di Salvatore D'Agostino
La mia ricerca deve molto a Sherry Turkle e Henry Jenkins. Studiosi - dicevo a Giulio Pascali qui - che si pongono più domande che risposte su ciò che avviene attraverso l’uso (e l’abuso) dello schermo con mouse.
Una ricerca sulla cronaca, storia e archeologia dell'architettura Web italiana:
- cronaca: vedi il post Hadid|Fastoso ma anche Il racconto involontario che ho presentato a Roma;
- storia: il blog ‘parassita’ di Stefano Mirti sul sito/blog di Abitare chiuso, casualmente, subito dopo la mia intervista;
- archeologia: il proto blog di Francesco Tentori oggi non più visibile grazie a un refresh del sito dell’IUAV».
In questo dialogo con Antonino Saggio ripercorro - parte - dell'archeologia, della storia e della cronaca dell'architettura Web italiana.
Salvatore D'Agostino L’idea originaria di Tim Berners-Lee - l’inventore dei protocolli che costituiscono il World Wide Web – era la condivisione di documenti tra ricercatori di tutto il mondo.
Tim Berners-Lee mette a punto la pagina bianca Web e fa sì che possa essere letta da altri utenti attraverso i link. Inventa l'ipertesto. Ricorda il suo primo ipertesto?
Antonino Saggio Dunque il mio primo ipertesto è del 1987. È un vero e proprio ipertesto ed è dedicato a Bryn Mawr di Louis Kahn.
Sono stato il primo docente ad utilizzare il Macintosh a Carnegie-Mellon University Pittsburgh Pa. Il mio primo corso è della primavera del 1985 (lo avevo acquistato alla fine di febbraio del 1984, sono uno dei primi 10mila acquirenti con tanto di diploma di Steve Jobs, e come si vede ne sono particolarmente orgoglioso). Lavoravo analizzando l'architettura con una specie di antesignano del Gis, che si chiamava Filevision. Mi interessava molto la composizione e decomposizione critica permessa da Filevision. Era un database, ma grafico! Inoltre assemblare e disassemblare l'opera di architettura era un processo interattivo. Montavo con gli studenti dei film che contenevano schermate "critiche" di Filevision e sequenze di animazioni rudimentali in 3d e file bitmap di testo o grafica. Ne uscivano film di interpretazione. Questa idea del montaggio utilizzata in questi primi esperimenti ha influenzato molto la scrittura critica successiva che fu associata appunto - da alcuni autorevoli studiosi - ad "una sceneggiatura di scelte concrete del progetto".
Nel 1986, cercavo uno strumento che mi consentisse un sistema interattivo d'indagine e di presentazione e non solo un film. Insomma un sistema che lasciasse libera l'esplorazione critica, informativa, deduttiva! Provai con dei software per fare giochi. Erano troppo complessi da imparare per il tempo a mia disposizione.
Per questo quando uscì HyperCard di Bill Atkinson nel 1987 feci un salto. I miei colleghi non capivano che farci!
Era invece il software del salto, il software del link, il software delle interconnessioni dinamiche!
Riportai l’interpretazione critica di Bryn Mawr dentro Hypercard e... funzionava! Avevo anche un blocco da disegno, dove l'utente, mano a mano che l'ipertesto procedeva, disegnava la sua interpretazione rispondendo alle mie domande. L'ipertesto su Bryn Mawr cioè non era una "presentazione" sia pur interattiva, ma un percorso parzialmente guidato e parzialmente personale che voleva sviluppare il significato "critico" di una interpretazione e quindi la stretta vicinanza tra interpretazione critica e progettazione attiva.
