28 ottobre 2010

0009 [BLOG READER] B-LOG

di Salvatore D'Agostino

Durante questa lunga pausa estiva (l’ultimo reader è datato 26 aprile 2010) ho archiviato diversi elenchi di post tematici: la critica di architettura, rassegna AILATI, l’accademia e i blog degli architetti.
Alla fine senza soluzione di continuità ho scelto di ritornare a parlare delle scritture blog.
In questo ultimo anno i blog aiutati dai social network facebook, twitter e similari si sono svuotati dai bla, bla, bla perditempo, trasformandosi in appunti - spesso ben strutturati - condivisi.
Per la prima volta, dopo due anni e mezzo, inizio a percepire un cambiamento in positivo.

Vi propongo una variante. Considerate questo Blog reader come l’indice di una rivista di architettura: B-LOG.

Il nome B-LOG è stato ideato da Cristian Farinella durante una discussione su facebook 'Che nome dareste a una rivista di articoli tratti dai blog?'.
Cristian Farinella (26 ottobre alle 12.58): B.log B. sta per B side, lato b e di poco valore, rarità e cose che non hanno mai visto la pubblicazione altrove. Si può leggere distrattamente come Blog (emblematico ma riassunto di quel che contiene)
Come scrivevo in un vecchio post: «L'atto di annotare o registrare in inglese è tradotto con 'to log'. 
Il log, cioè prendere nota o registrare in una pagina Web per comunicare ad altri dei contenuti è l’idea originaria del Web. 
Da qui la nascita del Web Log».

Il B-LOG si lega al concetto di B-side e alla definizione degli appunti in rete 'Web log', prima di essere contratta in BLOG.

Vi presento B-LOG una rivista di architettura attraverso i post tratti dalla blogosfera.
Buona lettura:

EDITORIALE

I blog tendono a diventare giornali
Luca De Biase


ARCHITETTURA

Il Miserabile intervista Italo Rota
Giuseppe Genna



CITTA'
 
I like air…
Luca Diffuse#2

FantaExpo
Gianni Biondillo














DESIGN
 
Intervista a Paolo Ulian
Nicoletta Gemignani
LIBRI 

Ugo Rosa#3 Aleandro Berganzi




28 ottobre 2010

Intersezioni --->BLOG READER

Come usare WA ---------------                                    -----------------------Cos'è WA
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Note:
#1 Giorgio Santilli capisco l'approccio pragmatico del gruppo del Sole 24 Ore.
Condivido - in parte - l'idea di proporre l'architettura (edilizia) italiana ma l'assenza di critica, ovvero l'apporto comparativo, ha da tempo appiattito il dibattito architettonico a favore della promozione 'architettonica'.
A mio avviso serve iniziare a recuperare un minimo di profondità analitica.

#2 Luca strabiliante la tua recente eteronomica attività blog.
Un appunto sulla versione on-line della rivista Abitare.
Per le latenti  potenzialità creative dell'equipe che gravita intorno alla rivista, trovo che sia letteralmente malata da sindrome da 'mainstream'.
Come dichiarato in uno dei suoi primi post: «Per chi non se ne fosse accorto Abitare è un blog, e siccome siamo blogger una delle cose che facciamo di più è guardare altri blog».
Quindi, Abitare on-line è un blog.
Un blog che miscela sia i contenuti trasposti dalla rivista sia le news quotidiane dei vari redattori.
Con la tendenza all'interazione con gli utenti (concezione primitiva dell'uso del Web): inviate le vostre foto fatte alla biennale, promuovete i vostri studi...
Inoltre totalmente privo di senso - ripeto per la qualità della rivista - l'idea del videoblog  affidata a Fabio Novembre della passata Triennale. Una narrazione artefatta dallo stato gassoso dell'intervistatore.
Ho trovato più interessanti i contro report del blog 'architetti senza tetto' a mio avviso più incisivi e critici.
Sinossi: Novembre il Morgan del design - ossessionato da una frase di Newton: "Ho visto così lontano perché sono salito sulle spalle dei giganti" - è stato sguinzagliato dalla rivista Abitare in veste di inviato speciale al Salone del Mobile di Milano 2010.
L'equipe di Architetti senza tetto - dopo un approfondito studio filologico - scopre il gigante su cui è salito il designer leccese per ideare la sedia HER: l'architetto 'Andrea Soldani' interpretato da Teo Teocoli nel film di Sergio Martino 'Spaghetti a mezzanotte' (1981)
.



P.S.: per favore ti fai dare un tuo personale feed per DIFFUSE OUTTAKES.
:-)

#3 Ugo sarei curioso di leggere un racconto - da fermo - del tuo intorno visivo.

25 ottobre 2010

0004 [WILFING] Che cos'è un blog?

di Salvatore D'Agostino

Che cos’è un blog per Wilfing Architettura?
Una pagina scritta implementata - video, audio, foto, slideshow, link - priva di struttura editoriale.

Per questo motivo dopo l’estate Wilfing Architettura ha cambiato aspetto ed è diventato sempre più un foglio bianco dove ospitare ‘memoria’.
Una memoria raccontata attraverso ‘l’opera aperta’ della piattaforma blog.
Opera aperta da intendersi nella sua idea basica teorizzata da Umberto Eco nel 1962:
«Il mondo multipolare di una composizione seriale (Boucourechliev) – dove il fruitore, non condizionato da un centro assoluto, costituisce il suo sistema di relazioni facendolo emergere da un continuo sonoro in cui non esistono punti privilegiati ma tutte le prospettive sono ugualmente valide e ricche di possibilità – appare molto vicino all’universo spazio-temporale immaginato da Einstein, in cui “tutto ciò che ciascuno di noi costituisce il passato, il presente, il futuro è dato in blocco, e tutto l’insieme degli eventi successivi (dal nostro punto di vista) che costituisce l’esistenza di una particella materiale è rappresentato da una linea, la linea d’universo della particella… 
Ciascun osservatore col passare del suo tempo scopre, per così dire, nuove porzioni dello spazio-tempo, che gli appaiono come aspetti successivi del mondo materiale, sebbene in realtà l’insieme degli eventi che costituiscono lo spazio-tempo, esistesse già prima di essere conosciuti (Einstein)».#1 
Wilfing Architettura è un’opera aperta che racconta l’Italia vista nel suo ‘blocco’ passato-presente-futuro.
Dopo l’inchiesta OLTRE IL SENSO DEL LUOGO ho sentito il bisogno di andare oltre i confini della stasi dei blog e cominciare ad attraversare l’Italia (e non solo) oltre il Web.
Ho allargato la mia pagina per iniziare a ospitare i POINTS DE VUE di alcuni fotografi-disegnatori-artisti, i cantieri dei CAPI COSTRUTTORI e chi utilizza gli URBAN BLOG per cambiare il proprio intorno civico.

La rubrica POINTS DE VUE (in francese punti di vista) sarà un velato omaggio a Nicéphore Niépce, l’autore della prima foto, che chiamava in questo modo i suoi primi scatti fotografici.
Ospiterà, punti di vista, attraverso la narrazione delle immagini.

CAPO COSTRUTTORE  (dal greco architetto: architékton, archi- ‘Capo’ e tékton ‘costruttore’) prenderà in esame alcuni brani di città descritti attraverso l’ideatore del progetto o interpretati criticamente. 
L'intersezione URBAN BLOG indagherà - da cronista Web – su chi, come e perché usa il Web per migliorare concretamente il proprio intorno quotidiano.

Invece nella nuova pagina Flickr di Wilfing Architettura trovate le foto che ho scattato nella rete attraverso il tasto screenshot (la macchina fotografica del Web).

Ad esempio, per le foto dell'inchiesta OLTRE IL SENSO DEL LUOGO  avevo scelto la massima libertà compositiva - senza limiti di formato - mi serviva mettere a fuoco alcune porzioni dei blog. Il filo conduttore era stato più la spontaneità snapshot che il senso/taglio estetico.

Nel set SNAPSHOT trovate altre fotografie Web.

Infine il set 800x200 raccoglierà un lavoro più meditato. Saranno delle vere e proprie fotografie in formato panoramico. Dove troverete la velleità (con i suoi pregi e difetti) del fotografo (in questo caso fotografo Web).

Wilfing Architettura è da tempo su TWITTER.

Nei preferiti ci sono due etichette:
  1. archiTWIeTTEuRa: gioca con i nomi e le parole del mondo dell’architettura in 140 battute;
  2. SI PARLA DI WILFING ARCHITETTURA: ospita i link di chi cita i post di questo blog.
Infine ho aperto la pagina di facebook dedicata a Wilfing Architettura.  

Perdonate la lunga e fastidiosa auto-citazione, ho semplicemente evitato tanti piccoli post, anticipandovi i nuovi temi del blog.

25 ottobre 2010 
Intersezioni --->WILFING

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Note: 
 
#1 Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano, 1962, p. 57

21 ottobre 2010

0045 [SPECULAZIONE] Retroguardie

Sulla necessità di uno sguardo di retroguardia, per un’architettura civile e non esclusivamente estetica.

Ricercatore presso la facoltà di architettura di Reggio Calabria

Retroguardie

Non è più tempo di spingersi in avanti prima di aver fatto il punto della situazione. Troppi sono gli eventi che, negli ultimi due decenni, abbiamo attraversato di corsa e in maniera forsennata, per non sentire la necessità di fermarci e accamparci. Quando un esercito decide di fare in questo modo e quando questo è composto, soprattutto, da “comici e spaventati guerrieri”1, allora è necessario organizzare, a una distanza utile da quest’accampamento temporaneo, un dispositivo umano che controlli gli eventi esterni in maniera tale che essi non irrompano senza alcun preavviso. Questo dispositivo è una linea di retroguardia. Diversamente dall’avanguardia, che precede un esercito in cammino verso una meta, la retroguardia cura le ritirate strategiche e veglia sul riposo e sulle membra stanche di un esercito che decide di fermarsi, per capire cosa fare del proprio futuro.
«[…] Non è quel che vidi che mi fermò. È quel che non vidi. Puoi capirlo, fratello? È quel che non vidi. Lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città, c'era tutto tranne. C'era tutto. Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo. Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu. Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi. Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita. Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio». (Alessandro Baricco)2
L’umanità che anima, e alimenta, sia la cultura sia la pratica architettonica italiana, non ha delle necessità differenti o delle maggiori possibilità oggettive di quelle che, in generale, ha l’intera comunità cui appartiene. Sarebbe del tutto illogico pensarlo o postularlo. La storia civile e culturale del nostro Paese, infatti, ha oramai messo una distanza profonda tra se è l’unico periodo della sua breve storia unitaria – quella del Secondo Dopo Guerra - di cui non si può dire ciò che Leopardi, con cruda e onesta franchezza, disse dell’Italia che lui vedeva e intravedeva. E ci riferiamo a quel Leopardi che parla proprio di noi, nel suo breve ma ancora oggi fotografico scritto intitolato “I Costumi degli Italiani”. In cui descrive una Nazione ancora giovane ma già diventata «la più morta, la più fredda, la più filosofa in pratica, la più circospetta, indifferente, insensibile, la più difficile a essere mossa da cose illusorie, e molto meno governata dall’immaginazione: anzi, priva affatto di opere d’immaginazione».
Un Paese, per l’appunto, dove ogni trasformazione immaginata, anche da chi saprebbe come operarla, è tacciata di velleitarismo, utopismo. Un Paese dove imprese politiche e culturali ambiziose sono state sempre abbandonate proprio da chi avrebbe dovuto, invece, sostenerle: non fosse altro che per incarico storico e generazionale.
«Vescovo, io so volare» / disse il Sarto al Vescovo. / «Guarda come si fa» / E salì sul campanile, con degli arnesi che sembravano ali, sulla grande Cattedrale / Il Vescovo andò innanzi alla Cattedrale / «Non sono che bugie/ non è un uccello l’uomo: / mai l’uomo volerà» / disse il Vescovo. / Il Sarto si lanciò e si sfracellò al suolo./ «Il Sarto è morto» disse il Vescovo alla gente / «Era proprio una pazzia / Le ali si sono rotte / e lui sta lì / schiantato / sui duri selci del sagrato / Che le campane suonino. / Erano solo bugie. / Non è un uccello l’uomo. / Mai l’uomo volerà» / Disse il Vescovo. (Bertold Brecht)3
Essere retroguardia vuol dire, allora, capire che il Vescovo, della poesia di Brecht, aveva torto: l’uomo, infatti, oggi vola. Vuol dire, però, sapere che anche il Sarto aveva torto. Non è con l’idea e con il solo coraggio nel provarci, infatti, che si riesce a volare. Per volare si è dovuto fare uno sforzo immane d’invenzione, per sfruttare dei dati di natura e trasformarli in un’idea e una materia del tutto artificiosa.

