di mercato editoriale, cosa che ha comunque penalizzato, probabilmente, alcuni aspetti della rivista.
 

Arch’it è totalmente gratuita?

Si tratta di un lavoro di gruppo. E sono davvero numerose le persone che hanno collaborato alla rivista in maniera molto spontanea e generosa.

Rileggendo il tuo dialogo con Luigi Prestinenza Puglisi nel libro La generazione della rete ho avuto la sensazione che il giovane, cioè tu, cercava ti placare il web ottimismo del vecchio – anagraficamente - LPP. 
Riprendo la riflessione finale:
«L'accademia si afferma anche alimentandosi con l'avanguardia, talvolta fagocitandola. Nessuno di noi vorrebbe che questa generazione, un po' come quella descritta da Roman Jakobson alla fine degli anni Venti, dissipasse i propri poeti. Poeti e non poeti, i progettisti qui presenti (ndr A12, amgod#n, Alessandro Carbone, Centola & Associati, Cliostraat, Greco Onori Oppici, HOV; ma0/emmeazero, Mantiastudio, Gianluca Milesi, nicole_fvr/2A+P, Spin+, Stalker e UFO) sono alla ricerca di ambiti di produttività, di campi d'indagine e di azione. Hanno avvicinamenti molto diversi ai problemi che abbiamo sommariamente discusso, hanno idee distinte e progettano secondo criteri disomogenei tra loro. Ad accomunarli qui è l'appartenenza a una generazione che, consapevolmente o meno, contribuisce alla definizione di un ambito di sviluppo dell'architettura connaturato alla cultura della rete.»3 
A proposito di generazione e disomogeneità, due domande. La prima è un po' brutale, che fine ha fatto quella generazione della rete? 

La domanda è importante. Effettivamente la sensazione che qualcosa stesse accadendo -e che, se non si fosse percepita l'importanza del momento, qualcosa si sarebbe irrimediabilmente perduta- la sottoscrivo. E credo che, osservando oggi i processi che si sono succeduti, qualcosa si sia definitivamente perso; si è perso il momento dell'entusiasmo, della scoperta, della volontà d'impossessarsi di strumenti nuovi, di argomenti nuovi da trasferire nel mondo dell'architettura. Questo è durato un certo periodo, forse dura ancora oggi in qualche misura, ma non siamo più negli anni delle grandi speranze, che farei corrispondere al quinquennio 1995-2000. 

Che cosa è successo dopo?

Che alcune delle figure che hanno familiarizzato con la Rete, frequentandola per farla diventare un'effettiva risorsa, hanno avuto la capacità di continuare il loro discorso e di farlo crescere. Il Web è materia duttile, non può essere oggettivata o considerata uno strumento in se stesso definito e concluso. Si tratta a tutti gli effetti di un ambiente che si arricchisce di idee, di interpretazioni, di significati, che si strutturano attraverso l'uso. Tornando alla tua domanda, alcuni gruppi hanno poi cambiato il loro percorso per poi trovare nuovi canali nei quali scorrere. Altri hanno smesso di ricercare. Qualcuno è scomparso. Ma tutto questo è nella natura delle cose. Non ho pensato mai, in fondo, -e credo che fosse già argomento del dialogo con Prestinenza- che la rete fosse un ambiente esclusivo e confortante. 

La seconda la introduco con un aneddoto di Umberto Eco raccontato a Bologna il 15 maggio del 2011 (Costruire il nemico):
«Anni fa a New York sono capitato con un tassista dal nome di difficile decifrazione, e mi ha chiarito che era pakistano. Mi ha chiesto da dove venivo, gli ho detto dall'Italia, mi ha chiesto quanti siamo ed è stato colpito che fossimo così pochi e che la nostra lingua non fosse l'inglese.

Infine mi ha chiesto quali sono i nostri nemici. Al mio "prego?" ha chiarito pazientemente che voleva sapere con quali popoli fossimo da secoli in guerra per rivendicazioni territoriali, odi etnici, continue violazioni di confine, e così via. Gli ho detto che non siamo in guerra con nessuno. Pazientemente mi ha spiegato che voleva sapere quali sono i nostri avversari storici, quelli che loro ammazzano noi e noi ammazziamo loro. Gli ho ripetuto che non ne abbiamo, che l'ultima guerra l'abbiamo fatta cinquanta e passa anni fa, e tra l'altro iniziandola con un nemico e finendola con un altro.
Non era soddisfatto. Come è possibile che ci sia un popolo che non ha nemici?
Sono sceso lasciandogli due dollari di mancia per compensarlo del nostro indolente pacifismo, poi mi è venuto in mente che cosa avrei dovuto rispondergli, e cioè che non è vero che gli italiani non hanno nemici. Non hanno nemici esterni, e in ogni caso non sono mai in grado di mettersi d'accordo per stabilire quali siano, perché sono continuamente in guerra tra di loro, Pisa contro Livorno, Guelfi contro Ghibellini, nordisti contro sudisti, fascisti contro partigiani, mafia contro stato, governo contro magistratura – e peccato che all'epoca non ci fosse ancora stata la caduta del secondo governo Prodi altrimenti avrei potuto spiegargli meglio cosa significa perdere una guerra per colpa del fuoco amico.»4 
Non credi che gli architetti italiani, nel loro farsi la guerra, siano stati sempre - aggiungo fortunatamente - disomogenei? O meglio non credi che la bellezza dell’architettura italiana dipenda dalla sua frammentaria identità? 

Trovo l'esempio molto appropriato e mi convince la tua ipotesi. La nostra identità ha anche a che fare con l'atteggiamento individualistico che si ritrova anche negli ambienti dell'architettura. Può darsi, allora, che la caleidoscopica frammentarietà che descrive l'architettura in Italia si ricomponga poi sotto forma di una figura cangiante. Inafferrabile e incerta al punto da indurre ancora qualcuno a pensare che questo Paese sia favorevole alla  progettualità. A me, in fondo, piace pensare che sia così. Eppure questo individualismo non si traduce in una vera e propria conflittualità. La necessità del nemico sulla quale si è soffermato recentemente Eco potrebbe anche offrire occasioni di confronto e di crescita culturale. 
La crisi che affligge le nostre facoltà di architettura, per fare un esempio, è una crisi culturale. Al di là dell'implosione strutturale che le sta coinvolgendo -è di questi giorni la dibattuta questione di Palermo5- i luoghi dove si insegna l'architettura in Italia sono spesso carenti di programma e incapaci di una reale competitività. L'assenza, o la mancata identificazione, di un "nemico" contro il quale le giovani generazioni dovrebbero in qualche modo disporsi non alimenta dei nuovi percorsi culturali. 

Nella recente Festarch di giugno 2011* e a Firenze all'interno dell'evento pensare spazi contemporanei* a luglio 2011 insieme a Derrick de Kerckhove, Stefano Boeri, Luigi Prestinenza Puglisi, Joseph Grima, Marco Biraghi, Pietro Valle ed Elisa Poli avete riflettuto sull'apporto delle nuove tecnologie di comunicazione nell'architettura.
Che cosa è emerso? 