In seguito, mentre lavoravo su Giuseppe Terragni e all'Officina del Gas, realizzai - con l'aiuto di un giovane e appassionato studente, Massimo Cesaroni - un hyper testo ben levigato. Lo presentai all'Eth di Zurigo nella primavera del 1989 e il presidente di Ecaade in quegli anni - Herbert Kramel - impose questa presentazione al Convegno di Aarhus in Danimarca del settembre del 1989. Era la prima volta - ne sono quasi certo - che si vedevano esempi di interattività in un convegno sulla didattica dell'architettura. C'era solo un'altra presentazione in quel convegno, della collega Elena Mortola, che usava anche lei Hypercard. Quindi venendo alla risposta alla tua domanda almeno nel mio caso e nella mia storia personale, ben prima di Tim Berners-Lee c'è Bill Atkinson e la sua intuizione di Hypercard. Una intuizione e un prodotto geniale che faceva capire che cosa voleva dire muoversi in un mondo di salti, di discontinuità. Naturalmente spostare l'interattività dai floppy ad 800k che avevamo alla fine degli anni Ottanta del Novecento alla rete web il salto, non è stato di poco conto. Ma allo stesso tempo, Bill Atkinson è un personaggio chiave della storia dell'interattività! Ecco perché quando cominciai a richiudere questa storia di nuovo nell'architettura ho dedicato un paragrafo «a Bill».
Quindi, il suo primo step è stato hypercard 1987 ---> Bryn Mawr di Louis Kahn.
E dopo?
Dopo ho fatto un altro salto. Ho capito il concetto di reificazione. E cioè l'interattività quale caratteristica chiave dell'informatica mica serve a "narrarla" l'architettura, serve a farla!
Cioè questa caratteristica dell'informatica "trasmigra" in una architettura di nuova generazione. Questa tesi è alla base della collana "la rivoluzione informatica" che incredibilmente è giunta al 35° volume. Scrissi il concetto sin dal primo libro. Eccolo.
Quando inizi a scrivere in rete?
Con la rubrica Coffee Break su arch'it (ndr novembre 2000).1 Sono circa ottanta pezzi che provenivano soprattutto da articoli pubblicati su DOMUS e Costruire, riediti per la rete e in questo modo hanno allungato moltissimo la loro vita.
Non utilizzavi le pagine on line del sito dell'università, già da prima?
Sì, nell'ottobre del 1998. Era una "home" e l'avevo intesa, come la possibiltà di avere uno immagine molto più "personale", quasi "semi-privata" da affiancare alla mia attività più istituzionale. Avevo pubblicato moltissimo in cartaceo e nel sito c'era la mia bibliografia, le tesi e altre cose un poco nascoste come i dipinti, ma le mie prime scritture organiche in rete iniziarono con Coffee Break.
Ispirato dal discorso inaugurale di Steve Job al CEO di Apple Computer e Pixar Animation Studios, pronunciato il 12 giugno 2005, il 26 ottobre 2005 decidi di aprire un blog.
Riprendo il contenuto del primo post:
Riportai l’interpretazione critica di Bryn Mawr dentro Hypercard e... funzionava! Avevo anche un blocco da disegno, dove l'utente, mano a mano che l'ipertesto procedeva, disegnava la sua interpretazione rispondendo alle mie domande. L'ipertesto su Bryn Mawr cioè non era una "presentazione" sia pur interattiva, ma un percorso parzialmente guidato e parzialmente personale che voleva sviluppare il significato "critico" di una interpretazione e quindi la stretta vicinanza tra interpretazione critica e progettazione attiva.
In seguito, mentre lavoravo su Giuseppe Terragni e all'Officina del Gas, realizzai - con l'aiuto di un giovane e appassionato studente, Massimo Cesaroni - un hyper testo ben levigato. Lo presentai all'Eth di Zurigo nella primavera del 1989 e il presidente di Ecaade in quegli anni - Herbert Kramel - impose questa presentazione al Convegno di Aarhus in Danimarca del settembre del 1989. Era la prima volta - ne sono quasi certo - che si vedevano esempi di interattività in un convegno sulla didattica dell'architettura. C'era solo un'altra presentazione in quel convegno, della collega Elena Mortola, che usava anche lei Hypercard. Quindi venendo alla risposta alla tua domanda almeno nel mio caso e nella mia storia personale, ben prima di Tim Berners-Lee c'è Bill Atkinson e la sua intuizione di Hypercard. Una intuizione e un prodotto geniale che faceva capire che cosa voleva dire muoversi in un mondo di salti, di discontinuità. Naturalmente spostare l'interattività dai floppy ad 800k che avevamo alla fine degli anni Ottanta del Novecento alla rete web il salto, non è stato di poco conto. Ma allo stesso tempo, Bill Atkinson è un personaggio chiave della storia dell'interattività! Ecco perché quando cominciai a richiudere questa storia di nuovo nell'architettura ho dedicato un paragrafo «a Bill».