Né il coraggio dell’utopia né la mimesi ornitologica ha permesso all’uomo di volare. In questo senso, essere di retroguardia vuol dire guardare in maniera nuova, con realismo e rassegnazione, alla stessa idea di progresso cui abbiamo creduto con profondo senso di superstizione. Il progresso non può essere affidato al tempo, e alla convinzione che il suo solo scorrere ci serba, più avanti, il meglio e i suoi valori. Il progresso non può essere affidato alla convinzione che un uomo nuovo si accompagni al tempo che verrà. La parola “progresso”, in un tempo nemmeno lontano, sembrava avere anche una dimostrazione scientifica. Un’idea inesatta, in cui si credeva - e si crede - alla generazione graduale e ineluttabile, nel corso del tempo, del migliore mediante ciò che è meno buono. Essere di retroguardia, invece, vuol dire avere coscienza che solo una legge regola la nostra vita spirituale e materiale: possiamo essere resi migliori solo in rapporto all’influenza che su di noi può esercitare chi è meglio di noi. E ciò che è meglio di noi, per chi vive un presente, non può essere trovato nel futuro ma nel passato e nel presente. Anche quando quest’ultimo è difficile. Per costruire un futuro migliore non ci si può accontentare di prendere come esempio ciò che nel presente è negativo e sperare di migliorarlo solo proiettandolo nel domani. Noi siamo migliori, solo se cerchiamo, in ciò che è stato ed è, qualcosa di migliore che ci influenzi e ci induca a diventare migliori.
«Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade, ce n'erano a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una. A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo. Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce. E quanto ce n'é. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla. Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non è infinita. Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare». (Alessandro Baricco)4
Essere di retroguardia non vuol dire, però, come alcuni potrebbero pensare, avere nostalgia o manie nei confronti del passato. La retroguardia guarda alle spalle, di lato e avanti all’esercito su cui vigila. E lo fa per dare tempo e non per andargli incontro avanzando con gli occhi rivolti indietro. Non stiamo parlando, quindi, della moglie di Lot, cui Dio comandò di non voltarsi e che, per farlo, invece, fu trasformata in statua di sale. Essere di retroguardia vuol dire aguzzare gli occhi in tutte le direzioni, per necessità e per dovere. Essere di retroguardia vuol dire tornare a dare sostanza alle parole progetto e trasformazione, diventate, oggi, dei semplici modi di dire. Il progetto non solo si svolge in una relazione con il tempo ma, in un certo senso, è una linea di sovrapposizione, una sorta di sinonimo muto della parola “tempo”. Siamo convinti che per comprendere in maniera completa la parola “progetto”, ad esempio, bisogna partire dalla sua valenza tragica. Per poterla maneggiare con discrezione e convinzione bisogna iniziare a segnalare l’innegabile quantità di sconfitte che produce, invece di porre l’accento sulle riuscite vittorie; separare la mole d’obiettivi che manca più che i pochi e fondamentali risultati che si ottengono. Quest’aspetto tragico della parola “progetto” è già affrontato in uno dei libri più antichi della biblioteca che dà una forma alla nostra cultura: il Vecchio Testamento. In quest’antico libro, nel capitolo dell’Esodo, a guardare bene l’argomento si nota che chi scrive tratta proprio delle difficoltà che si pongono nel trasformare la realtà attraverso un percorso progettuale. È inutile che qui si ricordino i momenti più evidenti in cui quest’affermazione trova conferma. Non è inutile ricordare, invece, quelli meno evidenti. Il popolo ebraico, in ogni frangente del suo cammino di trasformazione da popolo schiavo a libero, in ogni momento di questo percorso progettuale, pose più volte delle resistenze a questo processo, arrivando a rimpiangere lo stato di schiavitù cui era stato strappato.

L’umanità, così come ogni altra materia di una trasformazione progettuale, pone sempre delle resistenze al cambiamento di stato prodotto artificialmente. Queste resistenze, il più delle volte producono la sconfitta del progetto. L’umanità, forse per il fatto di essere un’entità di genere innaturale, non si comporta secondo la chimica che è propria alla natura, in cui i passaggi di stato trasformativi avvengono linearmente e senza alcun ostacolo. Secondo questa evidente natura umana del progettare, Michelangelo ebbe a dire, con enorme chiarezza, che “è migliore, nella vita come al gioco, abituarsi a saper perdere molto che a vincere poco”. Questa, si badi bene, non è l’apologia del non realizzato o del valore del fallimento. Se fosse questo, e spesso è capitato che qualcuno ci abbia provato, vorrebbe dire descrivere un’umana giustificazione. Questa è semplicemente la constatazione delle contraddizioni che nutrono i processi di trasformazione della storia che seguono con caparbietà una linea progettuale. In questo senso nulla, come il progetto e il progettare, si presta a scritture storiche in cui le pagine migliori sono spesso rappresentate da quello che non si è fatto o potuto fare più che da quello che si è riuscito a realizzare.
«Non c’è altro modo di trovare la forma, di sapere che cosa si deve fare e come si deve farlo, che quello di eseguirla, produrla, realizzarla: non è, che l’artista abbia immaginato compiutamente la sua opera e poi la esegue, la realizza. Egli la delinea proprio mentre la fa. La forma si definisce nella stessa esecuzione che se ne fa, e diventa tale solo al termine d’un processo in cui l’artista l’inventa eseguendola. La scoperta avviene solo durante e mediante l’esecuzione, e solo operando e facendo, solo scrivendo o dipingendo, cantando o suonando, l’artista trova e inventa la forma. Fino a quando il processo non è concluso, la forma non c’è, e tutto è ancora in gioco, e la minima deviazione può condurre all’insuccesso e ciò che doveva connettersi e rapprendersi può dissolversi e dissiparsi, sì che soltanto l’esito può assicurare l’autore sulla sua riuscita». (Luigi Pareyson)5
Essere di retroguardia vuol dire inseguire una necessità che è umana, anche quando, per lunghi periodi, l’umanità smette di percepirla come tale: la ricerca di un sovrano o una sovranità da servire. Quest’aspirazione, nell’antichità ha coltivato l’Europa e il suo spirito, sia civile sia tellurico. Ha coltivato, però, soprattutto le terre di Sicilia: ed è una fortuna che dovremmo custodire con feroce gelosia. Un’aspirazione che, in Sicilia, ancora palpita nel cuore di quegli esseri di legno che sono i Pupi. Quegli esseri di legno che si animano di fronte ai nostri occhi, guidati da fili che non si vedono, ma che parlano e affermano la loro essenza. Questi esseri di legno e fili raccontano le loro storie. Sono di legno, è vero, ma quando si animano, sono esattamente quei Cavalieri che a Roncisvalle, per servire il loro sovrano e una loro idea di Dio, osarono morire senza fiatare. “Bisognerebbe obbedire solo alla legge o a un uomo, a un’idea o a un sogno”. Ed è proprio un sogno da realizzare quello che ci manca: quello della parità tra gli esseri umani. Quel sogno che mandi in soffitta la superstizione dell’uguaglianza. La parità è quella condizione artificiale che permette di servire senza essere dei servi; di servire non tanto una persona o una realtà ma l’idea che le sorregge entrambi. Ancora oggi non siamo riusciti a realizzare una Tavola Rotonda, dove tutte le differenze siano equidistanti dal loro centro reale. Una tavola in cui Re Artù e i suoi Cavalieri, nella loro evidente differenza, possano condividere, su un piano di parità, uno stesso destino. Come diceva Louis Khan, “nella vita non v’è nulla di meglio che servire il proprio Re”.
«Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. È genio quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. Allora li ho incantati. E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo e bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se né andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto. La terra che era la mia terra, da qualche parte del mondo, l'ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d'inverno, i lupi di notte, quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del Mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui. Non è pazzia, fratello. Geometria. È un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio». (Alessandro Baricco). 6
Essere di retroguardia vuol dire capire, oggi, che anche noi, che ci occupiamo di cose che sembrano superflue, e che continuiamo ad organizzare eventi culturali e manifestazioni che non sembrano tenere conto della realtà che viviamo, dovremmo forse contribuire a non rendere vano il tentativo ardito di unificare un territorio lungo e diverso come la penisola italica. Un territorio popolato da persone ignare del valore della storia, ma affezionate alla geografia. Un territorio animato, quindi, più che popolato; e che non sembra, ancora oggi, avere altra voglia, se non quella di allungarsi ancora di più, in maniera tellurica, sul mare Mediterraneo, per tentare di baciare l’Africa e provare, così, ad abbracciarla definitivamente e, con essa, impigrirsi e addormentarsi per sempre.
«Gli italiani sono persone che ancora non hanno deciso da che parte stare nella vita, per il semplice motivo che sono profondamente giovani come nazione; quindi profondamente ignoranti su cosa vuol dire vivere insieme ed essere un popolo coeso. Bisogna che l’Italia cominci col persuadersi, che c’è nel seno della nazione stessa un nemico più potente e infido dello straniero, dell’islamico, del comunista, del fascista, del romeno e dell’extracomunitario: ed è la nostra profonda ignoranza circa la bontà dei corretti comportamenti collettivi, e la poca parsimonia con cui consumiamo quelli privati. Sono le moltitudini analfabete in fatto di convivenza, i burocrati automi, i professori che ignorano completamente quello che insegnano, i politici imbecilli, i diplomatici che mancano proprio di diplomazia, i generali incapaci, gli operai senza operosità, gli agricoltori senza più amore per la terra e la retorica che gira, e gira, senza trovare mai la sua conclusione, ad essere il vero cancro del nostro Paese. Non sarà un prossimo fronte bellico o una catastrofe naturale ad impedirci d’avanzare sulla strada della maturità nazionale, ma quella linea umana composta da cinquanta milioni d’analfabeti e cinque milioni di arcadi, che compongono, oggi, la nostra comunità nazionale». (Giustino Fortunato)7
Essere di retroguardia, per chi guarda alle cose dell’architettura in funzione di un ruolo sociale spesso dimenticato, vuole dire riconoscere cosa avviene realmente e chiamare le cose con il loro nome. All’interno dello spazio urbano, oggi, sono in corso una serie di recuperi di aree cospicue, iniziati anche due o tre decenni addietro, che coincidono con grandi operazioni immobiliari. Queste operazioni non partono esclusivamente dal riuso o da una logica che guida la crescita e la riabilitazione delle città. Non vengono innescate da un’idea che riguarda direttamente la città, ma sono, in molti casi, esclusivamente una funzione della struttura articolata che oggi disegna il ciclo di un processo edilizio. Un ciclo prevalentemente finanziario ed imprenditoriale che è del tutto nuovo rispetto a quello cui siamo stati storicamente abituati. Il fatto che l’impresa abbia bisogno di ricollegarsi alla città, oggi, è una parte essenziale del contratto politico e non è, come una volta, un dato culturale o tecnico del tutto conseguente. Bisogna comprendere bene questa questione. Quando una grande impresa, un gruppo finanziario, finanche un’istituzione pubblica, decide di fare un’operazione finanziaria in cui è compresa un’elevata componente edilizia, tutto il problema delle articolazioni con la situazione urbana non diventa più un momento tecnico progettuale. Non lo diventa perché è già una parte essenziale del contratto politico che l’impresa o l’ente pubblico, o ambedue insieme oramai, hanno già stipulato con la città. Una cosa è chiarissima in queste operazioni: l’architetto e l’ingegnere, in questa fase storica, non devono gestire assolutamente nulla del progetto se non una idea, spesso molto vaga. Nel momento in cui si parla di gestire, sia chiaro, s’intende la gestione totale della riformulazione degli assetti morfologici derivanti da un programma funzionale d’ordine generale reso esplicito da una committenza.

È molto chiaro, invece, ciò che è richiesto oggi ad un grande architetto o ad un notevole progetto: è chiesto un “marchio di fabbrica”. Un marchio di fabbrica che deve essere perfettamente aderente al tipo di operazione che si andrà a realizzare. Quello che si chiede all’architetto e all’ingegnere, allora, è qualcosa di molto squilibrato. Molto spesso - e basta vedere la vicenda dei progetti per l’Expò per farsi una idea di ciò che dico – all’architetto e all’ingegnere viene chiesto un progetto in assenza anche di funzioni precise che, al momento della messa in forma, sono non previste per scelta consapevole, volontaria e strategica. Perché più si fissano le funzioni e più il progetto è poco flessibile rispetto alle trasformazioni che, in progress, verranno individuate per corrispondere esattamente alla massima remunerazione dell’investimento sul breve e medio termine Nello stesso tempo, però, l’architetto, soprattutto, e l’ingegnere, sono delle figure essenziali per una loro unica e specifica qualità cui non è possibile ancora rinunciare: loro rappresentano e pubblicizzano il progetto. Anche se non lo gestiscono più, il loro ruolo, pur se non centrale, è comunque essenziale. La questione non è se questo è giusto oppure no. Più realisticamente, a noi interessa capire se l’architetto è in grado in questo scenario, e attraverso delle capacità da costruire durante la sua formazione, di confrontarsi e di proporre soluzioni d’architettura anche di fronte a queste dimensioni e a tali sviluppi del nostro mestiere. Un mandato sociale, infatti, non è un’onorificenza o un gesto di gratitudine assegnato dall’esterno, ma è la conquista di una posizione, di un punto di vista, privilegiato e influente, sui processi di trasformazione della realtà. Questa posizione nessuno l’assegna e nessuno la toglie: o si è capaci di sostenerla, oppure quel vuoto è riempito da altre figure capaci di rappresentare, anche senza qualità, alcune istanze molto precise. In questo senso è un problema per una scuola di architettura.