Si tratta di iniziative assai diverse per forma e dimensione. Ma forse le accomuna una certa attenzione al discorso che l'architettura può sviluppare nella città contemporanea. Il festival diretto da Stefano Boeri e che si è recentemente spostato a Perugia ha intimamente a che fare con il tema mediatico, anche se non lo affronta in maniera esclusiva così come invece fa BEYOND MEDIA,* la manifestazione da me diretta a Firenze e dedicata, dal 1997, all'esplorazione del rapporto tra architettura e media. Al contempo, il programma PENSARE SPAZI CONTEMPORANEI,* che ti ringrazio di avere preso in considerazione, è un progetto più errabondo: da una parte si preoccupa del ruolo della critica nell'architettura e dall'altra cerca di mettere in discussione e di frantumare il senso, o quello che resta di un senso sovente svuotato, di alcune parole che ricorrono in pubblicazioni di architettura.

Purtroppo in rete non ho trovato nessun approfondimento, neppure una sintesi su Abitare, promotrice di uno dei due incontri. M'interessa capire quello che è emerso.

Ho partecipato a uno degli incontri di Festarch, intitolato Architecture and New Media, con Joseph Grima, Stefano Boeri e Derrick de Kerckhove. Ho sentito di dover in qualche modo interpretare il messaggio che Joseph Grima aveva proposto nella sua triplice occasione dei "Critical Futures Debates" che aveva organizzato con Domus a Londra, Milano e New York. In quelle occasioni -tu sei consapevole di cosa si sta parlando perché hai partecipato all'incontro milanese- ricorreva l'interrogativo sulla capacità della Rete, in particolare dei blogger, di reinterpretare o ridefinire il ruolo della critica di architettura. Questo era il tema che mi sembrava più importante da discutere, tant'è che lo ho poi riproposto insieme a Elisa Poli in occasione del ciclo di incontri PENSARE SPAZI CONTEMPORANEI, chiedendo agli ospiti di discutere "dove si annida la critica". Mi sono domandato questo, forse ingenuamente, alla ricerca dei dispositivi critici più convincenti realizzati in Rete. La sensazione è che, specialmente se si guarda agli autori italiani, la qualità sia alterna e solo occasionalmente convincente. Non so se sei d'accordo con me su questo punto, ma ho l'impressione che spesso, dalle nostre parti, l'editoria di architettura in generale e il Web in particolare siano usati come mezzi di espressione di un protagonismo personale.

A tal proposito ho svolto una ricerca, perché penso che prima di elaborare una critica, bisogna guardarsi intorno, conoscere ciò che sta avvenendo e in questo caso percorrere la Rete.
Attraverso lo strumento inchiesta, ho aperto un'indagine inclusiva di voci della blogosfera inerente l’architettura italiana.*  Ciò che ne emerso è complesso e variegato, richiederebbe una risposta elaborata. Ti sintetizzo due temi sottesi ma contrastanti tra di loro.
Il primo tema è quello che Mario Perniola chiama degli incazzati in pigiama6. La rete italiana, specialmente negli ultimi cinque anni, si è rispecchiata nel peggio dei media generalisti tradizionali che spesso avallano e rilanciano i blogger incazzati in pigiama, ad esempio il blog di ‘Beppe Grillo’ e similari; blogger ormai diventati dei professionisti della rete, che difficilmente attivano delle sinergie positive, con contenuti soventi bloccati su parole chiave, nel caso dell'architettura sono: archistar, centro storico, periferia, non luogo, effetto x, y e z, ecomostro, bioX o ecoX, contro A o contro B, eccetera.
I numeri, sia di copie vendute che di accessi, sembrano premiare questo tipo d'informazione incapace di analizzare, approfondire, rilevare ciò che ci succede intorno.
I blog, reiterando i titoli urlanti dei giornali, si dimenticano di osservare il sottobosco creativo e meno frignante che esiste e resta invisibile.
Il secondo tema è costituito dai blog (anche temporanei) che vengono letti forse da pochi lettori ma, come ricordava il direttore del Censis,7 gestite spesso da persone che si ostinano a non omologarsi al peggio e, dal mio punto di vista, stanno producendo ricchezza.
Temo che i critici, in questo momento storico, non riescano ad osservare questi territori di energia latenti, pensano che la Rete sia costituita solo dagli incazzati in pigiama e dimenticandosi di osservare i percorsi blogger più lenti e rilevanti.

Esistono nel Web velocità diverse e diverse capacità di propagazione. Non un catalogo se non il Web stesso, che costantemente ricostruisce i propri molteplici indici intorno alle preferenze e agli interessi dei suoi utenti. La critica può manifestarsi in zone più o meno 'calde' e costruire intorno a sé imprevisti ambiti di interesse e di applicazione. Credo che per poter cogliere quello che accade in quelli che tu chiami 'territori di energia latenti' occorra maturare maggiori duttilità e capacità di osservazione. 

A proposito della convergenza del cartaceo con il Web, di recente, ho letto il libro di Marco Biraghi MMX Architettura zona critica e sono rimasto deluso dalla semplice trasposizione dei contenuti apparsi nel suo sito Gizmo.8 Un’operazione analogica.
Io penso che i due media, il libro e il Web, abbiano linguaggi distinti. Il Web ci offre una diversa profondità, la rete non è solo una pagina, è audio, video, link, immagine con tutte le sue infinite quotidiane varianti. È qualcosa d’informale ma nello stesso tempo profondo, dove si ci può incontrare. Queste peculiarità non possono essere trascurate, non possiamo più pensare di replicare degli articoli cartacei in rete. 

Il libro di Marco Biraghi sembra modellato su il BLDBLOG di Geoff Manaugh* che è anch'esso una trasposizione di testi prodotti per la Rete e poi messi su carta. Iniziative editoriali come questa testimoniano la presenza e la rilevanza di contenuti che, nati nel Web, possono soddisfare diversi mercati editoriali e raggiungere diverse comunità di lettori. Nel compiersi, queste contaminazioni o questi travasi, che sovente si realizzano nell'editoria degli ultimi anni, descrivono la variabilità dei linguaggi che appartengono a diversi ambiti di produzione. Questo perché, appunto, i contenuti sono condizionati dai luoghi in cui si offrono. Possono addirittura descriverli: se io scrivo qualcosa su Web risento, in qualche modo, della spazialità che essa mi offre. Mentre scrivo ho la percezione diretta del fatto che, quello che scrivo, lo sto scrivendo per una comunità amplissima, indeterminata e anche indefinita nel tempo.

Qualche anno fa Pietro Valle, uno degli autori che con maggiore impegno si sono rivolti ad arch'it, mi ha proposto di sviluppare un programma secondo il quale estrarre, sulla base di scelte curatoriali di volta in volta differenti, articoli contenuti nel grande deposito delle pubblicazioni della rivista, per dare luogo a dei volumi cartacei. Tale programma, consapevole dei variabili linguaggi usati, prevedeva la riscrittura dei pezzi stessi e il loro adeguamento alle esigenze e alle consuetudini della carta. Trovo ancora interessante l'esperimento fatto con "arch'it papers" -così si chiamava il progetto di cui è uscito un solo volume- e ritengo sia sempre opportuno tenere in considerazione la pertinenza di ciascun mezzo di comunicazione. In ogni caso credo di poter dire che arch'it ha spesso agevolato le pratiche di trascrizione e di migrazione di contenuti, andando talvolta contro quello che il senso comune suggerirebbe solitamente all'editoria. 