Quindi, il suo primo step è stato hypercard 1987 ---> Bryn Mawr di Louis Kahn.
E dopo?
Dopo ho fatto un altro salto. Ho capito il concetto di reificazione. E cioè l'interattività quale caratteristica chiave dell'informatica mica serve a "narrarla" l'architettura, serve a farla!
Cioè questa caratteristica dell'informatica "trasmigra" in una architettura di nuova generazione. Questa tesi è alla base della collana "la rivoluzione informatica" che incredibilmente è giunta al 35° volume. Scrissi il concetto sin dal primo libro. Eccolo.
Quando inizi a scrivere in rete?
Con la rubrica Coffee Break su arch'it (ndr novembre 2000).1 Sono circa ottanta pezzi che provenivano soprattutto da articoli pubblicati su DOMUS e Costruire, riediti per la rete e in questo modo hanno allungato moltissimo la loro vita.
Non utilizzavi le pagine on line del sito dell'università, già da prima?
Sì, nell'ottobre del 1998. Era una "home" e l'avevo intesa, come la possibiltà di avere uno immagine molto più "personale", quasi "semi-privata" da affiancare alla mia attività più istituzionale. Avevo pubblicato moltissimo in cartaceo e nel sito c'era la mia bibliografia, le tesi e altre cose un poco nascoste come i dipinti, ma le mie prime scritture organiche in rete iniziarono con Coffee Break.
Ispirato dal discorso inaugurale di Steve Job al CEO di Apple Computer e Pixar Animation Studios, pronunciato il 12 giugno 2005, il 26 ottobre 2005 decidi di aprire un blog.
Riprendo il contenuto del primo post:
«Questa pagina è creata per contenere osservazioni e commenti al Blog in generale inteso come strumento di interconnessione.
....per una serie di ragioni ho deciso di imparare ad usare la tecnologia di IpodAudioVideoCasting. Si tratta della possibilità di pubblicare audio e video che si possono scaricare su lettori mobili. Mi sembra un progresso e il tutto mi ha divertito....
In realtà il blog ha anche altri piccoli vantaggi:
A. Consente di fare una specie di piccola televisione in house;
B. Consente di avere un format più ordinato delle news;
C. Permette, soprattutto, di avere un format semplicissimo di discussione comune. Basta cliccare su Comments (in basso) e aggiungete quello che ritenete».
Attraverso il blog introduci l'uso del podcast2
- sia in ambito universitario che per le tue conferenze - e il canale You Tube.
- sia in ambito universitario che per le tue conferenze - e il canale You Tube.
Il podcast si scarica direttamente su iTunes store. Se si va sull'iTunes e si cerca "Madonna" escono le canzoni della pop star se si scrive architettura o Antonino Saggio escono le mie cose. Sono stato il primo in architettura in Italia e tra i primi cinque o sei al mondo. L'Apple all'inizio, dato che non c'era nessuno, mi aveva linkato direttamente dal suo sito.3
Utilizzo lo stesso criterio per il canale su You Tube Video Conference and Talks of Architecture & Art.
Malevolmente mi si può chiedere, e mi è stato in effetti chiesto, "e allora, vuole un premio?".
Voglio invece sottolineare che ho cercato di aprire una strada di maggiore relazione ed interconnessione tra me e gli studenti. Una strada che ha dato alcuni frutti nella loro esperienza e che si scontrava e si scontra con un fatto. Che ancora oggi pochi docenti usano la mail, almeno da noi, che pochissimi hanno un sito attivo, che pochi pubblicano integralmente le tesi di laurea, per non parlare degli audio delle lezioni che sono costantemente in rete da anni. Non solo non ho avuto alcun premio, ma come spesso accade, si è creata una specie di ciambella stagna attorno al mio lavoro di docente. Questa ciambella spesso va all'estero anche a parlare di queste cose (link), raramente in Italia.