La crisi dell’architettura contemporanea, allora, può essere riassunta proprio nell’arretramento evidente di fronte a queste variazioni storiche, culturali, sociali, politiche. Un arretramento utile solamente a salvaguardare, come compenso, una sorta di nicchia antropologica, culturale, di tipo tradizionale, all’interno della quale continuare a tenere in vita un particolare aspetto della nostra professione: quella in cui si notifica la sola novità morfologica. Quest’arretramento fa sì che la cultura architettonica, oggi, viva in una “riserva” dove poter continuare a tramandare il suo portato storico, a patto che ciò sia esercitato all’interno di uno spazio e di un tempo preciso e confinato. Un esercizio simile a quello d’alcune tribù autoctone del Nord America, che si calano nei vestiti tradizionali e cantano le loro canzoni di un tempo, solo ad uso e consumo dei turisti. All’interno di questa riserva culturale, allora, non v’è e non vi può essere più un reale aggiornamento culturale, perché in questo, più che altro, s’avvicendano solo delle inattuali etichette.

Essere di retroguardia vuol dire, allora, smetterla di guardarci intorno aspettando di vedere ciò che vorremmo o pensiamo che sia giusto e corretto osservare. A chi vuole essere di retroguardia, o chi crede che sia giusto iniziare a esserlo, è meglio ricordare che chi osserva deve poi riportare esattamente ciò che vede: al di là se questo piaccia o no. Dovremmo fare così per noi, in primo luogo. Per le nostre ambizioni. Dovremmo farlo, soprattutto, per onorare tutti quelli che, in una maniera o in un'altra, consapevolmente o senza accorgersene, hanno vissuto sino a oggi per questo progetto storico ancora tutto da conquistare. Dovremmo farlo per il tempo che verrà e per quelli che avranno il diritto, come noi, di viverlo, possibilmente avendo nostri attuali privilegi, dati dall’Italia per com’è, e per come potrebbe essere. Dovremmo farlo per tutte quelle Piccole Vedette Lombarde che, per guardare lontano e dall’alto, insieme al privilegio di vedere il futuro hanno abbreviato, e di molto, la loro vita su questa terra, o hanno dovuto affrontarne una lunga ma costellata da sofferenze e da contraddizioni. Dovremmo farlo per tutti quelli che ci hanno creduto, quindi, compresi quelli che, per farlo, hanno dovuto compromettere se stessi, i loro principi morali e la loro indole. Perché questo nostro Paese, e qualcuno deve iniziare a dirlo nuovamente e con tutta la propria forza morale e politica, vale molto di più di ogni suo singolo elemento: passato, presente e futuro. E su questo, allora, che bisogna essere pronti, oggi, a dare battaglia, anche nel caso in cui si possieda una sola piccola nave. Essere pronti a fare una battaglia di retroguardia per difendere alcuni principi, tra cui il valore civile e non meramente estetico dell’Architettura. Perché noi abbiamo il diritto di dare battaglia, pure con una sola nave, anche contro chi ha cento navi per mare. Non ne va della nostra vita, ma della nostra anima.

21 ottobre 2010
Intersezioni ---> SPECULAZIONE

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Note:
1 Stefano Benni, “Comici spaventati guerrieri”, Feltrinelli Editore, Milano, 1989.

2 Alessandro Baricco, “Novecento”, Feltrinelli Editore, Milano, 1997.

3 Bertold Brecht, “ Il Sarto di Ulm”, Einaudi Editore, Torino, 1984.

4 Alessandro Baricco, “Novecento”, Feltrinelli Editore, Milano, 1997.

5 Luigi Pareyson, “ Estetica”, Feltrinelli Editore, Milano, 1997.

6Alessandro Baricco, “Novecento”, Feltrinelli Editore, Milano, 1997.

7 Questa è una mia personale parafrasi di un preciso pensiero di Giustino Fortunato. Ho solo aggiornato alcuni dati (il numero complessivo della popolazione italiana) ed inserito alcuni termini che indicano problemi e questioni inedite al tempo in cui Fortunato pronunciò il discorso in cui è contenuto questo passaggio. Il senso generale, il sapore dell’invettiva che l’accompagna, però, sono identici, insieme al giudizio che lui da dell’Italia.

19 ottobre 2010

0010 [FUGA DI CERVELLI] Un involontario racconto collettivo

di Salvatore D'Agostino
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.

L’audio (nella versione ridotta) e l’incipit di questo post costituiscono la parte iniziale del mio intervento - in occasione della festa dell’Architettura Index Urbis - sul tema: Architettura nei mass media, un’immagine distorta 

Il 30 novembre 2009, attraverso la chat di Google.
Alle 10.47 del mattino il mio amico Daniele - che da qualche anno lavora a Londra come architetto - mi invia un link:
http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/celli-lettera/celli-lettera/celli-lettera.html 

Repentinamente, risposi: Grazie. Buona giornata..

Senza nessuna pausa, Daniele scrisse: non ringraziarmi prima di leggere, io l'ho letta e sto uno schifo.

Il link rimandava all’articolo della lettera pubblica divulgata su 'La Repubblica' da Pierluigi Celli - l’attuale direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali Luiss Guido Carli - indirizzata al figlio Mattia, neolaureato in ingegneria meccanica.
Dal titolo: Figlio mio, lascia questo Paese. 

La sezione dei commenti, quel giorno, registrò un'inaspettata incessante attività.
Al punto che dopo qualche ora dalla pubblicazione, la giornalista Rosaria Amato, pubblicò nella sezione online del giornale, un articolo di sintesi per spiegare l’inusuale fenomeno.
Titolo dell'articolo: Da "hai ragione" a "sei un ipocrita" Caro Celli, fuggire o resistere? 

Chat 30 novembre 2009:
16.01 me: Adesso siamo a 1099 commenti
19.44 me: Aggiornamento 1623 commenti

1 dicembre 2009:
09.15 me: Ciao Da' 2097 commenti
19.03 me: Siamo a 2377 commenti

Quel giorno la mia disattenzione iniziale si trasformò in meticolosa attenzione. Non nei confronti delle opinioni che si susseguivano sui media cartacei, radio e TV ma nei confronti dei lettori.
Da subito notai che i loro commenti - stranamente - non scadevano nel consueto tono ‘opinionistico’. Il loro simultaneo susseguirsi si era trasformato in un caleidoscopico racconto spontaneo sulla condizione lavorativa del nostro paese.
Non erano semplicemente 2500 commenti ma una memoria collettiva del presente.
Vere e proprie confessioni, a tratti laceranti, di un Paese che appare incapace di ascoltare e risolvere i problemi primari. Su tutti: il lavoro.
Quelle storie, registrate nella sezione dei commenti di un sito internet, non erano virtuali, involontariamente raccontavano qualcosa di reale, sincero, profondamente vero e annullavano le mille opinioni dei giornalisti.
Rileggendoli non mi sono sentito di aggiungere altro poiché credo che non ci sia niente d’aggiungere.

Ve li ripropongo in due versioni: 

1. Audio
Ho dato voce, attraverso un sintetizzatore vocale, ad alcune di essi.
Sentirete dei racconti che si accavallano nel ticchettio solitario condiviso in rete.



2. Selezione commenti
Ho raccolto, senza nessuna censura, tutti i commenti legati al modo lavorativo degli ingegneri (evidenziati in rosso) e architetti. 

Preparatevi comunque a soffrire 


Inviato da giucsspa il 30 novembre 2009 alle 10:28 
Sono un Ingegnere Elettronico V.O.. Sono scappato dalla mia terra, la Calabria, per i motivi che sono stati descritti nella lettera. Ora mi trovo ai confini con la Svizzera; un giorno passerò la frontiera. Se nella lettera è stata descritta la situazione italiana, vi garantisco che nel meridione è amplificata di 1000 volte. A volte ho nostalgia della mia terra, della mia gente. Ho sempre però la voglia di ritornare e di combattere contro i mulini a vento. Giuseppe

Inviato da guerriero911 il 30 novembre 2009 alle 10:40
È quello che penso da circa 15 anni, cioè da quando sono uscito dall'Università con una laurea in architettura per la quale già nutrivo un forte senso di sfiducia. Come per tutte le professioni anche questa in Italia è appannaggio di caste, e lo si vede già negli atenei dove i figli dei figli..... Il tempo ha confermato la mia angoscia. Le Amministrazioni di qualsiasi colore politico "regalano" gli incarichi agli amici degli amici in barba a tutte le leggi. Oggi sono padre di tre figli che cominciano a fare domande sulla giustizia con la sfrontatezza e la purezza propria dei giovani ed è duro spiegare le regole e poi far capire loro che in Italia "è tutto DIVERSO". Mi auguro e auguro fortemente a loro un carriera, ma soprattutto UNA VITA fuori da questo paese, visto che per me e tanti altri 30 anni sono serviti solo ad annientare il coraggio e la voglia di ribellarsi e di continuare a lottare per qualcosa di "NORMALE". 

Inviato da marino10 il 30 novembre 2009 alle 10:56
Sono anch'io padre di due ragazze, una vive in Tanzania e l'altra in Santa cruz de Tenerife. La prima, ora sta facendo una buona carriera di manager e la seconda esercita come architetto ( anche se in questo momento c'è un po' di crisi!! ahimè!). Ma è da molti anni che ho preparato le mie figlie ad "emigrare. Le circostnze hanno fatto il resto. I miei nipoti ( 3 in Tanzania ) che ora hanno rispettivamente 5 anni e 2... ora parlano ben 4 lingue ( Italiano madrelingua, inglese madrelingua, kiswahili appreso dai locali e francese appreso a scuola)..Quando anche la quarta nipotina parlerà ( è appena nata!!!) parlerà almeno due lingue ...italiano madrelingua e spagnolo madrelingua. Quanti bambini italiani possono vantare una tale ricchezza??? Ho altri amici i cui figli sono all'estero per lavoro e a tutti i ragazzi che incontro dico loro, con il cuore sanguinante... abdatevene da questo caravan serraglio...

Inviato da emma5108 il 30 novembre 2009 alle 11:08
Ho letto la Sua lettera con profonda commozione perchè quanto da Lei descritto lo ho vissuto e sofferto personalmente. Mio figlio si è laureato nei tempi giusti in ingegneria meccanica col massimo dei voti. Ha lavorato un anno a Berkeley con una borsa di studio e un anno in Spagna. Successivamente ha ottenuto il phd presso l'università di Copenaghen. Ora lavora a Parigi da alcuni anni. Parla perfetttamente inglese, francese, spagnolo, danese. A sua insaputa, e me ne vergogno, ho inviato il suo curriculum alle più grosse aziende metalmeccaniche italiane. Niente da fare. Un cercatore di testa mi ha confessato che quelli veramente bravi in Italia non li vuole nessuno e forse la Sua lettera ne fornisce la spiegazione. L'allontanamento dei figli è necessario accettarlo con serenità anche se, specialmente quando sono costretti all'estero, grande umana tristezza e un velo di rabbia spesso prepotentemente affiora.

Inviato da codore il 30 novembre 2009 alle 11:43
Condivido in pieno. Ma voglio fare l'avvocato del diavolo. Ognuno ha le proprie responsabilità dello sfascio, naturalmente in misura diversa. Lei Celli ha occupato posti di prim'ordine ,sicuro di aver fatto tutto il possibile per cambiare qualcosa? Naturalmente non le rivolgo nessuna accusa. Volevo sottolineare come la "classe dirigente" di questo paese si sia in genere appiattita verso questo andazzo di cose ,forse per proprio tornaconto personale. A Napoli questo è lampante. Mi consenta un'ultima constatazione che manca dalla sua lettera. Io ,figlio di un operaio del sud, in un paese come il nostro, nonostante capace e studioso (sono laureato in ingegneria), avrei mai potuto sperare di entrare alla Luiss? c.odore@alice.it 

Inviato da furdino il 30 novembre 2009 alle 12:08
I miei due figli uno fisico dottorato,uno ingegnere hanno già dovuto lasciare questo paese.Non hanno avuto nessuna possibilità vera hanno rifiutato l umiliazione il servilismo e prevaricazione. Povera italia poveri noi condannati a viverci senza futuro senza dignità. Non sono argoglioso di questa Italia corrotta e malata.Condivido in toto il contenuto della lettera del direttore della luiss io ne pago già le conseguenze

Inviato da elvio007 il 30 novembre 2009 alle 12:25
Toccante ma vero; la lettera l'ho girata a mio figlio laureando in ingegneria gestionale. Questa è l'Italia assuefatta oramai ad accettare i malandrini italici con grana (perchè amiamo sono quelli con grana che... "ci hanno saputo fare"!! Possibile che noi italiani abbiam perso la dignità e non si riesce ad avere un moto d'orgoglio? Sono molto deluso. Elvio007

Inviato da kingmitch il 30 novembre 2009 alle 12:25
Rispondo direttamente a tiziana1082, vittima di una brutta bestia: l'invidia sociale. Questo mostro obbliga a parlare male di chiunque svolga compiti di rilievo in Italia, senza possedere alcuna informazione sui temi che si decide di affrontare.Sono molto stupito, quando Tiziana si sente in grado di attaccare i figli del Dott. Celli, per lei viziati e raccomandati scansafatiche. Se la signora avesse fatto alcune ricerche in più, avrebbe saputo che: la prima figlia ha fatto una scelta di vita diversa e quindi non si occupa minimente di cose terrene, ha dedicato infatti la propria vita a Dio. Il figlio Mattia, è semplicemente la miglior persona che si possa sperare di incontrare. Studente della magistrale di Ingegneria, passa almeno una decina di ore al giorno a studiare. Non frequenta la Luiss, non si è mai fatto raccomandare ed è semplicemente uno degli studenti di Meccanica più preparati che ci siano ora in Italia. Lei invece Signora, è semplicemente invidiosa.