Infatti, non criticavo l’idea di trasporre i contenuti prodotti nella Rete in un libro, bensì l'idea di copia incollarli in direzione analogica. Mi convince l'approccio di Pietro Valle che riscrive in formato cartaceo ciò che è stato scritto in rete, operazione opposta a quella di Marco Biraghi, il suo libro sembra un patchwork di scritti proposti in rete, con l'aggravante dell'aggiunta degli elementi che ammiccano al linguaggio della rete: la manina dei link, le tag e il mi piace che non appartengono al linguaggio grafico di un libro. Trasporre la grammatica web in un libro, secondo me è un'operazione debole. Si sono mescolati due linguaggi diversi in un unico contenitore. Ad esempio il libro La generazione della rete del 2003 era caduto in questa trappola grafica ma erano anni di sperimentazione, quasi pioneristica. 

Questo è un punto molto importante sarebbe interessante svolgere un confronto diretto su questi argomenti magari in Rete?
Tu hai cercato di porre questi tuoi argomenti a Marco Biraghi? 

No. 

Penso che varrebbe la pena discuterne.

Dopo questa conversazione, possiamo ampliare il nostro dialogo. Sarei interessato a un dibattito attivo sui temi dell'architettura. Non bisogna pretenderlo, ma, se continuiamo ad invitare o magari ospitare nei nostri siti due o tre persone che la pensano alla stessa maniera, rischiamo l’autoreferenzialità di cui parlavi prima, rimanendo dei mondi isolati, atteggiamento ereditato dalle riviste cartacee dell'ultimo ventennio, incapaci di attivare un dialogo sui temi del contemporaneo e che hanno perso la tradizione dialogica che li vedeva confrontarsi spesso con precisi e importanti editoriali, penso a Pagano con Piacentini o Maldonado con Mendini.
La rete, in tal senso, ci offre altri canali, anche se a volte gli assalti degli incazzati in pigiama deviano il dialogo in un groviglio di parole chiuse, spesso ideologizzate che scadono nell'invettiva. Ma è indubbio che la Rete offre degli spazi nuovi, latenti e forse virtuosi.

Coltivare queste insoddisfazioni non può far che bene. Credo dovrebbero essere spinte al di là della ricerca delle configurazioni ideali o idealizzate riguardo agli usi dello spazio web. Gli strumenti e le forme di scrittura hanno una forte incidenza nella produzione dell'architettura. Il lavoro critico sull'editoria e sulle possibilità di pubblicazione dell'architettura è decisivo per la crescita della cultura del progetto. Questo atteggiamento trascende lo strumentario, benché aperto e formidabile, offerto da Internet. Occorre coltivarlo e incorporarlo nel pensiero progettuale. 

Condivido e penso che possiamo chiudere con quest'auspicio.
  
31 gennaio 2012
Intersezioni ---> MONDOBLOG
__________________________________________
Note: 
1 Pippo Ciorra, Senza architettura, Laterza, Roma-Bari, pp. 73-74 
2 per capire meglio la storia di arch'it vi suggerisco di leggere: Salvatore D'Agostino, 0053 [MONDOBLOG] Dadarch'it, Wilfing Architettura, 19 gennaio 2012* 
3 2A+P, Marco Brizzi, Luigi Prestinenza Puglisi, GR - La generazione della rete. Sperimentazioni nell'architettura italiana, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2003, pp. 224-225.  
Interessante questa  breve storia dell'editore Cooper & Castelvecchi: «Il marchio editoriale Castelvecchi è stato fondato nel 1993 sull’onda di Internet, dei Cibernauti e della nuova cultura giovanile che ruggisce sul Web e nei centri sociali. Ha lanciato a suo tempo, nel 1995, due dei più noti «cannibali», che hanno pubblicato con Castelvecchi il loro esordio: Aldo Nove con «Woobinda» e Isabella Santacroce con «Fluo». Per non parlare del fenomeno Luther Blissett, che esordisce da Castelvecchi nel 1995 con «Mind Invaders», e impazza per tutti gli anni Novanta prima di trasformarsi nel collettivo Wu Ming. O del fantomatico Reverendo William Cooper, che con oltre ventimila copie vendute sdogana il «Sesso estremo» per un’intera generazione. Libro d’esordio castelvecchiano anche per il critico e scrittore romano allora 28enne Emanuele Trevi (in seguito da Einaudi, Mondadori, Laterza): è già un classico il suo Istruzioni per l’uso del Lupo, una lettera aperta a Marco Lodoli sulle aberrazioni della critica. Mentre la stagione dei centri sociali volge ormai al tramonto, sul finire degli anni Novanta Castelvecchi si dedica alla nuova generazione di pittori e artisti digitali italiani. Con il lavoro dei critici Gianluca Marziani (allora 27enne, autore del saggio «N.Q.C. Nuovo Quadro Contemporaneo») e Luca Beatrice e Cristiana Perrella (allora 30ntenni, autori di «Nuova arte italiana») e decine di altri critici e curatori, Castelvecchi pubblica i lavori di esordio della nuova generazione visiva e visionaria: suoi il primo libro di Matteo Basilé, di Alessandro Gianvenuti, di Giuseppe Tubi e decine di altri cataloghi di personali e collettive. E non mancano incursioni nel campo della nuova «Rave Culture», con libri dedicati alla trance elettronica, ai nuovi dj chimici e all’acid jazz grazie al lavoro di curatori come il dj romano Andrea Lai e il jazzista Francesco Gazzara».* 
4 Umberto Eco, Costruire il nemico, Testo integrale dell’intervento tenuto il 15 maggio 2011 a Bologna nell’ambito del ciclo di conferenze “Elogio della politica” curato da Ivano Dionigi presso l'Università di Bologna.*   
5 Per un approfondimento vi suggerisco di leggere un breve post di Antonino Saggio: Chiusura della Facoltà di Architettura di Palermo, Conferenze e talks of Architettura by Antonino Saggio, 15 luglio 2011. * 
6 Editoriale di Mario Perniola, Scrivere, scrivere… perché?, Agalma, n. 17, marzo 2009* 
7 Il direttore del Censis Giuseppe Roma in un recente convegno sui maggiori disturbi depressivi sociali degli italiani evidenzia come ne siano affette le persone più fragili ma a sua volta le più sensibili, poco ciniche quelli non accettano di omologarsi al peggio: «Proprio quest’ultima forma di reazione alla società del disordine e della confusione, che non è una forma di adattamento, ma l’espressione di una sofferenza individuale, può paradossalmente essere espressione di sana potenzialità. Disturbi psichici come segno di reattività, di non conformismo, di ribellione. La speranza è che correnti vitali nella società possano captare la reattività di sofferenza dei singoli e riconvogliarle verso una ripresa della consapevolezza sociale». Rita Piccolini, Soli, impauriti, 'barricati' in casa, Televideo, 15 giugno 2011.*   
8 Ciò che manca premessa al libro a cura di Marco Biraghi, Gabriella Lo Ricco, Silvia Micheli, MMX Architettura zona critica, progetto grafico Pupilla Grafik, Zandonai, Rovereto, 2010.* 

L'intervista fatta il quattordici luglio del 2011 è stata rivista e aggiornata il trenta gennaio del 2012. La foto animata è composta da frammenti di screenshot scattati, durante il dialogo avvenuto su Skype, da Salvatore D'Agostino.