Il 5 dicembre 2009 strutturi un videoblog dal titolo 'Le puntate del compasso'. Perché usi questo tipo di comunicazione?
La sezione 'le puntate del compasso' sono una serie di puntate (ndr 1°, 2°, 3°, 4° e 5°) sulla crisi drammatica del sistema universitario. Mi sono esposto ben bene e nessuno potrà dire che sono rimasto immobile come se nulla fosse.
Ritieni che il tuo blog sia uno strumento utile per gli studenti?
Non saprei, in primis, serve a contenere le lezioni audio del mio corso universitario. Ho anche dei lettori, pochi, che seguono appassionatamente queste mie lezioni senza essere miei studenti.
E poi altre cose simili ad altri blog. In ogni caso il blog ha sempre creato molta poca interazione. Molto più forte è quella su facebook. Ma questo è un'altra storia.
Interessante, per esempio è stata la vicenda sul premio 'dell'accademia San Luca ai giovani architetti italiani del 2006'. Dove in un post ho fatto votare i partecipanti al concorso con il risultato che il progetto vincitore (scandalosamente ridicolo!) ha ottenuto zero, dico zero, voti.
È stato un interessante esperimento di uso del blog. Ecco il post: I partecipanti al premio San Luca decretano: Zero voti al vincitore ufficiale.
A che cosa serve un blog per un architetto?
Basta guardare urbanvoids e poi i siti che dal 2000 fanno "tutti" i miei studenti. Niente è lineare, tutto è a rete. Quindi un blog non serve a nulla e a tutto. Dipende.
Abbiamo ricostruito la tua cronistoria Web. Per evitare l’agiografia, passiamo alle domande.
William J. Mitchell è stato professore di 'architettura e arte dei media e della scienza' al MIT (Massachusetts Institute of technology). È morto l’11 giungo del 2010. Nel 1995 ha scritto ‘La città dei bits’, nel 1999 'E-topia', nel 2003 'Me++', tre libri che insieme costituisco una trilogia informale sull’implicazione della tecnologia nella vita quotidiana.
Interessante la sua ultima intervista del 21 gennaio 2010 rilasciata alla rivista 'Big Think'. [Link]
William J. Mitchell è stato professore di 'architettura e arte dei media e della scienza' al MIT (Massachusetts Institute of technology). È morto l’11 giungo del 2010. Nel 1995 ha scritto ‘La città dei bits’, nel 1999 'E-topia', nel 2003 'Me++', tre libri che insieme costituisco una trilogia informale sull’implicazione della tecnologia nella vita quotidiana.
Interessante la sua ultima intervista del 21 gennaio 2010 rilasciata alla rivista 'Big Think'. [Link]
Se ci permetti riprendo il finale della ‘Città dei bits’:
«Le reti, dovranno collegarsi in qualche modo; la rete del corpo sarà collegata alla rete dell’edificio, la rete dell’edificio alla rete della comunità e la rete della comunità alla rete globale. Dai sensori del gesto, indossati sui nostri corpi, all'infrastruttura mondiale sei satelliti di comunicazione e alle fibre ottiche a lunga distanza, gli elementi della bitsfera saranno infine riuniti, per formare un sistema densamente tessuto, all'interno del quale l’articolazione è collegata all'autostrada informatica.
Le incertezze e i pericoli della frontiera della bitsfera sono grandi ma vi è spazio per nuove opportunità e per la speranza. Dimentichiamo pertanto le limitate fantasie dei pantofolai videodipendenti, immaginati da Marshall McLuhan negli anni settanta. Qui sorgerà il villaggio globale».
Perché nelle università italiane non esistono degli incubatori creativi e di approfondimento come il MIT?