Inviato da robmalg47 il 30 novembre 2009 alle 12:31
bellissimo, commovente, vero.. mio figlio, ingegnere, si trova a Londra... dopo SryLanka,Afganistan,Kenya ora è a Londra... sono contento per lui... ormai questo è un paese per vecchi... più un cimitero che altro...

Inviato da bi59 il 30 novembre 2009 alle 13:00
Sono le identiche, amare parole che ho detto a mio figlio, studente di architettura, nel momento in cui ho realizzato la deriva forse irreversibile di questo nostro povero paese. Ma che tristezza.

Inviato da benign2o il 30 novembre 2009 alle 13:12
Io, nato 81n di PETTORANOSULGIZIO, dovetti fare la stessa scelta che Lei DIRETTORE predice a suo figlio. Dio sa quando costò a MAMMA dirmi varie volte "vai figlio mio vai non pensare a noi". Io giovane Ingegnere che lavorando a Napoli mi ero trovato a dover scegliere "Prendi la pistola che sta sotto il sedile oppure ... vai a fncl e trovati un altro lavoro, strnz". Decisi via da NAPOLI. Andai in AltoEgitto x 2 anni. Feci lalbero di natale con dermascheletri di ricci disseccati sulle spiagge del MarRosso e a maggio Mamma mi ridisse "Vai, figlio mio, vai". Ero Consulente delle NU, ma emigrante. 7 anni in Sudamerica. L'ultima volta tornai precipitosamente: MAMMA era morta io via! Ecco, DIRETTORE, ora mio figlio FILIPPO, Arch.110lode, concorsi internazionali vinti, è a MILANO. Prof a contratto all'UNI-MI, insegna ad Agrigento e progetta a Venezia per il MOSE e forse gli rinnoveranno il contratto di fame. "Vai, FILIPPO MIO. In CINDIA, in AMERICA c'è lavoro, non pensare a noi, vai ..." 

Inviato da zak76 il 30 novembre 2009 alle 13:37
Ho una laurea con lode in ingegneria (e un diploma di Consevatorio con lode) e sto completando un dottorato di ricerca. Parlo tre lingue e sto imparando la quarta. Unica mia pecca, non aver completato gli studi nel tempo minimo previsto. Ho provato a cercare lavoro nella mia città; ad un colloquio per un posto a tempo determinato (una delle poche volte in cui il mio cv ha superato la selezione) mi sono sentito dire: "ma Lei non sapeva che laureandosi così tardi avrebbe avuto difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro?". Ora lavoro in Austria, mi hanno offerto subito un contratto a tempo indeterminato, guadagno il doppio di quello che mi avrebbero offerto in Italia, ho orari superflessibili in un ambiente di lavoro interessante ed internazionale. Qui non interessa a nessuno quanti anni ho.

Inviato da giovma il 30 novembre 2009 alle 14:10
Realisticamente parlando basta vedere quante persone consigliano ai propri figli la fuga all'estero.Io personalmento so di decine di figli di conoscenti che lavorano o studiano all'estero (Francia Germania Spagna Austria e USA)con la prospettiva di rimanerci, altri che insistono con le lingue per i propri figli per prepararli a questa evenienza e loro stessi hanno acquistato una casa e messo una seconda residenza come garanzia per il futuro.Dopotutto guadagna più un cameriere in Germania che un giovane ingegnere in Italia.La realtà sta correndo più della fantasia e della polemica

Inviato da torsella il 30 novembre 2009 alle 14:18
Veramente una lettera stucchevole. Vengo da una famiglia di umili origini, mi sono laureato anch'io in Ingegneria, svolgo da anni, e dopo anni di gavetta, la libera professione con una qualche soddisfazione. Vedere che una persona come Celli scrive certe cose al figlio viene voglia di dire: ma finora, in che mondo è vissuto? Doveva pensarci prima al figlio, non ora che si accinge a cimentarsi in un mondo come quello che conosciamo. Si può fare il papà anche e soprattuttto preparando un mondo migliore per i figli. Comunque, il Dott. Celli dia il mio indirizzo mail al figlio (torsella@libero.it), proverò a spiegargli alcune cose che, chi ha vissuto in un mondo ovattato come probabilmente avrà vissuto lui, ancora non sa. E soprattutto ci faccia sapere, il dott. Celli, quale sarà il primo lavoro che andrà a svolgere il proprio pargolo. Il mio, in uno scantinato in uno studio di architetti che pagavano stipendi indecorosi e, particolare non secondario, vedevo la luce del sole raramente.

Inviato da kingmitch il 30 novembre 2009 alle 15:00
Gentile Tiziana, le rispondo direttamente. Lei mi dice di non leggere biografie per conoscere la famiglia Celli, ma di "vivere". Chiudo la polemica dicendole: io la famiglia Celli la conosco personalmente e sono un amico del figlio, quindi a differenza sua, della natura delle sue scelte ne sono confidente e sincero ammiratore. Mattia è un ragazzo che sgobba dalla mattina alla sera per avere una preparazione accademica ineccepibile e per essere un lavoratore valido. Sta scrivendo un libro di ingegneria, ha fatto una tesi di laurea che la maggior parte degli studenti avrebbe persino difficoltà a capire. Il padre è una persona che dire meritocratica è poco, oltre ad avere una disponibilità incredibile per i propri studenti. La madre di Mattia è una lavoratrice e persona rispettabile e di successo. Non è una famiglia di pescecani, né di persone che se ne stanno colle mano in mano. Lei forse, prima di giudicare le persone per sentito dire, dovrebbe conoscerle personalmente, Arrivederci

Inviato da felixcipria il 30 novembre 2009 alle 15:00
Poco prima di leggere la notizia ho ricevuto una telefonata del figlio di un cugino in cui mi chiedeva informazioni sugli Stati Uniti e le opportunità che possono esserci per un ingegnere specializzato in ambiente. Dopo avergli dati rifermenti ed appoggi l'ho consigliato di andarsene dall'Italia. Questa è purtroppo la situazione e detta da un anziano come me la dice lunga sulla situazione in Italia. Un Italia monarchica, in cui vige la dinastia economica e politica. Se Tocqueville vivrebbe direbbe: " se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto del dispotismo potrà avere in Italia, vedo una folla innumerevole di uomini eguali intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari,ognuno di loro tenendosi da parte e sopra di loro si eleva un potere immenso e tutelare".... Questa non è l'Italia di Calamandrei, Matteotti, De Gasperi e Amendola è l'Italia del cavaliere. Felix

Inviato da valeriobo il 30 novembre 2009 alle 15:27
Abbiamo fatto del tutto io e mia moglie per fornire tutti gli strumenti idonei acciocché un nostro figlio se ne andasse da questo dannato paese. Dalla tenerà età, l'obbligo dello studio della lingua inglese, oggi è perfettammente bilingue, poi i massimi voti con lode alla laurea in ingegneria aerospaziale. Oggi vive in Germania, è rispettato accettato ed ottimamente pagato. Progetta componenti strutturali di aerei per un grande consorzio aeronautico europeo. Caro Professor Celli come vede confermiamo la sua solitudine e condividiamo la sua profonda amarezza. Ci siamo passati già. Questo paese non merita la migliore risorsa che sono i nostri giovani operosi e seri ricercatori. Quì contano i vari Corona, le veline, e monnezza varia, contano l'apparire e non l'essere. Un caro saluto da due genitori che credono e sperano ancora, nonostante tutto. Siamo fermi da circa 15 anni dietro il peggio che politicamente ci poteva capitare. fermi dunque dove oggi, il futuro non è progetto. 

Inviato da mart1 il 30 novembre 2009 alle 15:51
La lettera del Dott. Celli mette perfettamente a fuoco la nostra drammatica realtà. Il mondo politico e il mondo del lavoro sono sempre più avviluppati, integrandosi con sistemi di gestione lobbistici e trasversali a tutti i colori politici. Il merito non è più un prerequisito per entrare nel mondo del lavoro e il valore retributivo della propria professionalità non segue alcuna regola oggettiva. Mio figlio, laurea in ingegneria, dopo inutili colloqui di lavoro e concorsi, si è rivolto al mercato estero e quando ha ricevuto ottime proposte professionali e si è trasferito, io e mio marito ne siamo stati felicissimi. Non nascondo che poi è seguito uno stato danimo di grande nostalgia per la perdita di un figlio che forse non tornerà più in Italia, ma che, per assurdo, devo considerare un privilegiato, perché è giovane, ha potuto trasferirsi e ha voluto farlo. Chi non è più giovane, chi è stato licenziato o semplicemente chi non può emigrare, non ha questa fortuna. 

Inviato da utente03 il 30 novembre 2009 alle 15:51
Prima di finire la mia laurea in ingegneria a Bologna ho contattato universita' in Francia e in US. Ho studiato in Francia, e ho un dottorato in US. Ho lavora molto (come tanti miei amici che vivono ancora in Italia), ma con grandi soddisfazioni. Mi manca la famiglia e gli amici di sempre, li vedo meno di una volta all'anno, mi manca il cibo della Romagna e l'atmosfera ludica creata dal vicinato della casa dei miei genitori. Non mi manca l'Italia, mi mancano gli italiani con cui sono cresciuto. Non mi manca l'Italia, ma la spensieratezza di quando ero piu' giovane. I ricordi sono associati all'Italia, ma mia moglie (franco-tedesca) in Italia non ci vuole vivere perche' teme che i suoi titoli e le sue esperienze non saranno apprezzati come e' stato in US. Ora viviamo in Svizzera, con tanti altri connazionali che hanno avuto simili esperienze. Prima o poi trovero' il modo di tornare in Italia, perche' mi mancano i miei ricordi, ma l'Italia...no, non mi manca.

Inviato da margrant il 30 novembre 2009 alle 15:51
io ero un architetto,poi ho fatto l'insegnante per 30 anni, pendolare con un'isola dove non mi potevo permettere di vivere.Ho vissuto 62 anni lottando per quello che mio padre,troppo onesto,non mi aveva lasciato :un lavoro e una casa,solo questo.Ho girato il mondo ,ho pubblicato libri e sono stato amato dai miei alunni . Ma appena in pensione me ne sono andato, ero troppo stupido prima e troppo vecchio poi:non voglio morire in un paese che non stimo piu'.Pero' vorrei chiederle,lei,con il potere che ha avuto e ha, cosa ha fatto? Io ho lottato,nella scuola per aprire le menti a cose nuove e nuove idee ,non potevo fare di piu'...ma lei?E si rende conto che suo figlio e' comunque un privilegiato?andra' a lavorare di giorno per pagarsi una scuola di inglese serale mentre frequenta la sua prestigiosa universita'? Ma sono d'accordo con lei :lo mandi via, dobbiamo saltare una generazione per cercare di salvare questo paese.La nostra ne ha fatto un nome di cui vergognarsi. 

Inviato da otacon il 30 novembre 2009 alle 16:04
Buongiorno a tutti quanti. Sono uno studente dell'Alma Mater Studiorum di Bologna. Studio ormai da 5 anni Ingegneria Informatica ed è almeno da 3 che discuto con amici, parenti, colleghi e, perchè no, sconosciuti del "lasciare l'italia". Si dice da tempo che il settore ingegneristico è l'unico settore tramite il quale è facile trovare un'impiego. Ma facciamoci un po' i conti in tasca: 3 anni per la laurea triennale (chi ce la fa a laurearsi in 3 anni?) : 3 x 1600€ 2 anni per la laurea specialistica (anche qui, sono di più): 2 x 2400€ Master post laurea: in media 10.000€ Sono peraltro uno studente fuori sede quindi dobbiamo parlare degli affitti, 300€ per una singola per 5 anni: 18.000€ In qualche modo dovrò anche mangiare, pagare bollette, vestirmi e, se permettete, una birra il sabato sera: 20.000€ Lasciamo perdere le spese per tornare a casa dalla mia famiglia.arriviamo sui 60.000€ in 5 anni (quindi nelle più rosee aspettative). Il tutto quindi si traduce (continua prossimo commento)

Inviato da leius il 30 novembre 2009 alle 16:08
Mi ha fatto davvero piacere leggere questa lettera. Io sono emigrato in Francia come ingegnere informatico. Le umiliazioni che ho avuto in Italia (cercando un lavoro e facendo stage) le ho cancellate in poco tempo. Ho scoperto un mondo del lavoro corretto e che ti permette di crescere ed avere una carriera vera. Sto progettando già di andare in Canada. Mio padre e mia madre vogliono che torni ma non se ne parla. Ho fatto tanto per guadagnarmi quello che ho. Gli faro' leggere la lettera di Celli, sono sicuro che gli aiuterà a capire. Quando un politico attacca l'Unione Europea é per paura dell'influenza positiva che gli altri paesi possono avere sui giovani. Meno male che ci sono loro (con tutte le cautele del caso naturalmente). VIVA L'EUROPA.