19 gennaio 2012

0053 [MONDOBLOG] Dadarch'it

di Salvatore D'Agostino

Il prossimo dialogo sarà con Marco Brizzi tra gli artefici di arch'it* la prima web zine di architettura italiana. 
Per comprendere meglio i primi passi di arch'it, ricordo la geografia della rete del 1995, anno della sua comparsa. All'epoca erano stati ideati i protocolli per il World Wide Web; era stata coniata l'espressione surfing the Internet (navigare in rete); erano stati messi a punto i browser Mosaic, Netscape Navigator e la neo nata Internet Explorer; era stato inventato il sistema di compressione delle immagini JPEG; elaborato Java per potenziare l'interazione tra diversi oggetti; Yahoo! inizia a fornire servizi agli utenti semplificando l'accesso alla rete; eBay crea il mercato delle pulci della piazza telematica; Amazon vende tutti i libri del mondo senza preoccuparsi della loro qualità; IBM immette nel mercato i primi computer spinti da un processore a 64bit; Apple inizia la lotta contro Microsoft e il suo nuovo sistema operativo Windows 95 con i suoi Power Macintosh (5200LC, 6200, 7200, 7500, 8500, 9500) e PowerBook (550c, 190, 190cs, 5300, 5300c, 5300ce, 5300cs, Duo 2300c); Linux cerca di affrontare le lobby informatiche con l'open source, Evan Williams aveva 23 anni, Larry Page e Sergey Brin 22, Chad Hurley 19, Steve Chen 17, Jawed Karim 16 e Mark Zuckerberg 11.1

Nel 1995 un gruppo di studenti di architettura dell'Università di Firenze crearono una delle prime società di servizi Web italiane, Dada (Design Architettura Digitale Analogico) e nel marzo dello stesso anno lanciarono arch'it, web zine che dal 1998 sarà diretta, fino ad oggi, da Marco Brizzi.2




Uno dei fondatori Jacopo Marello ricorda:
«arch'it era nata come tributo di noi fondatori Dada all'architettura essendo al tempo giovani architetti, credo che arch'it sia uno dei siti più antichi della rete (con un google rank di tutto rispetto) e con la quasi assenza di cambiamenti nel layout, praticamente un modernariato di rete!».3
Per assaporare lo spirito dei Dada, pubblico un testo che di recente un altro fondatore Paolo Barberis ha trovato nei meandri della rete e pubblicato in una nota su facebook.4



DA DA - 1994 - Volevamo giocare a Pac-Man

DA
DA
(volevamo giocare a pacman)

(testo trovato per caso mentre)
(vagava su reti@totali@libere)

ma cosa stiamo dicendo che gli altri non stiano dicendo e poi si sa che tutti diciamo le stesse cose non facciamo altro che creare inquinamento sonoro e se diciamo cose che abbiano un qualche senso creiamo solo inquinamento semiosferico, che è quasi peggio

su queste basi decidemmo che non era il caso di stare zitti e che qualunque cosa facessimo non poteva peggiorare le cose

ricordo in particolare incontrandosi durante le nostre gare di net surfing sulle onde magnetiche che non potemmo fare a meno di convenire:
il solo modo per procedere fosse quello di incontrarsi fisicamente e di bere una birra

ci rendemmo ben presto conto che, visto che i nostri nomi durante le competizioni nascondevano sei persone dello stesso sesso, l’unica cosa da fare era di mettersi assieme in uno studio e di procedere sulle strade della ricerca e forse della professione

A distanza di anni sembrava impensabile che a quel tempo esistesse la possibilità di scegliere tra una progettazione su carta e una spaziale-artificiale ma allora la scelta preliminare fu in questi termini
SI ACCETTAVA DOPO LUNGHE DISCUSSIONI IL PRIMATO DEL FORMATO NUMERICO E SI RELEGAVA IN SECONDO PIANO L’APPROCCIO CHE A QUEL TEMPO SI IDENTIFICAVA COME TRADIZIONALE

Si conveniva innanzitutto che il comune denominatore fosse Space Invaders,* in particolare quei bunker verdi (ed erano colorati con il retino sullo schermo, lo stesso che ci avrebberp consigliato successivamente in un esame per ottenere in elicopia il seminativo-arborato) ci attraevano in maniera anomala.

Pensammo subito che, come esisteva uno schema per passare il primo livello (9+1+9+3+1+3), dovesse esistere sicuramente qualcosa che regolasse anche la composizione architettonica ma ci rendemmo in breve conto che la cosa presentava qualche difficoltà in più.

Dovemamo….຺ππ[àù@@¶@……]≠¡≠´÷`´‹‹÷÷´‹´‹¥÷¥‹‘~“‹~‘‘“«‘~‘‹¥÷‹´÷‹´÷`¡≠´øπ[¬[¬#[¬#@#……•………#][øπ¡øˆ¡øˆ¡`´≠´`÷´‹™æƒ∂ƒß∂€®∂∫æ˜¨ææƒ™∂®†∑∑©©√∫√˜˜µœ•…œπøœ•πœ[πœø••[≠œµµ´÷‹¥©‘‘“ß«åßΩ®∫™÷˜µ¨…øøπ¬#¬#¬π[π[π•π[•π[•πøø•[πø…[ø[øππø[πø•[ø[πø[πø…πø[πππøœ[πøπµ[πø[œøµπ¨œ¨™∫¨‹´´`´≠`¡≠¡≠]]πøœ¨æ™®€€€ΩΩΩ„«‘©™√昨¨µœøµøœµøœµ¨˜œ¨˜œ¨˜æ (FILE CORROTTO)

L’assunto era abbastanza chiaro, più ardua si sarebbe rivelata la pratica.

Partendo da pochi dati (digit-ali) a disposizione iniziammo ad accumulare softuer e arduer manipolandolo e smontandolo (senza peraltro riuscire mai a rimontarlo) nel tentativo di usarlo in modo non conforme alle regole scritte sul packaging.

E facendo questo volevamo anche guadagnarci!

Una scheda grafica crocifissa in ingresso era la rappresentazione simbolica del periodo.

Iniziammo a distanziare le nostre postazioni di lavoro essendosi ormai rivelato inutile il contatto fisico.

La trasmissione in tempo reale di qualsiasi dato (11101 010100 0100100 1001101 01011) ci permise con il tempo di abitare/lavorare a grandi distanze senza piu’ il fastidio di dover anche sopportare l’ingombro delle presenza fisiche.

Per anni abbiamo continuato a lavorare assieme per una nuova cultura della progettazione ciascuno disteso comodamente nel proprio letto (lo stesso da cui sto emettendo adesso per l’atrofizzazione progressiva degli arti non mi permette piu’ alcun movimento rilevante) incontrandoci virtualmente in spazi che ormai sono familiari anche alla cybercasalinga di Vigevano ma che per la cultura dell’epoca erano quanto di più complesso e affascinante si potesse immaginare.