Il MIT ha una lunga tradizione di affiancamento alla produzione industriale e alla creazione di invenzioni e brevetti. È un vero politecnico privato. Solo all'interno di questa tradizione che è possibile continuare ad elaborare tesi innovative dal punto di vista prettamente tecnologico.
Ho conosciuto abbastanza bene William Mitchell, incontrandolo tre o quattro volte. L'ultima credo ad un simposio cui entrambi abbiamo presentato a Philadelphia, organizzato nel 2002 da Branko Kolarevic. Ora vorrei rendere chiara una differenza. A me interessa poco questo aspetto ingegneristico: avremo.. faremo... andremo... che deriva da una specie di neo-positivismo ingegneristico cui Mitchell, con tutto il grande rispetto per il suo contributo, apparteneva. Credo fermamente, all'opposto di un risvolto puramente tecnologico, che gli strumenti materializzano lo spirito, sono la materializzazione dello spirito (come sostiene Koyrè). E quindi non è affatto vero che Garage Band su Ipad sostituirà il pianoforte (dico una cosa acclarata per chi usa veramente uno strumento musicale e sa "esattamente" che lo strumento "materializza lo spirito!"). Voglio dire che è importante non inseguire questo o quello, ma capire in profondità le crisi che gli strumenti nuovi comportano, perché queste crisi da Caravaggio e la camera oscura, agli impressionisti e la fotografia a Dillier+Scofidio o Toyo Ito e l'elettronica sono motori di modernità e sfidano e cercano la creazione di una estetica di cambiamento. Il lavoro della collana è tutto in questa direzione. Richiede un certo sforzo capire questa idea, e le sue implicazioni, me ne rendo conto rispetto ai successi glamour della rete o della tecnologia. Ma visto che me l'ha chiesto, credo sia giusto rispondere sottolineando le differenze.
Riprendo un’altra storia. Qualche anno fa su Autocad fu introdotta la visualizzazione 3D ‘Gooch’ capace di offrire una visione non fotorealistica dei volumi, attraverso delle tinte pastello.
Cercai ‘Gooch’ e scoprii un mondo. Gooch è il cognome di Bruce e Amy, i due ideatori dell’algoritmo, messo a punto tra il 1998 e il 2000, per un dottorato di ricerca presso l’UTAH.
Basta cliccare un po’ sul sito dell’università, per capire come molte delle operazioni che gli architetti italiani elaborano da ‘default’, vengono ideate in quest’università.
Lo studio dei Gooch si basava sugli algoritmi di Phon.
Ho cercato anche 'Phong', trovando un’altra storia straordinaria, partorita nuovamente all’UTAH.
Phong in realtà era Bui Tuong Phong vietnamita, con studi a Parigi e laurea a Tolosa. Nel 1971 - all’età di 29 anni - iniziò il dottorato di ricerca presso l’UTAH, completandolo nel 1973. Fu professore alla Stanford Research Institute e pur essendo malato terminale di leucemia, riuscì a pubblicare la sua tesi di dottorato nel 1975, morendo dopo qualche giorno.
Nella tesi, aveva elaborato un algoritmo, capace di simulare al computer le ombreggiature e l’illuminazione di una superficie: Modello di riflessione di Phong.
Perché l’accademia italiana ha trascurato questo tipo di speculazione?
In questo momento insegnando due corsi e con un terzo in partenza e avendo molti studenti da seguire non sono in grado di seguire quanto lei mi dice né tanto meno rispondere ad una domanda retorica. Ho scritto e detto molto sull'università cercando di sollevare questioni di sostanza. Ai tuoi lettori rimando per brevità a questo breve articolo "Magica Università" su "L'Arca" marzo 2010. In ogni caso, personalmente ho impostato parte della mia didattica anche sulle potenziali "sociali" di google earth rivoluzionando la mia didattica del progetto. L'esperienza si chiama Urban Voids.
Lasciamo in sospeso la mia domanda retorica, avevo già intitolato questo post: Dall'hypercard all'UrbanVoids un colloquio con Antonino Saggio.
Prima della domanda finale, rimando la lettura della tua ultima iniziativa 'la prima lezione di Architettura in Italia su iPad2' direttamente nel tuo blog.