Inviato da otacon il 30 novembre 2009 alle 16:13
Il tutto si traduce in un' "investimento" (chiamiamolo così) di circa 12.000€/anno -> 1.200€/mese lo stipendio di un lavoratore "benestante". Esco dall'ambiente universitario e mi catapulto nel mondo del lavoro, ammesso che qualcuno mi prenda, mi daranno AL MASSIMO 1000€-1200€ con, ovviamente, un contratto a tempo DETERMINATO, ciò significa che non sarò mai in grado di costruire il mio futuro (per ovvi motivi). Per recuperare il mio 'investimento' dovrò lavorare NELLE PIU ROSEE ASPETTATIVE almeno altri 10 anni (perchè le spese, anche da lavoratore, sussitono ugualmente). Incoraggio tutti voi a trovare gli stipendi di ingaggio all'estero per un'ingegnere, raffrontarli. NON SIAMO PERSONE, SIAMO SCHIAVI, tenetelo sempre presente!!! IL MONDO DEL LAVORO ITALIANO NON PAGA!!!

Inviato da primativo il 30 novembre 2009 alle 16:28
Ciao papà! Leggiti la lettera che il direttore della Luiss ha scritto a suo figlio (mi sembra di risentire le tue parole); questa e' la mail ricevuta da mio figlio, oggi 28enne, laureato da 4 anni in ingegneria aerospaziale, presso il politecnico di napoli, con il massimo dei voti; oggi mio figlio vive e lavora a tolosa, e' un ragazzo felice e soddisfatto, se fosse rimasto in italia non so se avrei potuto dire la stessa cosa......... riporto l'antica frase detta da eduardo ai napoletani, "fuitevenne", oggi il consiglio vale per tutti i giovani italiani in cerca di aria pulita. antonio primativo

Inviato da jago78 il 30 novembre 2009 alle 16:47
 la prima volta cheho sentito un discorso analogo a questo avevo 12/13 (circa 1990). mio padre stava invitando mio fratello (prossimo all'università) ad andarsene dal nostro paese, a studiare all'estero dove meritocrazia, rispetto, trasparenza sono valori diffusi e condivisi. mio fratello non ascoltò. non ascoltò neanche il suggerimento di studiare qualcosa che fosse comunque rivendibili all'estero. io ho commesso il primo errore (ho studiato in italia) e tuttora lavoro nel bel paese. fortunatamente gli ingegneri sono richiesti anche all'estero e conto di emigrare al più presto. l'italia è un paese condannato. e non è certo colpa del solo signor B. sarà il clima, il buon cibo, la bellezza del luogo. non so. gli italiani sono cicale, non formiche. purtroppo sta arrivando l'inverno.

Inviato da unoc il 30 novembre 2009 alle 16:48 
E', purtroppo, tutto vero. Ha ragione Celli (e vorrei vedere se un uomo del suo calibro poteva dire sciocchezze). Ormai l'Italia è un paese che sta andando alla malora. Tra l'altro posso riportare anche un caso, a mio avviso emblematico. Ho un amico, ingegnere, che all'università era il punto di riferimento per tanti. Geniale e preciso, gran lavoratore e amante del suo lavoro di ingegnere elettronico esperto in sistemi di telecomunicazione. Per un sadico gioco di "cessioni di rami d'azienda", l'ultimo ritrovato di chi per fare cassa venderebbe anche la madre qualora servisse a qualcosa, è disoccupato. Casi come questo, immagino ce ne siano tanti e quindi il Paese Italia si deve privare di menti geniali a casusa di menti ottuse, chiamate alla guida di lavoratori tra i migliori del mondo. E' assurdo, terribilmente assurdo. Come se una capra guidasse una folla di pastori. Con queste premesse c'è poco da fare in Italia. O sei figlio o nipote di una di queste capre, oppure fai la fame.

Inviato da ifrdon il 30 novembre 2009 alle 16:56
Scrivo questo commento dopo aver appreso pochi minuti fa, ad esempio, che una Amministrazione locale ha emanato un bando per un incarico di 3 anni per una collaborazione esterna (di Architetto) per complessivi 50.000 euro nel quale manca solo il nome e il cognome del candidato futuro vincente. Come non dare ragione a Celli?

Inviato da steflo19 il 30 novembre 2009 alle 17:04
 

Innanzitutto mi complimento per l'interessamento a questo tipo di problemi. Come padre mi trovo nella stessa situazione del prof.Celli e condivido la sua analisi. Premesso che le soluzioni passano attraverso un impegno del o dei governi nazionali ed una difesa dei posti di lavoro nel settore industriale vorrei ricordare al sindacato che gli stipendi degli ingegneri nel pubblico impiego sono regolati da contratti e sono ad oggi indecorosi. Nel settore sanità, per esempio, esistono dirigenti amministrativi che raggiungono stipendi di 100 mila euro ed ingegneri che superano di poco i 25000 netti. Vorrei precisare che l'ingegneria sia biomedica, sia clinica, sia delle telecomunicazioni in sanità, come in tutti i servizi rivolti al cittadino è di vitale importanza. 

Inviato da luciano01 il 30 novembre 2009 alle 17:14 
Sono padre di due figli, la maggiore con laurea in biologia sanitaria, con un contratto con a termine l'ASL di Padova, il minore iscritto al secondo anno di ingegneria dell'informazione. Io sono docente universitario e mia moglie insegna alle elementari. Sia mia moglie che io abbiamo per anni tentato di contribuire a formare cittadini, sia nella scuola che nella famiglia, che potessero andar fieri di essere italiani; tutto ciò che di buono abbiamo dato ai nostri figli e ai nostri discepoli, anche sbagliando, ma sempre in buona fede, è stato costantemente demolito da una classe politica incapace di operare scelte tese a migliorare le condizioni dei nostri giovani, più occupata a salvaguardare lobbies di potere (banche, assicurazioni, ordini professionali, taxisti, camionisti e quant'altro) che a investire sul futuro dei ragazzi, sulla ricerca, sull'istruzione. Se i miei figli, i miei studenti avranno l'opportunità di emigrare, che lo facciano; senza esitare e con la mia benedizione.

Inviato da menadel2009 il 30 novembre 2009 alle 17:43

Mia figlia Architetto ha resistito circa 3 anni dopo la laurea partecipando a concorsi in Enti Locali già stra-assegnati al momento del bando, facendo colloqui ovunque, lavorando con compensi da fame in vari studi professionali (tutti agganciati alla politica per avere appalti e/o subappalti) poi non ha resistito più. Ha preparato tramite email o telefono tre colloqui di lavoro ed è partita per Londra portandosi solo i suoi book ed il suo curriculum. Mai stata a Londra prima di quella data quindi senza agganci di alcun genere tranne amicizie on-line. Scrivo dei numeri per far capire le differenze con il nostro paese.Il giorno 5 giugno 2008 atterra a Londra, sostiene i 3 colloqui (VERI!) il giorno 17 giugno inizia a lavorarare con uno dei tre. Il giorno 30 giugno ha ricevuto il primo bonifico in banca per i giorni lavorati. Altro mondo.Purtroppo! Perchè, come genitori, inizialmnete ci è costato molto vederla partire dopo immensi sacrifici da parte di tutti. Ma ora siamo contenti per lei. 

Inviato da ersorcio il 30 novembre 2009 alle 18:17
Negli USA da 20 anni, gli amici de Roma mo' me dicono "aho, hai fatto bene a annattene". A sentillo di', ho pensato che me sa che nun je piacevo. Pero' quanno lo vedo una vorta l'anno che faccio na rimpatriata, quello sta' davvero a pianje. A momenti je devo paga' er caffe', me racconta che arrivati a 40 anni, je arrivata 'a crisi personale. Se svejato un giorno, se visto 'o specchio, e se vergognato de vedesse. Co li genitori che l'hanno tirato su nel DopoGuerra co tutti li sacrifici, i panini co la mortadella, le enciclopedie a rate, in quattro dentro la seicento, mo questo e' architetto, geometra, dottore, ricercatore. Ma arrivati a 40 anni, se reso conto che dopo a porta 'e borse pe' dieci anni, e' ancora un precario. Me sembra de vede' la fine dell'italia descritta dall'antropologo Donald Pitkin nel libro "Mamma, Casa, Posto Fisso". Aho, famo l'aggiornamento ar libro, e rintitolamo "Addio Mamma, Casa, Posto Fisso"

Inviato da jacker3 il 30 novembre 2009 alle 18:27
 

Sono un giovane studente di ingegneria al politecnico di milano, nonchè studente momentaneamente (spero) in fuga da una realtà tremendamente difficile come la calabria. E' comodo per un membro della "casta" consigliare a migliaia di giovani italiani di fuggire: è la via più semplice per mantenere il potere scaturito da quel sistema e garantire ai propri figli la continuità di quelle prassi. Quella lettera è scritta solo su basi di terrorismo sociale. Di certo l'Italia non è il paese delle meraviglie: i problemi sociali ed economici oramai non si contano più. Ciò nonostante non coprirei a priori il nostro paese di letame: il nostro sgangherato diritto allo studio mi ha permesso di conseguire una laurea in ing. chimica. In america (ad esempio), a meno che non fossi stato un cervellone di prima specie o un cestista provetto non avrei potuto fare altrettanto. I nostri padri, dovrebbero spronarci a rimanere per migliorare la situazione piuttosto che incitarci a scappare. 

Inviato da ferraccio il 30 novembre 2009 alle 18:53
Ho una figlia laureata in architettura, da quando e laurata lavora saltuariamente in nero ha 31 anni e non ha ancora un contributo previdenziale versato. Abita ancora con me e anche volendo non può smettere di fare la bamocciona, ora sta anche cerado lavoro come commessa.Sono daccordo questo per i giovani ,ormai e un paese sensa futuro anche io che sono un modesto operaio da tempo gli ho detto di andarsene via dall'italia

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:04
 
Parte 1 Caro dott. Celli, sono Agostino ed ho 35 anni. Fino a pochi mesi sono stato un lavoratore precario. Abito in Provincia di Caserta, una provincia tuttaltro che tranquilla (chi non ha letto Gomorra?). Sono ormai passati 7 anni da quando ho conseguito una laurea in Economia (purtroppo fuori corso nemo potest duobus dominis servire perché ho voluto lavoricchiare per non pesare eccessivamente sul bilancio familiare) ed un master in Ingegneria Informatica. Ho sperimentato sulla mia pelle molte delle forme contrattuali atipiche che la legge consentiva ai datori di lavoro di poter sfruttare per rendere flessibili le rispettive piante organiche e risparmiare qualche euro. In questi anni ho cambiato 4 lavori decenti, svolto diverse docenzedi impieghi indecenti ho perso il conto. Da luglio del 2008, e per 7 mesi, ho tentato, invano, di trovare lavoro qui, nella mia terrain Regione Campania. 

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:04
Parte 2 Mi sono ritrovato a sbattere contro un muro di gomma, respinto per i più disparati motiviper alcuni ero troppo in là con gli anni, per altri troppo specializzato, qualcuno mi ha fatto capire di non gradire la mia militanza politica e sindacale. Mi ritengo comunque un privilegiato, ho avuto una famiglia che mi ha permesso, tra molti sacrifici, di poter studiare, però da pendolare (non volevo gravare con una stanza in affitto a Napoli sulle casse familiari) e non in prestigiosi istituti(quanto avrei voluto studiare alla Bocconi, alla Luiss!!dalle mie parti si dice cà nisciun è fess). Ho pensato a quanti non hanno potuto fare altrettanto e stanno incontrando difficoltà maggiori rispetto alle mie. Mi sono rimboccato le maniche e, come libero professionista, mi sono rimesso in gioco, sto tentando di scommettere di nuovo, investire unaltra volta sulla mia Terra dorigine

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:04
Parte 3 In questi anni non ho mai pensato di emigrare per cercare fortuna altrove,e non perché non ne avessi avuto lopportunità. Bisognava rimanere, qui cè tanto da fare, troppo da fare. Caro dottore la vile pecunia è importante, ma, fortunatamente, non è tuttoquante volte sono stato retribuito un decimo di un portaborse qualunque. Mi basta una vita dignitosa e finchè posso, voglio dare il mio piccolo contributo per aiutare a creare le condizioni perché tutti noi si possa godere di una vita normale, caratterizzata da aspetti che per Lei saranno scontati, ma che, Le assicuro, per noi non lo sono affatto. Un ambiente salubre, unistruzione di base ed una casa per tutti, un lavoro dignitoso (svuotare il più possibile quelle sacche di povertà, di disoccupazione in cui vengono deluse le aspirazioni dei giovani senza futuro, i loro bisogni non più procrastinabili. La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, concretizziamo questo principio.