Non so dire quanti fossimo in quell'epoca ne so quanti di no si possano ancora incontrare in giro per le nuove retitotalilibere ma qualche tempo fa mi sono accorto da piccoli dettagli che chi mi stava eliminando da secondo campionato pandistrettuale di COSMICBATTLE6D versione 6.4 era uno del gruppo originale: è stato davvero commovente.

Componenti originari del gruppo di ricerca DADA nell'anno della sua fondazione
Paolo Barberis
Marco Brizzi
Angelo Falchetti
Filippo Fici
Jacopo Marello
Alessandro Sordi

DADA progetta architetture e design e lavora attorno ai problemi sollevati dai nuovi mezzi di comunicazione e di rappresentazione offerti dalle nuove tecnologie
DADA svolge attività di ricerca e didattica curando seminari nella facoltà di Architettura di Firenze
DADA partecipa a concorsi di architettura
DADA collabora con poeti musicisti alla ricerca di nuove rappresentazioni artistiche
DADA ha avviato collaborazioni con idraulici, elettricisti e muratori

(pubblicato da Professione Architetto Luglio 1994) 

19 gennaio 2012
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 Una cronologia meno sintetica:

Il sei giugno 1991 Jean Armour Polly* dialogando via mail con Brendan Kehoe* conia il termine "surfing the Internet" navigare in rete. In realtà, usa l'espressione "going net-surfing"* in seguito migliorata con "surfing the Internet", l'amico Brendan Kehoe fu l'autore della prima guida per i navigatori della rete (febbraio 1992): Zen and the Art of the Internet*

Il sei agosto del 1991 Tim Berners-Lee,* pubblicando una sintesi* del suo lavoro sul newsgroup alt.hypertext, aprì il World Wide Web al pubblico dominio.*

Nel settembre 1992 viene lanciato il sistema di compressione delle immagini JPEG (Joint Photographic Experts Group).

Il ventidue aprile 1993 Marc Andreessen* e Eric Bina* lanciano la versione 1.0 del primo browser per il World Wide Web: Mosaic.*

Nel febbraio 1994 David Filo* e Jerry Yang* idearono Yahoo!, la prima società rivolta al mondo del business e consumer fornitrice di servizi internet.

Il quindici dicembre 1994 Jim Clark* e Marc Andreessen* idearono Netscape Navigator*, il primo web browser.


Linus Torvalds, l’ideatore del sistema operativo open source Linux, il dodici marzo 1994 rilascia Linux 1.0 presentando la prima versione stabile all'Università di Helsinki (era il 16º livello di patch del kernel 0.99 rielaborato e messo a punto da liberi programmatori in tutto il mondo).

Il ventitré maggio 1995 James Gosling* insieme gli ingegneri di Sun Microsystems*  annunciano Java, un linguaggio di programmazione orientato agli oggetti aumentando l'interazione tra oggetti diversi.

Nel luglio 1995 Jeff Bezos* fonda Amazon, il primo store on-line di libri.

Il diciassette agosto 1995 Microsoft lancia Internet Explorer 1, un web browser a pagamento per il neo sistema operativo Windows 95.

Il sei settembre 1995 Pierre Omidyar* idea eBay, una marketplace che permette agli utenti la possibilità di vendere e comprare oggetti sia nuovi che usati.

2 Per approfondire la storia del gruppo DADA* vi suggerisco di leggere la pagina Wikipedia.*
Arch'it (qui una schermata originale del 1996) nel corso degli anni si è arricchito di alcune rubriche:

Lanterna Magica e Lettere da Fermo a cura di Ugo Rosa;
Artland curata da Elena Carlini e Pietro Valle;
Simple tech curata Walter Aprile & Stefano Mirti;
Interview di Marialuisa Palumbo;
Playgrounds di Alberto Iacovoni;
Parole Chiave di Giovanni Corbellini;
Coffee Break di Antonino Saggio;
Produzione di Bernard Cache e Marco Brizzi


e di molti testi scritti da:

2a+p, 5+1AA, Actiegroep, Alberto Alessi, Peter Anders, Alfredo Andia, Alessandro Archibugi, Ammar Eloueini, Baku, Francesca Balena Arista, Anna Barbara, Aaron Betsky, Esra Akcan, Anand Bhatt, Alberto Alessi, Alessandro Anselmi, Pier Vittorio Aureli, Aldo Aymonino, Silvia Banchini, Alessandra Belia, Alessandro Bianchi, Cecilia Anselmi, Marco Biraghi, Cesare Birignani, Gianfranco Bombaci, Michele Bonino, Andrea Boschetti, Alessandro Busà, Silvio Carta, Bernard Cache, Maria Vittoria Capitanucci, Domenico Cannistraci, Vittoria Capresi, Mario Carpo, Paolo Cascone, Anna Cornaro, Ailadi Cortelletti, Gilberto Corretti, Maristella Casciato, Massimo Banzi, Luciano Bolzoni, Gianfranco Bombaci, Cristoforo Bono, Michele Bonino, Alessandra Bordieri, Andrea Branzi, Giammarco Bruno, Lucy Bullivant, Maria Vittoria Capitanucci, Vittoria Capresi, Mario Carpo, Giovanna Carnevali, Luigi Centola, Ennio Ludovico Chiggio, Chiara Cibin, Pippo Ciorra, Luigi Coccia, Domenico Cogliandro, Stella Colaleo, Giorgio Conti, Stefano Converso, Anna Cornaro, Fabrizio Corneli, Matteo Costanzo, Michele Costanzo, Alessandra Criconia, Davide Crippa, Francesco Dal Co, Giovanni Damiani, Carlotta Darò, Domitilla Dardi, Cynthia Davidson, Giancarlo De Carlo, Brunetto de Batté, Carlo De Mattia, Monia De Marchi, Livio De Luca, Filippo De Pieri, Gabriella De Polo, Leila Di Gangi, Teresanna Donà, Alessandro D'Onofrio, Winka Dubbeldam, Ammar Eloueini, Luca Emanueli, Dora Epstein Jones, Alessandra Faini, Luis Falcón, Ida Farè, Elisa Ferrato, Paolo Ferrara, Filippo Fici, Marianna Forleo, Ernesto Luciano Francalanci, Alberto Francini, Bernhard Franken, Elena Franzoia, Claire Gaillard, Fabrizio Gallanti, Luca Galofaro, Francesco Garofalo, Francesco Gatti, Dario Gentili, Enzo Biffi Gentili, Gary Genosko, Gruppo Ghigos, Lucio Giecillo, David Gissen, Jorge Gorostiza, David Grahame Shane, Gruppo Suburbia, Andrea Guardo, Margherita Guccione, Stefano Guidarini, Heliopolis 21, James Hicks, Natasha Higham, Wolfgang Höhl, HOV, Massimo Ilardi, Lorenzo Imbesi, Alicia Imperiale, Richard Ingersoll, Filippo Innocenti, Fabrizia Ippolito, Reed Kram, Ania Krenz, LAB[au], Peter Lang, Claudia Lamberti, Giovanni La Varra, Raffaella Lecchi, Marco Ligas Tosi, Nicola Lunardi, Peter Lunenfeld, Greg Lynn, Peter Macapia, Rei Maeda, Giannino Malossi, Daniele Mancini, Elena Manferdini, Sergio Mannino, Sara Marini, Luca Marchetti, Michele Marrozzini, Giuseppe Marsala, Roberto Martignone, Laura Masiero, Roberto Masiero, Gabriele Mastrigli, Emanuele Mattutini, Gianluca Milesi, Patrizia Mello, Maurizio Meossi, Metogramma, Alexandra Midal, Martin Moeller, Luca Molinari, Luca Mori, Mauro Moro, Valerio Paolo Mosco, Simone Muscolino, Frédéric Nantois, Francesca Oddo, Manuel Orazi, Francesca Pagnoncelli, Axel Paredes, Stefano Pasetto, Anne Palopoli, Marialuisa Palumbo, Marcello Panzarella, Luca Paschini, Gianni Pettena, Alessandro Petti, Stephen Perrella, Emanuele Piccardo, Antoine Picon, Elisa Poli, Luca Poncellini, Gennaro Postiglione, Tommaso Principi/OBR, Nicolò Privileggio, Carl Pruscha, Luigi Prestinenza Puglisi, Marco Ragonese, Kester Rattenbury, David Raponi/HOV, Hani Rashid, Carlo Ratti, Bruno Reichlin, Yael Reisner, Alessandro Rocca, Lucio Rosato, Chiara Roverotto, Raffaella Sacchetti, Amanda Salud-Gallivan, Tomas Saraceno, Francesco Samassa, Francisco Sanin, Vittorio Savi, Enrico Scaramellini, Marco Scarpinato, Patrik Schumacher, Maddalena Scimemi, Antonella Serra, Adrien Sina, Luka Skansi, Alexis Sornin, Southcorner, Lars Spuybroek (NOX), Martino Tattara, Letizia Tedeschi, Diego Terna, Caterina Tiazzoldi, Gabriele Toneguzzi, Cristiano Toraldo di Francia, Marco Ligas Tosi, Annette Tosto, Elisabetta Trincherini, Valter Tronchin, Billie Tsien, Jennifer Turner, Hans Ulrich Obrist, Felicity D. Scott, Melissa Urcan, Giovanni Vaccarini, Marco Vanucci, Daniele Vazquez, Ada Venié, Annalisa Viati Navone, Yu-Tung Liu, Franco Zagari, Matteo Zambelli, Roberto Zancan, Roberto Zanon, Paola Zini, Giancarlo Zucca e Marco Zummo.