Pensando all’uso che fai dell’autopubblicazione attraverso lulu qui la tua pagina, ci racconti la tua esperienza dell'editoria on demand o dal basso?
Ho imparato ad usare Lulu attraverso la redazione, come esercizio, de Lo strumento di Caravaggio.4 Una volta fatto su Lulu consegnai il libro anche all'editore Kappa, che ne fece due edizioni tradizionali. Feci la stessa cosa con il libro, importante per mole di lavoro, fatto con gli Scanner - quattro architetti del gruppo NitroSaggio dal titolo Roma a_venire. Anche questo libro fu prima Lulu e poi edizioni Aracne. In entrambi i casi i libri si possono avere ora via gli editori tradizionali e via Lulu in questo caso anche in pdf.
Feci anche altre piccole cose, come piccole, ma dense pubblicazioni di conferenze Datemi una Corda e Costruirò. Costruzione, Etica, Geometria e Information Technology che era anche un saggio in una raccolta miscellanea. Trovo Lulu un buon sistema intermedio di pubblicazione.
Ricordo a chi mi legge che ho curato quasi 80 volumi tra la Rivoluzione Informatica e "gli Architetti" (Edilstampa, Birkhauser Marsilio, Testo&immagine) ed ho pubblicato tradizionalmente dal 1984 con Carocci, Laterza, Dedalo eccetera.
Insomma Lulu è come il mio Blog o la mia Home. Serve a estendere il livello di pubblicazione: dalla cima tradizionale con Editori con la A maiuscola al piccolo e quasi privato. Questa "estensione" dei mezzi anche della pubblicazione cartacea mi sembra uno degli aspetti della rivoluzione informatica. Oggi Van Gogh segreto è su Lulu anche in Inglese e Kappa lo sta stampando e sarà in alcune librerie, non in moltissime però perché è troppo particolare per una editoria di grande diffusione.
Che cos’è l'Urban Voids e perché ha rivoluzionato la tua didattica?
Urbanvoids si basa su un'implementazione di Googlemap alla didattica della progettazione architettonica. È anche molte altre cose tutte combinate insieme. Ci vorrebbe un discorso apposta per descriverlo e sono sicuro che ci legge è ormai stanco. Comunque Lulu stesso ne sponsorizzò la pubblicazione consentendoci di organizzare una mostra e un convegno (che si tenne alla Galleria "come se" e fu una delle iniziative collaterali a una Festa dell'Architettura che si tenne a Roma nel 2010).
Di norma le istituzioni (Università o Ordini) sponsorizzano pubblicazioni ed eventi. Qui al contrario è stato un editore che credette talmente nell'importanza di un prodotto e nella strategia di progettazione dal basso e pro active che UrbanVoids promuoveva, che ne sponsorizzò la pubblicazione.
Comunque il libro sta qui. L'anteprima è completa e tra l'altro se si ha un ipad è bello da guardare e forse, chissà, anche da studiare.
2 maggio 2011 (ultima modifica 7 maggio 2011)
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 riporto l'incipit del primo articolo: «Una pagina di Internet si apre con l'esclamazione "O Luna... O Luna di Bilbao". È in una delle decine di siti dedicati allo scintillante Museo Guggenheim completato nel 1997 nel capoluogo basco e progettato dall'architetto americano Frank Owen Gehry, Fog per gli amici».
Antonino Saggio, Frank Owen Gehry. Luna meccanica, Arch'it -Coffee Break, 8 novembre 2000
2 Per la prima volta in Italia nell'ambito dell'architettura
Antonino Saggio, Frank Owen Gehry. Luna meccanica, Arch'it -Coffee Break, 8 novembre 2000
2 Per la prima volta in Italia nell'ambito dell'architettura
Vorrei ringraziare l'architetto D'Agostino per la notevole pazienza che gli è servita per raccogliere questi "flash"
RispondiEliminaAntonino Saggio,
RispondiEliminagrazie a te.
A presto (almeno spero),
Salvatore D’Agostino