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:04
Parte 4 La lotta alla criminalità organizzata comincia dal lavoro, dalla dignità delle persone, dal creare le condizioni affinché le persone non debbano essere private della loro libertà e della loro dignità); un sano funzionamento degli enti pubblici e della politica; la memoria (dobbiamo fare me¬moria.è innanzitutto un dovere di riconoscenza verso chi ha seminato, con la propria vita, il proprio sangueuna testimonianza che non ci può essere rubata da alcunchè.queste persone hanno tracciato un percorso che io sento il dovere di seguire e il dovere di non scordare); uninformazione sana. Tutto questo senza doversi piegare alle camorre, ai soprusi e senza dover abbandonare le proprie radici. La nostra Terra ha tante potenzialità da poter esprimere. Ognuno di noi deve lavorarci. Voglio trasformare la mia rabbia, la mia delusione in qualcosa di positivo. Credo fortemente nel contributo che ognuno di noi può e deve dare perché tutto ciò si realizzi.

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:09
Parte 5 La parola d'ordine è continuità. Contro la camorra, contro i soprusi bisogna combattere tutto l' anno, perché, loro, agiscono per tutto l'anno. Sento il dovere di non girarmi dall'altra parte. Non dobbiamo far passare nelle nostre menti un concetto di giustizia e di legalità sostenibile che accetta mediazioni. Non chiediamo solamente allo Stato, dobbiamo essere noi cittadini i primi a fare il nostro dovere, la nostra parte. Se ognuno di noi pensasse solo a coltivare il proprio orticello, si chiudesse tra le quattro mura di casa propria, di che futuro potremo godere, in quale società ci ritroverremo a vivere tra qualche anno?, Quale società consegneremmo a chi verrà dopo di noi? E la domanda che mi pongo ogni volta che guardo negli occhi i miei nipotini di un anno e mezzo. Riappropriamoci di questa terra. E giusto chiedere alle istituzioni di fare la loro parte ma solamente se la faremo an¬che noi. Siamo tanti, la maggioranza 

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:09
Parte 6 Dobbiamo combattere qualsiasi zona grigia. Dobbiamo ricostruire dalle fondamenta la pienezza del proprio destino, dei propri diritti, la responsabilità di riappropriarci fino in fondo delle nostre vite. Sarebbe una bella stagione, di grande forza, grande dignità, grande responsabilità. Dobbiamo perseguire la coerenza, la credibilità e soprattutto è importante la continuità delle nostre azioni, delle nostre scelte e dei nostri impegni, è anche questo il senso di essere qui. Il coraggio, la normalità del bene dovrebbe essere la vera struttura di tutta la nostra società. Dobbiamo avere il coraggio di lottare, ognuno per la propria piccola parte, con il proprio ruolo, con le proprie competenze. Cè bisogno che i diritti non siano scritti solo sulla carta, non siano solo parole enunciate ma che siano carne, siano vita. Cè bisogno di creare queste condizioni. 

Inviato da morgilloagostino il 30 novembre 2009 alle 19:09
Parte7 Dobbiamo essere corresponsabili perché noi possiamo e dobbiamo chiedere alle istituzioni di fare la loro parte ma se noi facciamo innanzitutto la nostra parte fino in fondo con coerenza. Lalternativa qual è? Scappare? E se scappassimo tutti la mia Italia, la mia Regione, la mia Provincia,l fra qualche anno, che fine avrà fatto? E molto più difficile restaresoprattutto nelle nostre terre.glielo assicuro dottore Celliè molto più difficile rimanere da questaltra parte del campo della vitapiuttosto che oltrepassare quella linea che ti separa da strade in discesaquella linea che, dalle nostri parti, è così sfuocata, labile, scolorita.. 

Inviato da horse25 il 30 novembre 2009 alle 19:20
Io, non piu' giovanissima, ingegnere in un settore tecnologico, mi sono ritrovata a lavorare all'estero, ancor prima della crisi. Continue ristruturazioni del settore..Mio figlio e' a New York, sta seguendo un master e venerdi' scorso gli ho detto su skype: "Se riesci, cerca di trovare un modo per rimanere li' in America, l'Italia sta diventando sempre piu' un luogo dove si sta cancellando il futuro (ed anche il presente e' piuttosto deprimente). Si sta perdendo la capacita' di ricordare e di pensare, di rispecchiarsi in valori quali la decenza, l'onesta', la capacita' , lo sforzo. Di fatto si sta accellerando la decadenza di una nazione, tra la completa ignavia di una gran parte delle persone, l' intolleranza di altri e l'invidia diffusa ed ammirata verso il potere e la malavita da parte di altri ancora. Mia figlia, appena laureata e' a Roma e aspetta un'opportunita'. Amo i miei figli ed il mio paese, ma skype e' l'unico mezzo che ci permette ancora di essere una famiglia.

Inviato da sintcar il 30 novembre 2009 alle 19:44
Mio fratello è ingegnere elettronico, lavora nel campo aereo spaziale. Da molti anni lavora all'estero prima in Olanda, poi in Germania e adesso in Francia. Per il tipo di lavoro che conduce, non esiste una professionalità nel ns. paese, se dovesse rientrare resterebbe dietro ad una scrivania senza fare niente. Purtroppo ci sono lavori che all'estero esistono e sono ben remunerati, mentre restare in Italia non ti permette di crescere in professionalità. Ci sono professioni che ti permettono di vivere esperienze all'estero e di riportare la tua competenza nel ns. paese per migliorarlo, ma sono casi molto rari. Il nostro è un paese che non offre tante opportunità, non permette di portare dei grandi cambiamenti, chi può vada all'estero, scoprirà un ambiente culturale diverso, più aperto alle novità e al confronto di nuove idee, oltre ad avere un riconoscimento economico non indifferente. Quando si è cresciuti in professionalità e competenze, rientrare per cambiare le cose nel nostro paese

Inviato da delbia68 il 30 novembre 2009 alle 19:49 

Dice bene Celli! I soliti sentimenti son quelli che mi spinsero 10 anni fa a lasciare la mia pur bella Toscana. Una laurea in ingegneria e uno stipendio di 1 milione e 680 mila lire al mese era un'offesa all'intelligenza ed al sacrificio che i miei genitori avevan fatto per il mantenimento degli studi. Dopo qualche anno rientrai in Italia nella speranza che le cose potessero andare diversamente con l'esperienza maturata. Il problema e' che quando ti rendi conto che non e' utopia lavorare in un ambiente di lavoro meritocratico che offra prospettive di crescita pur senza raccomandazioni o leccaculi, allora tornare indietro e' contro natura. Son tornato all'estero 5 anni fa e da allora seguo con tristezza il teatrino politico ridicolo che riempe le pagine dei giornali ogni giorno in Italia. Ci vorranno generazioni per cambiare l'attuale classe dirigente e la razzia di sani valori che ha fatto. Gli anni lavorativi e di vita intanto passano..ad ognuno la scelta di come viverseli al meglio.

Inviato da angie1981 il 30 novembre 2009 alle 19:58
Sono emigrata dal Sud a 17 anni per studiare a Roma. Mi sono laureata in ingegneria a 23 anni. Sono partita per studiare negli Stati Uniti e poi, purtroppo, sono tornata, vinta dalla malinconia... Ho provato a farcela qui, ho fatto il Dottorato in Italia ma adesso, a 28 anni, dopo tanti sacrifici mi accorgo che è davvero tutto inutile... E fa tanta tanta rabbia rendersi conto che l'unica possibilità è andare via di nuovo, con la morte nel cuore... Ho avviato le procedure (si li esistono) per avere un posto da ricercatore in Europa, ma in cuor mio ho la folle speranza che nel frattempo cambi qualcosa e che non dovrò più partire... Follia pura, ma, anche se ci hanno rubato tutto, qualche sogno in fondo al cuore ci è rimasto... E a chi ci consiglia di restare, rispondo che evidentemente non si rende conto dello stato di frustrazione che si prova dopo tanto impegno a vederesi superare dal parente di turno... E allora migrerò per la terza volta, ma questa volta, ahimè, sarà per sempre.

Inviato da evacca il 30 novembre 2009 alle 20:05
Sono d'accordo con Celli purtroppo la situazione del mercarto italiano è diventato impossibile e mal pagato per giovani brillanti anche noi da Torino abbiamo avuto nostro figlio brillante ingegnere informatico laureato a Politecnico che dal centro ricerca Motorola dopo appena 12 mesi si è dovuto cercare un'altro impiego ed ha trovato in Francia una grande società che ne utilizza le capacità. Ora senz'altro per lui è una importante esperienza internazionale ma, fermo restando l'esperienza di distacco famigliare di cui Celli parla e che abbiamo già provato da giugno di quest'anno, il problema è che dal nostro paese i talenti migliori, istruiti a spese statali oltre che familiari, se ne vanno e poi a farli tornare sarà sempre più difficile per il livello mediocre al quale saremo giunti nel modo industriale. Padre imprenditore.

Inviato da gianka1972 il 30 novembre 2009 alle 20:13 
Si, sono uno di quelli. Uno di quelli che ha lasciato l'Italia in mano alle veline e ai tronisti. Uno di quelli che non ha accettato di comprarsi la Virgin Cola (come mi e' stato consigliato al mio primo colloquio di lavoro), per poter dire che un ingegnere al primo impiego puo' campare a Milano. Uno di quelli che crede che il lavoro sia un diritto prima e una responsabilita' poi, non un favore ne' un premio. Si, sono uno di quelli. Signor Celli, se lei non fosse stato il dg della Rai e della Luiss, uomo di potere e di cultura, Repubblica probabilmente la sua lettera non l'avrebbe pubblicata. Ma proprio perche' lei appartiene, che le piaccia o no, alla casta, ha potuto creare il casus belli. Come finira' questa discussione? Non ne sono sicuro, credo ci siano un paio di opzioni: o la invitera' Vespa o Santoro. Poi tutti a dormire, che domani si lavora. 

Inviato da democracy il 30 novembre 2009 alle 20:13
...purtroppo é cosí. Io lavoro in Germania per una multinazionale Americana e ho due figli in Italia; uno laureato in Ingegneria e che ora stá svolgendo un Dottorato, il secondo che si laureerá l'anno prossimo. Il messaggio che continuo a ripetere loro é che appena finiti gli studi devono preparare le valigie ed andarsene. Giusto per dare una idea di come i giovani sono considerati....il mio primo figlio doveva preparare la tesi di Laurea possibilmente presso una Azienda. Siccome conosco molte Aziende in Italia, di livello internazionale, gli ho preparato un elenco a cui ha spedito la domanda di stage...risultato: nessuna disponibilitá ma non dopo una risposta. Nessuna Azienda ha mandato una semplice Email per confermargli la cosa. Che cosa ci possiamo aspettare da Aziende di questo tipo? Che sappiano valorizzare i Giovani? È triste dirlo ma i giovani non hanno futuro in Italia...chi dobbiamo ringraziare di questo? 

Inviato da chatwin0101 il 30 novembre 2009 alle 20:20
Mi sono riconosciuto talmente tanto nelle parole di Celli che mi è tornata la voglia di scrivere un libro sulle mie esperienze... ho conosciuto, talvolta, anche gente abbastanzadegna in posti di potere ma sono l'eccezione.. come lo è lo stesso Celli. Dopo 25 anni a fare l'impiegato sempre "inspiegabilmente" scavalcato da mediocri e baciapile di ogni risma sono prima finito in depressione, poi ho trovato un ammanco di milioni di euro nel bilancio della mia azienda (una multinazionale con sede in italia) ed ho deciso, ben sapendo ciò che rischiavo, di farlo sapere all'hedquarter all'estero. Naturalmente sono stato cacciato ed adesso, a 50 anni suonati, mi arrabatto con qualche consulenza mal pagata (quando viene pagata....).. anche io quando ho modo di parlare con un giovane brillante, ambizioso e di buoni principi (come un mio nipote neolaureato in ingegneria elettronica a pieni voti ) gli do lo stesso consiglio di Celli, anche se Celli ha usato parole più belle....e tragiche !!!