Nel marzo del 2003, Marco Brizzi entra nella cinquina dei finalisti della Medaglia d'Oro all'architettura italiana della Triennale di Milano (insieme a Sebastiano Brandolini, Carlo Olmo,Vittorio Gregotti e Pierluigi Nicolin) nella sezione critica, in seguito vinta da Pierluigi Nicolin.* Una notizia che animò, e forse arenò, la rete 'critica dell'architettura':
  • Mara Dolce, pseudonimo di un architetto donna ma anche uomo, romano ma anche parigino su antiTHeSi, contesta il valore critico di Marco Brizzi, per Mara Dolce quest'ultimo è un divulgatore non un critico. (Medaglia d'oro? del 29 aprile 2003).*
  • Ugo Rosa (l'ubiquo del web dell'architettura) in Coppe e medaglie: a Cesare quel che è di Cesare, del 9 maggio 2003 su antiTHeSi, difende Marco Brizzi: «E a Marco Brizzi, se me lo permette, un invito a rassegnarsi: fino a quando ci saranno questi monumenti equestri in circolazione lui mangerà la polvere. Ma che pretende? Di prendere una menzione senza averci il pedigree? Ma siamo matti? In fondo ha solo dato spazio a qualche mezza tacca che scrive d’architettura per spasso (parlo del sottoscritto, nessuno s’offenda), mica ai professoroni “della comunità scientifica” che, con fatica, dolore, sangue sudore e lacrime, partoriscono a puntate, pensieri e profezie sull'architettura di ieri, di oggi e di domani sui giornaloni e sulle gazzette. Perché alla fine, nonostante le chiacchiere sui nuovi media, “carta canta” e sul web ci scrivono solo i mentecatti…»
  • Antonino Saggio, come ricorda Gianluigi D'Angelo nel suo Channelbeta (Ricchi premi e cotillon, maggio 2003*), fa notare l'attività curatoriale, e quindi anche critica, di Marco Brizzi,  del festival Beyond media*. Nello stesso articolo, Gianluigi D'Angelo pensa che sia stato imprudente, da parte della giuria, inserire la scelta di un advicer.
  • Paolo G.L. Ferrara, in Critica sul web come al Drive In? del 18 maggio 2003 su antiTHeSi, invita ad un lavoro nuovo e maturo della rete, nel rispetto dei vari punti di vista.*
  • Enrico G. Botta, nei commenti, pensa che i critici emersi grazie al Web stiano ereditando i: «comportamenti tipici dell'accademia: la chiusura, l'autoreferenzialità, l'esclusione degli "altri"».*
Infine, vi segnalo (senza nota) un articolo pubblicato su newitalianblood il 22 marzo del 2003 dal titolo ARCHITETTURA SU INTERNET: TEMPO DI BILANCI? di Enrico G. Botta.*

3 Da uno scambio mail con Jacopo Marello del 12 luglio 2011
4 Pubblicata da Paolo Barberis sul suo profilo di facebook il 6 luglio 2011 alle ore 13.14.*

11 luglio 2011

0047 [MONDOBLOG] Verifica dei poteri 2.0: archphoto

di Salvatore D'Agostino

Il 24 marzo 2011 il blog Nazione Indiana ha iniziato un’indagine sulle dinamiche letterarie e critiche che si sono sviluppate in rete negli ultimi dieci anni, chiamandola Verifica dei poteri 2.0; una ricostruzione storica a cura di Francesco Guglieri e Michele Sisto è sottoposta al vaglio di diversi protagonisti del Web e non.

L’inchiesta inizia con questa citazione del 1960 di Franco Fortini:
«I luoghi dell’opinione e del gusto letterario sono stati sorpresi nel giro di pochi anni dall’insorgere ed estendersi di forme per noi nuove di industria della cultura che hanno mutato aspetto e funzione ai tradizionali organi di mediazione fra scrittori e pubblico, come l’editoria, le librerie, i giornali, le riviste, i gruppi politici e d’opinione. Alla motorizzazione la società letteraria ha resistito anche meno dei nostri storici centri urbani.»1
Quest’intervista a Emanuele Piccardo, direttore editoriale di archphoto, ripercorre una tra le tappe delle nuove forme di comunicazione degli ultimi dieci anni dell’architettura italiana.



Salvatore D'Agostino 
«Ieri ricevo, come molti, la newsletter di Domusweb in cui con grande enfasi si parla delle novità grafiche bellissime, contenuti bla, bla, bla... spinto dalla curiosità vado a cliccare e devo dire che un po' di scoramento mi è preso."[...] negli ultimi sei mesi abbiamo lavorato a un sito completamente nuovo che ridefinisce la presenza di Domus sul web. Sarà un inizio completamente nuovo e introdurrà una rinnovata e bellissima linea grafica, una serie di nuovi contenuti, collaboratori e rubriche"Così scrive il bravo Joseph Grima. Però qualche dubbio mi viene navigando nel sito, dopo dieci anni di frequentazioni web con Archphoto e con gli amici di Channelbeta, noi che siamo stati i primi a mettere gallery di immagini, video interviste, video alle architetture. Poi tutti ci hanno copiato a partire da Europaconcorsi, Exibart ecc... noi però eravamo già orientati verso l'uso totale dei media già nel 2002.»2
Inizia così una tua recente nota su Facebook. Pensi che Archphoto sia stata l’avanguardia del Web in Italia? 