Inviato da specchio03 il 30 novembre 2009 alle 20:38
Nella bella lettera di Celli ho riascoltato molte delle cose che anchio vado dicendo a mio figlio,laureando in ingegneria,da qualche anno a questa parte,sempre con il tormento nel cuore.Il tormento una intera generazione che registra il proprio fallimento non avendo oggi altra alternativa da offrire ai propri figli che quella di fuggire dallItalia per costruirsi un futuro E allora mi pongo il beneficio del dubbio: non è forse anche questa una scelta egoistica, elitaria, individualista? Un modo per bypassare il problema, per sfuggire alle responsabilità di cittadinanza e di appartenenza ad una comunità che si chiama Nazione?Giustamente Celli ricorda tra i mali oscuri che infettano lItalia lindividualismo,la frantumazione di ogni coesione sociale,legoismo e lopportunismo più sfrontati: se è così lesortazione alla fuga per i nostri ragazzi è ancora una volta lesatta controprova del nostro inveterato individualismo, egoismo,utilitarismo.Quello che oggi ci fa detestare il nostro Paese.

Inviato da cinzia69us il 30 novembre 2009 alle 20:38
TROPPO COMODO. Io ritirerei il passaporto al padre e al figlio perche devono vivere nello schifo che hanno contribuito a creare. Mai nessun rettore ha alzato la mano per denunciare e/o sorvegliare i concorsi universitari e non solo... Sono una donna, un ingegnere e da quindici anni faccio ricerca all'estero, da tre sono "assistant professor" in una universita americana...

Inviato da repu il 30 novembre 2009 alle 20:51
Interesssante. Cosa c'e' che non va con gli Ingegneri Meccanici ? Io mi sono laureato in Ingegneria Meccanica a Roma con 110 Laude oramai 15 anni fa ! Me se sono andato dall'Italia subito dopo la laurea .. l'Italia puzzava gia' allora .. e figuriamoci poi, io sono figlio di operai. Adesso guadagno la bellezza di 12,000 EUR lordi al mese, ho la station wagon, moglie fichissima, due figli della madonna .. e torno in ferie quando mi pare. Non male . Tips: Anadatevene appena laureati. Ciao

Inviato da architetto02 il 30 novembre 2009 alle 20:56
Sono un Architetto110 e lode, plauso accademico, mi hanno offerto lavoro in studi di architettura "di famiglia" a Roma max 500 euro, ho provato sola ho dato allo Stato per anni più di quello che guadagnavo, ora sono una mamma il cui Comune di abitazione non da strutture ad una mamma per lavorare. Ora il mio lavoro è supplire alle carenze della scuola!! Le mie figlie le spedirò all'estero appena saranno in grado di essere autonome ! Non voglio che pensino come me che studiare e crescere culturalmente sia sinonimo di povertà, o qualcosa di cui vergognarsi, per cui a volte bisogna togliere dal curriculum qualcosa, per poter lavorare! grazie Dott. Celli 

Inviato da noirestiamo il 30 novembre 2009 alle 23:07
Io posso tranquillamente dire che ce l'abbiamo fatta in Italia senza raccomandazioni e senza passare avanti a nessuno: I nostri genitori ci hanno fatto studiare all'università (Informatica io e Ingegneria la mia ragazza) e entrambi lavoriamo con molta soddisfazione e stipendi dignitosi. Abbiamo comprato casa senza chiedere un soldo ai genitori. Non è stata facile ma a 9 anni dalla laurea ci sentiamo realizzati. Ciò non toglie che riconosciamo che la situazione Italiana descritta dalla Lettera di Celli è tristemente fedele alla realtà MA siamo anche la prova che si può restare e avere un futuro... senza scappare! Noi... restiamo e amiamo il nostro paese e per questo lotteremo per cambiarlo e lasciare qualcosa di buono ai nostri figli! Per i giovani che iniziano gli studi all'università, orientatevi sulle materie che danno lavoro (ingegneria, matematica, informatica) e lasciate perdere le altre... FORZA GIOVANI!

Inviato da nunzio100 il 30 novembre 2009 alle 23:39
mio figlio, laureato in ingegneria informatica, dopo un anno di lavoro a Milano in una multinazionale, si trasferì all'estero dove ha comprato casa e dove intende rimanere per ora. Quando gli chiesi il motivo della sua decisione mi rispose che in questo paese non ci sono possibilità di sviluppo professionale. Ha ragione? Non lo so. Certo è che come genitore non è che sia felice.

Inviato da augusto1982 il 30 novembre 2009 alle 23:57E' perfettamente lo stesso discorso che faccio con i miei amici..io giovane ingegnere combatto ancora..non so se perdo tempo, risorse, opportunità per una causa probabilmente persa dall'inizio...io suggerirei le stesse cose ad un mio fratello piccolo..ma a me stesso dico di restare..provarci con la speranza che cambi.. perchè peggio di così non può andare...a Napoli si dice : "a carn' a sott e i maccarun a copp" trad. la carne sotto i maccheroni sopra, e cioè non c'è più dignità tutto è fuori misura e fuori il buon senso delle cose. La coscienza???

Inviato da california007 il 01 dicembre 2009 alle 00:08

 Sono un figlio che si e' laureato in Ingegneria Elettronica a Catania con enormi sacrifici dei genitori. Devo ammettere che ho avuto diverse proposte di lavoro decenti in Sicilia subito dopo la laurea. Le ho rifiutate per accettare un' offerta in Irlanda. Conti alla mano, economicamente avrei guadagnato di piu' in Italia che in Irlanda il primo anno. Cosa mi ha fatto fare le valigie allora? Un po' la curiosita', un po' la voglia di liberta'. La cosa che di sicuro non mi piaceva in Italy era come ero stato trattato nei colloqui: ho notato una forte gerarchia ed un ambiente di lavoro poco accogliente, basato sulla competizione tra colleghi. A farla breve, dopo 10 anni sono ancora all' estero, mi trovo in California da 5 anni e sono in attesa della carta verde. Ho due figli meravigliosi e per il bene che gli voglio penso proprio di non tornare in Italia se non in vacanza. Perche' l' Italia e' davvero bellissima, manca solo la speranza di un lavoro dignitoso.

Inviato da galan50 il 01 dicembre 2009 alle 08:53
Mia figlia, architetto, 4 anni fa, incoraggiata anche da noi,ha fatto le valigie ed è andata in Spagna: ha trovato e cambiato lavoro con le sue sole forze, grazie alle sue capacità e non grazie a raccomandazioni o conoscenze, e ora sta pensando di prendere la cittadinanza spagnola. In Italia, se continua questo andazzo, non c'è futuro se no0n si hanno le conoscenze giuste. Condivido quindi pienamente quello che scrive Celli.


Inviato da vikingo il 01 dicembre 2009 alle 09:05 
L'articolo ha espresso quello che io sempre dico a mio figlio, con parole che non sarei riuscito così bene ad esprimere. Prossimo laurendo ingegneria meccanica gli dico sempre vai via: in Australia, Nuova Zelanda, Canada non negliUSA però. Quì non hai futuro, noi padri non siamo riusciti a fare una Patria degna di voi, perdonami, anche se nel mio piccolo non ho mai portato un granello di sabbia a questo sistema. Sono stato ramingo una vita sugli oceani del mondo, tu lo sarai sulla terra si, ma straniera. 

Inviato da eleonorapimentel il 01 dicembre 2009 alle 09:08
Laureata in Architettura con 110 e lode (sudatissimo e senza falsa modestia.. meritatissimo, dopo 10 lunghi anni di studio!), ora cultrice della materia all'Università (leggi lavoro nero di stato), commissioni d'esame e correzioni senza essere pagata e senza punteggio. centinaia di curriculum inviati, proposte di lavoro serio? Nessuna.. solo qualche collaborazione in nero su studi di "palazzinari" e ammanigliati (mi trattengo dal dire con chi)... ciò con la speranza che possa "uscire qualcosa". Come mi mantengo? facendo la cameriera nei pub saltuariamente e dando lezioni private. Vivo con i miei e per qualcuno sono una bambocciona. Dopo anni di questa vita e dopo aver visto emerite schifezze passarmi avanti solo perchè figli di e raccomandati da o apartenenti a questo o quel partito politico.. dico andate tutti a..... Io me ne vado!

Inviato da morgoth81 il 01 dicembre 2009 alle 09:07
 

Sono quasi 4 anni che sono in Germania. Sono uno di quei cervelli in fuga. Sto terminando un dottorato in Ingegneria Geologica. Dopo ho la possibilitá di far quello che voglio senza contratti a progetto o i soliti bla bla italiani. L'Italia purtroppo sta finendo... 

Inviato da delu2009 il 01 dicembre 2009 alle 09:08
Laureato in architettura ho capito da subito che non solo non avrei potuto far strada in questo paese, ma non sarei mai riuscito a costruirmi una famiglia e comprarmi una casa dove poter vivere. Il mio futuro sarebbe stato segnato da frustrazione e malumore , per l'incapacità del mio paese di poter offrire, a chi meritevole, le possibilità che nella maggior parte degli altri paesi d'Europa con un livello culturale pari al nostro, vengono offerte.Ho lasciato tutto e ,alla soglia dei miei allora trent'anni, mi son recato in Belgio, e pieno di sogni e progetti irrealizzati ho iniziato a sperare.A distanza di 7 anni sto' aspettando il secondo figlio, ho comprato una casa a tre piani con giardino al centro di Anversa e guadagno piu' di quanto tutti gli amici che son rimasti in patria - quelli che hanno un lavoro - riescono a tirar su con lavori a cococo ( parola che mi ha sempre fatto sorridere) o in nero. Fiero di essere italiano, ma piu' fiero di essermi lasciato quel paese alle spalle.

Inviato da bilancino1610 il 01 dicembre 2009 alle 09:47
 

Ho 36 anni una laurea ed un master, un lavoro a tempo indeterminato ma senza prospettiva di crescita economica e professionale. Quello che posso vedere sono offerte di lavoro dallo scarso contenuto professionale. L'italia oramai è un paese che non punta più sulla produzione dall'alto contenuto tecnico ma solo sui servizi e lavori nei ministeri. Questo modo di concepire il lavoro fa si che il livello retributivo sia sempre allineato tra i 1200-1400. Il problema dell'italia si vede osservando la difficoltà che incontrano i giovani ingegneri...offerte ridicole per lavori ridicoli. Oggi le aziende cercano smanettoni nel campo del IT dove in passato bastava un diplomato ed oggi un laureato triennale. Se avessi avuto la fortuna di conoscere bene due lingue avrei provato la strada dell'estero tuttavia è necessario andare via appena laureato perchè dopo qualunque lavoro svolto in italia non sarà rivendibile per lo scarso contenuto tecnico/professionale...

Inviato da lscalzullo il 01 dicembre 2009 alle 09:59
 

Che dire. Vivo un realtà fatta solo di ricordi. Ho lavorato due anni come ricercatore negli Stati Uniti dopo una laurea in Ingegneria Chimica. Ho goduto dei privilegi della meritocrazia, ho apprezzato con quanti sforzi l'istituzione, lo stato o la stessa università si tenesse legata alle persone valide e volenterose. No, non era affetto, niente di questo. Solo la consapevolezza che un elemento valido in un gruppo di ricerca, diventa volano per una crescita culturale ed economica di una intera Nazione. Sono rientrato inItalia, per amore e per affetto di una Nazione che non CI vuole. Ora, con discreto successo, faccio un altro lavoro, annaspando tuttavia in una mediocrità sociale ed in un'arretratezza culturale che ci sta portando a diventare una società museo, immobile e ferma ad autocelebrare il suo passato, ma in caduta libera e cieca verso un futuro senza prospettive. E' con molto rammarico, Dott. Celli, che senza mutamenti, quando sarà, a mio figlio, scriverò la stessa lettera. 

Inviato da arco1941 il 01 dicembre 2009 alle 11:13
il mio primo figlio : laurea con lode in ingegneria meccanica, dottorato di ricerca, grande impegno professionale. a dieci anni dalla laurea circa 1700 euro mensili in una grande azienda, con mal celata frustrazione. la seconda figlia : laurea con 105/110 in ingegneria chimica ; lavoro a tempo indeterminato con inquadramento non corrispondente alla qualifica, a tre anni dalla laurea 1300 euro mensili e tanta frustrazione anche per lei. il terzo figlio ha conseguito la laurea triennale in ingegneria meccanica e sta studiando per la specialistica. anche a lui, come ho detto agli due, dico vattene via da questo paese. speriamo!

Inviato da cugumi il 01 dicembre 2009 alle 11:24
 

Sono d'accordo col Prof. Celli, solo chi è laureato in Ingegneria o Economia ha qualche possibilità di trovare un impiego decoroso e idoneo abbastanza in fretta. Chi ha fatto altri studi è destinato a peregrinare a lungo e elemosinare miseri contratti a termine. La soluzione ideale sarebbero concorsi regolari ogni 2 anni, per qualsiasi settore. Noi laureati non aspettiamo altro. Io il lavoro giusto per ciò che ho studiato l'ho trovato, peccato che mi si propongano esclusivamente contratti a progetto di 4 mesi, con un compenso basso versato ogni 6 mesi. Per forza prima o poi ci si orienta verso altri impieghi, si guadagna di più a lavare le scale. E la laurea diventa davvero solo un pezzo di carta, anzi: più sei specializzato, meno vieni considerato. All'estero avviene il contrario, ecco perché un laureato italiano (se se la sente e se può) è meglio che espatri.