Emanuele Piccardo Il web che si occupa di architettura in Italia nasce nel 1995 con la creazione, da parte del gruppo Dada, del portale architettura.it (Arch'it) gestito da Marco Brizzi (ndr dal 1998). Successivamente nascono Antithesi, Architecture.it (ndr Web log non più attivo),  Archphoto e Channelbeta.
A fine 2001 insieme a Luca Mori fondiamo archphoto.it , effettivamente attivo da gennaio 2002, contrariamente a quanto si pensa non è un sito di architettura e fotografia. Chi ha inventato il nome, da me condiviso, ben esprimeva la mia persona ovvero un architetto-fotografo che nel tempo non farà il progettista ma farà progetti culturali.
Dopo una breve frequentazione come collaboratore di arch'it3, mi sono reso conto che non mi soddisfaceva. Gli articoli trattavano i temi più disparati così ho iniziato a pensare che c'era spazio per fare una rivista diversa, tematica e che producesse contenuti, non limitandosi solamente a mettere articoli senza una linea critica. Produrre per me significa seguire il dibattito e rappresentarlo, attraverso il video, per il "web people" che non può assistere a mostre o eventi o visitare architetture e renderlo visibile online. Come già affermato, in una recente intervista da Gianlugi D'Angelo su questo blog, il web in quegli anni era archeologico, i siti si aggiornavano con Dreamweaver e tutto era abbastanza complicato non c'erano né blogspot né wordpress.
Archphoto dunque nasce per raccontare l'architettura non solo attraverso i progetti e le riflessioni teoriche ma anche attraverso le discipline ad essa affini come sociologia urbana, fotografia, cinema e arte contemporanea. Fin dall'inizio io, Luca Mori e poi Luisa Siotto ragioniamo sulle modalità di presentazione dei progetti, sull'inserimento dei video, non c'era lo streaming gratuito per cui erano salvati rigorosamente in Windows Media Player o Real Player divisi per isdn e 56K, caricandoli sul server del sito, con l'obiettivo di renderli fruibili a tutti. Siamo stati la prima webzine italiana di architettura ad avere i video e i contributi audio.
Inoltre ho iniziato a usare l'intervista video come strumento per fare critica.
Ciò mi ha consentito di produrre una quantità considerevole di video, solo in parte messi in rete (visibili qui).
Quindi sì Archphoto è stata all'avanguardia perché produceva cultura, non solo nella dimensione virtuale ma anche nei territori organizzando conferenze e seminari (come la biennale off del 2002 "14_02 incontri per l'architettura italiana" che diede origine ad un numero monografico di Parametro). Modalità che continuano anche oggi. Poi con l'avvento di wordpress tutto è divenuto più facile, dal 2007 Archphoto è su wordpress grazie al lavoro di Miki Fossati che ha modificato i parametri dati per rifare con wordpress stesso la grafica dell'"archeologico" Archphoto. Ciò smentisce chi, ignorando come funziona il web, afferma che wordpress è limitato e non consente modifiche non è vero ed Archphoto ne è la dimostrazione lampante (ndr con riferimento alle dichiazioni di Fabrizio Gallanti di Abitare su WA).
 

A vent’anni dal World Wild Web e dieci da archphoto. Non credi che inserire gallery di foto, video interviste e news siano state semplici trasposizioni dell’uso comune del Web?

Visto con gli occhi di oggi la risposta è ovvia: sì.
Infatti le gallery di foto riguardano il settore dedicato alla fotografia, io mi riferivo però all'inserimento delle immagini negli articoli. Noi oggi possiamo inserire video e foto contemporaneamente all'interno della struttura grafica di archphoto o di una piattaforma gratuita. La tecnologia e le opportunità sono mutate e si sono evolute. Quindi sì è uso comune. Affermare che sia "una semplice trasposizione" non la condivido perché occorre contestualizzare storicamente i fenomeni altrimenti si rischia di essere superficiali. Però non confondiamo una rivista online di architettura con un blog, nascono da presupposti differenti.


Mi spiego meglio. Non mettevo in discussione la vostra azione pioneristica – come ad esempio l’uso delle video-interviste – e immagino le difficoltà tecniche e i tempi biblici per caricare un video. Siete stati intuitivi e quindi bravi.
Ti chiedevo vi è bastato introdurre questi nuovi strumenti d’informazione (ripeto bravi per l’arguzia) per essere definiti una rivista di architettura digitale d‘avanguardia? 

L'avanguardia consiste nell'anticipare azioni e comportamenti che poi verranno fatti da tutti.  Archphoto ha anticipato modalità di rappresentazione visiva dei contenuti inerenti alle arti visive che poi sono divenute "normali". Europaconcorsi all'inizio non aveva le gallery di progetti, Exibart non aveva i video; magari non siamo stati determinanti però... La vera sfida è innovare attraverso le idee, siti che esistevano negli anni duemila sono scomparsi quindi ci vuole una certa resistenza per sopravvivere.
Ad esempio siamo stati i primi nel 2008 a creare un aggregatore di notizie sull'architettura e sul design "The city of blogs" (e tu ci avevi intervistato), che il buon Gianlugi D'Angelo ne aveva rimosso l'esistenza (ndr confronta qui), nonostante fosse venuto al nostro stand al congresso UIA di Torino 2008.
Nello stesso anno abbiamo fatto lo streaming video in diretta dal padiglione americano ai giardini della Biennale di Venezia, non con una connessione wi-fi o in fibra ma con una pennetta vodafone, quindi con sbalzi del segnale di ricezione. Oggi Archphoto ha un ruolo di avanguardia culturale nel senso che il livello di approfondimento critico è molto più selettivo del passato, soprattutto rimane una forte volontà nel ricercare nuovi autori (architetti, artisti, intellettuali) per costruire un network in progress.

Io distinguerei tra l’avanguardia e i pionieri nel Web.
L’avanguardia sono i codici ideati da Tim Berners-Lee e testati il 6 agosto del 1991.
I pionieri chi elabora i codici di Tim Berners-Lee creando nuove città nell’infinito pianeta Web.
A proposito di The city of blogs perché dopo il congresso UIA il progetto fu sospeso?

Giusta osservazione. Anche in questo caso contestualizzo "avanguardia" in quanto le mie competenze sono culturali e non informatiche com'è giusto che sia. Compito di chi cura e gestisce un sito è proporre temi interessanti ai suoi lettori che siano espressione di un concetto politico (in senso lato) dell'architettura in cui sia chiaro l'obiettivo. Deve esserci una totale unicità di visione tra l'informatico e il gestore del sito, se una delle due figure è latitante non funziona.
Per cui intendo avanguardia le modalità di concezione di un sito nell'ambito culturale, ovvero quello che riesco a controllare. Poi dal 2007 con la sinergia attuata con Miki Fossati c'è stata un'evoluzione ulteriore e si è rafforzato l'insieme contenuto+struttura. Ciò è potuto succedere perché nel frattempo le opportunità e il contesto tecnologico l'hanno consentito. Oggi è più facile fare un sito, hai piattaforme gratuite con grafiche dignitose, sei tu che gestisci tutto.
The city of blogs l'abbiamo sospeso e messo offline, forse verrà riattivato con nuove modalità, un'idea in merito c'è, vedremo...

«Dipenderà quindi da noi se, nel futuro, vorremmo fare di questi mezzi, in nome di una ideologia della dematerializzazione universale, un uso alienante, oppure farne invece, come io ritengo che si dovrebbe, un uso che sfrutti al massimo il formidabile potenziale di interfaccia conoscitiva, progettuale e creativa dell’uomo con il mondo. Non una fuga mundi, ma una creatio mundi.»4
Quest’invito di Tomás Maldonado, scritto circa vent’anni fa, stride con l’idea e l’uso quasi infantile della tecnologia in Italia. L’auspicata creatio mundi si è arenata in un default mundi (perdona l’accostamento improprio delle due parole).
Da default aspettiamo passivi le nuove funzioni. Nel caso delle riviste digitali di architettura, in questi vent’anni, non c’è stata nessuna Webzine in grado di dialogare con le testate storiche italiane (apprezzate all’estero) e imporsi ‘autorevolmente’ fuori dal contesto italiano.
Perché? 

A proposito di avanguardia il pensiero di Maldonado lo è!
Domanda difficile. Come fai a dialogare con riviste come Domus e Casabella se ti poni in uno spazio alternativo a loro, se proponi un diverso modo di interfacciarsi con il progetto usando strumenti e linguaggi diversi?
Oggi il web è il mezzo più veloce per diffondere le notizie, è un infinito archivio che raccoglie dati su persone, fatti, eventi in cui non hai un limite di tempo. Nel caso dell'architettura è fantastico, puoi aggiornare il sito in ogni momento a seconda delle esigenze senza avere una scadenza. Però sono importanti sia le riviste cartacee sia quelle online. Sul cartaceo puoi fare approfondimenti teorico-critici che non puoi fare nel web, per questo abbiamo deciso di fare archphoto 2.0 cartacea, anche per prendere in giro quelli che parlano di web 2.0., rafforzando la tematizzazione e ponendosi contro un certo modo di fare la rivista. Oggi le riviste italiane non hanno più quella capacità di fare critica come nel moderno o negli anni sessanta laddove riviste come Domus e Casabella rompevano con la loro tradizione per assimilare contenuti e forme grafiche simili alle fanzine degli Archigram o alle autopubblicazioni degli architetti e degli artisti.
L'altra ragione riguarda il provincialismo delle webzine italiane che sono, per evidenti motivi economici, in italiano senza traduzione in altre lingue. Questo determina esclusione perché non dialoghi con il resto del mondo.
 

Non credo che Internet sia un archivio, ma non importa.
Perché senti l’esigenza di creare una rivista ‘contro’ e non ideare una rivista con un carattere autonomo?

Internet per me e molti altri è un archivio di parole, pensieri, notizie, è uno spazio come potrebbe essere una biblioteca d'idee in cui tutti contribuiscono ad implementarla. Internet è un mare di gesti nei confronti dell'altro, fornendogli un punto di vista fatto di molti punti di vista, non m'interessa il pensiero di un architetto che apre un blog e scrive ciò che gli passa per la mente. M'interessa un architetto che fa delle riflessioni coerenti con il proprio tema di ricerca, se ce l'ha, un architetto che esca dal proprio ego; capisco di chiedere troppo. Internet è un modo alternativo di fare cultura, dare spazio e visibilità a chi produce ricerche interessanti che altrove non sarrebbero conosciute, in questo senso è democratico. Chiunque può mettere online le proprie idee e ricerche, sta al lettore selezionare e capire dove si annida la fuffa e dove c'è realmente competenza scientifica. Internet non è la panacea di tutti i mali, non è infallibile, se devo fare una ricerca avrò ancora bisogno di consultare un libro cartaceo, toccarlo, sentirne l'odore. Internet è uno degli strumenti ma non deve essere l'unico, per me è necessario usare più strumenti per comprendere meglio la natura delle cose.
Per entrare nel merito della tua domanda, il sistema accademico e tradizionale della Rivista non esplora i nuovi territori dell'architettura si mantiene all'interno di un binario consolidato, insomma non rischia. L'esigenza di essere contro è manifestare un'autonomia di pensiero dalla cultura dominante, de-strutturare il linguaggio per costruirne uno nuovo così si crea un carattere autonomo. Perché solo individuando il nemico sai qual è la direzione, senza nemico non hai riferimenti. Il nemico è l'ipocrisia, la banalità, la superficialità degli intellettuali che orientano la cultura, sia essa architettonica o letteraria. Intellettuali che non hanno etica nelle loro azioni ignorandone le conseguenze sociali, ciò vale per tutte le discipline ma negli ultimi anni in particolare per l'architettura.

Niente di personale, su internet, sui blog e sul nemico mi trovi in disaccordo ma non è rilevante.
A che cosa serve una rivista digitale per un architetto?

Meno male che non condividiamo gli stessi pensieri altrimenti sarebbe una discussione noiosa. Senza il nemico c'è il "buonismo", il non prendere posizione e quindi compiere delle scelte, individuare un punto in cui mettersi
A che cosa serve una rivista cartacea/digitale per un architetto?
Dipende dall'architetto. All'architetto incapace servono entrambe per copiare il linguaggio da altre architetture, all'architetto capace serve per capire come si sviluppano le ricerche di altri architetti, artisti, sociologi ed essere aggiornato sulla riflessione critica contemporanea. Dipende dalla rivista, se prendiamo Lotus degli anni ottanta o Domus di oggi, Abitare di Italo Lupi o L'Arca, Arch'it o Architecture, Archphoto o Under-Construction (ndr sito non più visibile)...
Per il resto mi sembra di aver già risposto spiegando le motivazioni che mi hanno mosso a fondare Archphoto.
Le risposte le darà il tempo, giudice delle nostre azioni.

11 luglio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG

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Note:
1 Franco Fortini, Verifica dei poteri, in Id., Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, nuova edizione accresciuta, il Saggiatore, Milano 1969, p. 41.
2 Emanuele Piccardo, La deriva delle riviste di architettura, note di Facebook profilo personale, 3 dicembre 2010 alle ore 10.39. Qui
3 Alcuni articoli apparsi su Arch'it: 8 aprile 200125 aprile 2001 e 4 agosto 2011.
4 Tomás Maldonado, Reale e Virtuale, Milano Feltrinelli, 1993 (I ed. 1992), P. 78

Scheda storica: 
Archphoto viene registrato nel 2001 sulla piattaforma DADA fondatori Emanuele Piccardo e Luca Mori.
Il primo numero online è edito nel gennaio 2002; tema trattato Architettura e Fotografia.
Nell'estate del 2002 inizia la collaborazione con Luisa Siotto.
Nel 2003 nasce il laboratorio plug_in e si decide di far editare archphoto attraverso plug_in.
Nel 2007 Miki Fossati cura il passaggio sulla piattaforma Wordpress nell'architettura informatica attuale.
Nel marzo del 2011 nasce la rivista cartacea archphoto 2.0.