Inviato da bellaste il 01 dicembre 2009 alle 11:24
 

io sto provando a fare il percorso opposto. 28 anni, ingegnere con un phd in Irlanda, 4 anni passati all'estero ho deciso di tornare. I miei colleghi indiani, spagnoli, polacchi hanno come fine ultimo quello di mettere a frutto l'esperienza accumulata per rendere il proprio paese un po' migliore. perche' io non dovrei farlo? tra 2 mesi torno a Bologna, e spero proprio di non pentirmene! 

Inviato da dom61 il 01 dicembre 2009 alle 12:30 
Nella risposta del figlio ("Nel nostro paese gli ingegneri hanno spazi e possibilità per sfondare se possiedono un'adeguata base di conoscenza, anche se spesso la loro professionalità non è adeguatamente considerata, soprattutto da un punto di vista economico"Rep.oggi) tutta la storia di un precariato sottopagato e declassato, disincentivato a fare le cose per bene, che ha contribuito allo sfascio ambientale del nostro Paese. Amico, prova a vedere quanto e come viene riconosciuto il lavoro degli ingegneri all'estero e poi vedi se non ti viene voglia di emigrare pure se sei ingegnere...!

Inviato da antoncleto il 01 dicembre 2009 alle 12:30

Il mio figlio maggiore (architetto laureato con 110 e lode) lavora all'estero da parecchi anni e dice che non vuole tornare in Italia perche' non vede prospettive. Io e mia moglie ne soffriamo , il fatto di vedere i nipoti una volta all'anno se va bene e sentirli parlare un'italiano arrangiato e' triste , ma francamente non mi sento di spingerlo a tornare in questo paese che fatica a riconoscere il merito e che si chiude sempre piu' su se stesso. Fintanto che i problemi principali saranno i minareti o i processi del presidente del consiglio non riusciremo ad alzare lo sguardo e vedere cosa c'e' fuori casa nostra.

Inviato da nadiaricci84 il 01 dicembre 2009 alle 12:48

mio figlio si è laureato nel 2004 in ingegneria meccanica con lode a Bologna e ha subito lavorato sei mesi in Austria. Ha poi ottenuto un contratto di tre anni presso la Daimler Benz di Stoccarda per un dottorato di ricerca. Attualmente lavora in Austria in un centro di ricerca di ingegneria farmaceutica nella città di Graz. All'inizio tutta la famiglia ha preso molto male il fatto che lui lasciasse l'Italia ma ora siamo molto contenti perchè qua il massimo che poteva trovare era un contratto a termine per quottro soldi ed il suo dottorato andava a farsi friggere. Spero che sua sorella, che sta per laurearsi in ingegneria faccia altrettanto

Inviato da giacintolombardi il 01 dicembre 2009 alle 13:07

Di questi argomenti, anche per non dare l'idea dello spot pubblicitario, è meglio parlare in famiglia. Ai miei figli (La Sapienza - Ingegneria Meccanica - Psicologia) raccomando di dedicarsi con impegno al loro lavoro partendo anche dal gradino più umile. 

Inviato da llengui il 01 dicembre 2009 alle 14:14
Questo appello non mi trova impreparato. Nell'articolo si parla di Italia, ma noi al Sud siamo ulteriormente penalizzati. Ho quattro figli. Il primo,ora 32enne, nel 1999 si è trasferito in Francia nella stessa azienda multinazionale in cui ora è manager. Il secondo, ora 28enne, da 14 mesi si è trasferito in provincia di Varese dove lavora nel settore finanziario. Il terzo, ora 25enne, da 18 mesi si è trasferito a New Haven (USA) dove è stato assunto come ricercatore alla Yale university, La quarta (ora 20enne) è al 3° anno di architettura e già pensa di seguire i fratelli. Purtroppo, devo ammetterlo, ho caldeggiato queste scelte perchè il merito non ha precedenza. Il curriculum eccezionale non serve, servono le raccomandazioni, una non basta. La colpa di tutto ciò? è collettiva, perchè permettiamo che avvenga. L'Italia, il più bel paese del mondo, non è capace neanche di sfruttare questa sua fortuna. 

Inviato da steffy2702 il 01 dicembre 2009 alle 14:43 
ciao...purtroppo conosco e capisco questa situazione, sono laureata in ingegneria elettronica con un dottorato in elaborazione numerica dei segnali e cosa faccio? faccio il dba (data base administrator) e mi è andata meglio che a molti altri miei colleghi...inutile dire che tutto avrei creduto di fare nella mia vota tranne questo...ho studiato per fare ben altro ma ancora oggi alla fine del primo decennio del 2000 ci ritroviamo in un paese dove se non hai lo sponsor politico non vai in nessuna direzione...e ora mi chiedo perchè ho rovinato la mia vista (e vita) ? quando mi sono iscritta all'università mi aspettavo ben altro dalla mia vita...ma purtroppo anch'io sono troppo provinciale e romantica e ancora credo che lottando qui possiamo ancora migliorare la situazione e se non ci crediamo noi giovani...e se scappiamo anche noi cosa e soprattutto chi resta in Italia? non possiamo far diventare l'Italia un paese di veline e calciatori...(con tutto il rispetto per queste categorie)


Inviato da francesca77 il 01 dicembre 2009 alle 14:43
BEL PAESE...dopo i vari condoni ...ora anche il progettista non serve più a nulla...e cosa ci rimaniamo a fare in Italy??? Poveri noi....

Inviato da paolocastle il 01 dicembre 2009 alle 16:04
 

Mattia dice che per gli ingegneri c'è spazio... purtroppo si sbaglia alla grande ... se lo lasci dire da un ingegnere informatico (110 a Pisa nel '99 ... prima del 3+2) . A ingegneria ti prende anche una certa passione per le cose che funzionano bene... e il groviglio di interessi personali è talmente incacrenito in questo paese che questa passione serve solo a farti stare male. Abbandonate la nave se potete ... scriverei la stessa lettera a mio figlio ... io sono ritornato per la famiglia... ma non credo lo avrei fatto se fossi stato da solo.... magari sul relitto rinascerà nuova vita. Paolo

Inviato da pp521 il 01 dicembre 2009 alle 16:23
 

come è che allora importiamo ingegneri indiani, romeni, turchi , inglesi etc. disposti a lavorare in societa impiantistiche e di costruzioni disposti a lavorare nei cantieri piu o meno disagiati?

Inviato da andreaz1980 il 01 dicembre 2009 alle 16:59
 

per pp521: importiamo ingegneri dall'estero come dici perchè li sottopaghiamo, come succede a noi del resto... in molti si sono scandalizzati per la proposta dei minimi salariali per i praticanti avvocati, ma provate a fare gli ingegneri: se ti va bene ti sfruttano più di 9 ore al giorno senza ferie, permessi, mutua, tredicesima etc... già perchè se vuoi lavorare devi aprirti partita Iva con tutte le spese che ne conseguono (commercialista, etc) lavori come dipendente ma senza avere alcun diritto nè alcun contratto e in più ti pagano al lordo se ti va bene dopo 5-6 anni di esperienza 1800-2000 euro... a conti fatti ti resta meno dello stipendio di un'impiegato neoassunto 

Inviato da biancolit il 01 dicembre 2009 alle 17:39 
Purtroppo il prof. Celli ha ragione: siano ormai un Paese in cui i meriti non contano nulla. Mio figlio, con dottorato di ricerca e quattro anni di esperienza in aziende negli USA, è rientrato nel 2005 in Italia. Dopo due anni e mezzo, ha dovuto ritornare negli Stati Uniti perchè sua moglie (laurea in ingegneria negli USA e con esperienza di lavoro nella Genentec) in Italia non è riuscita ad avere nemmeno un colloquio di lavoro, salvo trovare in una settimana un lavoro negli USA. Anche nel mondo del lavoro, come nel'università i meriti contano poco, mentre pesano molto di più conoscenze e raccomandazioni perchè per un manager è più importante ingraziarsi chi ha potere che contribuire allo sviluppo della sua azienda assumendo giovani brillanti. Non più è l'Italia che ho conosciuto io e che si basava sui principi dell'impegno individuale e dell'etica che si sono persi negli ultimi 15 anni. no molliamo: anche noi anziani oggi dobbiamo lottare insieme ai giovani per cambiare il Paese.


Inviato da masmar35 il 01 dicembre 2009 alle 17:40
Sono perfettamente d'accordo con il prof.Celli. Mio figlio , dopo la laurea in architettura , con esperienze pluriennali in Israele , Inghilterra ,Spagna Danimarca e varia Stati medio orientali , con la conoscenza parlata e scritta dell'inglese , spagnolo , francese e arabo classico oltre ovviamente all'italiano , per trovare una occupazione appagante e fissa , nella seconda metà dei anni novanta ha dovuto trasferirsi stabilmente in Spagna! 

Inviato da iladelve il 02 dicembre 2009 alle 09:48
Rispondo a chi accusa Mattia di essere "un figlio di papa'", arrabbiata e amareggiata per chi non capisce il male che possono arrecare parole dette senza senno e cognizione di causa. Mattia Celli si è maturato con 100 al liceo Avogadro di Roma, con 110 e lode alla triennale in Ingegneria meccanica alla Sapienza e la media quasi del 30 alla specialistica; non sono i numeri che contano, conta il sacrificio di una persona che potrebbe ottenere tutto senza fatica, che sacrifica le proprie vacanze per studiare e lavorare, che si ammala per le troppe aspettative di una posizione scomoda. A chi giudica senza sapere quanto possano ferire delle semplici parole, sappia che Mattia Celli è un semplice ragazzo, con i suoi pregi e le sue insicurezze, che si ritrova a rispondere ancora di qualcosa che non dipende da lui. 

Inviato da kolokotronis il 02 dicembre 2009 alle 09:52
Fa un pò ridere che il direttore dell'università della confindustria dica a suo figlio, un privilegiato, di andare all'estero. Io sono figlio di un operaio ed ho potuto solo fare l'elettricista quando volevo studiare ingegneria, questo è uno schifoso paese classista dove anche i leader della fu sinistra disprezzano i morti di fame, mentre magari uno come Veltroni figlio di un direttore generale della Rai preferisce gli immigrati. Privilegiati ........ 

Inviato da budduit il 03 dicembre 2009 alle 10:04 
Ho un figlio laureato in ingegneria con 110 e lode a 25 anni lo hanno cercato tante aziende ma il massimo che gli hanno offerto un contratto di formazione per 1300 euro mensili , dopo tre anni di lavoro ancora è fermo allo stesso stipendio , sta meditando di andare via dall'Italia mi si stringe il cuore , proprio domenica scorsa gli ho detto , vai . La colpa è di tutti noi ,e dei nostri governanti abbiamo investito nelle pensioni baby invece che nella ricerca nei giovani , cosi oggi abbiamo ancora giovani pensionati cinquantenni da mantenere chissà per quanto tempo ancora ,mentre i giovani mancando le risorse ,devono necessariamente o accettare un lavoro sottopagato o andarsene . 

Inviato da alida09 il 03 dicembre 2009 alle 13:48 
l'unico commento che posso fare e dirvi che mio figlio laureato con ottimi risultati al Politecnico di Torino si è trasferito, dopo aver fatto il ricercatore presso l'università per 1 anno, negli Stati Uniti insieme all'attuale moglie (anch'ella laureata in ingegneria a Torino), dove hanno lavorato per tre anni. Attualmente risiedono felicemente in Norvegia, nei pressi di Oslo. Detto cio' ricordo che molti meridionali (come me e mio marito) sono stati costretti a venire al Nord per lavorare ed erano lontani dalla proprio famiglia di origine ..diciamo... 12 ore di treno, oppure 8-9 ore di auto! Bene adesso in tre ore di volo + 3 di auto (per arrivare agli aeroporti raggiungo mio figlio! Con cio' voglio dire che le distanze si sono accorciate e che i nostri figli li abbiamo educati ad essere anche cittadini del mondo! 

Inviato da rappan il 26 dicembre 2009 alle 15:33 
Caro sig. Celli, ho una brutta notizia per lei. Sono di origine Olandese e ho avuto la fortuna dopo i miei studi all´università di Eindhoven, Olanda, di lavorare come ingegnere/manager in Olanda, Italia, Inghilterra e negli Stati Uniti. Purtroppo la mia esperienza in tutti questi paesi dove ho lavorato non è molto differente di quello che lei descrive nella sua lettera. I minimi valori da lei menzionati stanno cambiando ovunque! Io mi sono reso conto che mi dovevo concentrare su altri valori di questa vita e meno della carriera o della politica (che disastro Berlusconi...). Per me l'esperienza di in totale 13 anni in Italia è stata la piu bella di tutte. Il calore umano, la cultura, la storia sono assulutamente superiore in Italia. Io sono convinto che soldi, carriera o politica non sono poi cosi importanti. Da parte mia consiglio a suo figlio di godersi piu possibile le belle cose di questa vita e possibilmente in Italia! Vai all'estero solo per l'esperienza poi torna... Un amico.


19 ottobre 2010
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