25 luglio 2011

0049 [MONDOBLOG] Julian Adda e Nicola Bergamin: Intanto c'è qb

di Salvatore D'Agostino

Questo dialogo nasce grazie a un commento scritto da Robert Maddalena in un’intervista a Vinicio Bonometto, in cui mi segnalava l’esistenza di un’e-zine ideata da Claudio Panerari all'interno dello IUAV nel 2000, per saperne di più mi suggeriva di contattare Julian Adda un suo collaboratore di quel periodo. 

In una mail del 12 aprile 2011 Julian Adda mi scrive:
La mia collaborazione con Claudio Panerari si è svolta dal gennaio 2000 fino all'autunno 2004, quando è venuto a mancare. [...]

Intanto c'è qb
QB era apparsa tra il febbraio 2002 e il gennaio 2004.
L'idea era di usare la rete per lanciare spunti di riflessione sull'architettura - ma non solo quella - contemporanea verso gli studenti.
I destinatari erano gli studenti del corso, i laureandi; e poi un po' alla volta avevo cominciato a diffonderla presso i colleghi padovani e non; si trattava sempre di files pdf molto leggeri, per cui facilmente inviabili.
Nel 2008 ho riportato sul blog qb allo scopo di rimetterla in circolo (varie volte ne avevo parlato con LineadiSenso - Robert Maddalena -, a sua volta laureando con Panerari e poi collaboratore alla didattica) ma era un passaggio macchinoso. La versione grafica che ne veniva fuori non mi piaceva per nulla, troppa confusa, poco leggibile, per nulla chiara ed immediata. Non avendo pensato successivamente ad un sito specifico per qb, quel blog non l'ho più aggiornato.
Ho però inserito tutti i qb nel mio sito dal quale sono liberamente scaricabili (non ho idea se e quanta gente abbia scaricato o scarichi quei files). [...]
Di qb - forse la prima e-zine ideata all’interno di un corso universitario - ne ho parlato anche con Nicola Bergamin anch’egli, come Julian Adda, collaboratore di Claudio Panerari.



Salvatore D'Agostino
«Noi aderiamo al programma: “Spostate le idee, non le persone”. (Motto popolare pendolare).»1
Spostare le idee, non le persone” potrebbe essere una frase pronunciata da Tim Lee Berners, sintesi perfetta dell’era dell’informatica.
Chi fu l’ideatore di questo motto e che senso gli avevate attribuito? 

Nicola Bergamin Il motto era di Claudio Panerari, non so se l'avesse copiato, almeno non coscientemente, altrimenti avrebbe riportato l'autore.
Il senso era, da un lato, di cercare di utilizzare qualsiasi strumento di comunicazione per favorire la didattica e promuovere la nostra attività all'interno e all'esterno della facoltà, dall'altro, Claudio diceva agli studenti che dovevano essere come i nomadi e quindi nelle loro peregrinazioni verso la facoltà portarsi dietro tutto l'occorrente per studiare, lavorare, mostrare e dimostrare - cosa che non sempre accadeva - l'adesione alla pratica di spostare le idee. Nella realtà significava sostanzialmente evitare dimenticanze e le conseguenti perdite di tempo. 

Julian Adda L’ideatore fu Claudio Panerari stesso, almeno così ricordo. Avevamo lezione una volta a settimana, ci si trovava in facoltà. Quasi ogni volta lui arrivava con una nuova idea da sviluppare, per costruire attività che coinvolgessero sia gli studenti che noi gruppo di collaboratori. Un bel giorno arrivò con questa idea del web magazine, sviluppando ulteriormente la bozza che aveva stilato nel 2000 e relazionato al DPA dello IUAV. Gettava le idee sul tavolo, a disposizione anche dei nostri interessi personali.
Il web magazine era nato dall’associazione di due considerazioni:

una, la propagazione di teoria (architettonica, filosofica, antropologica) in pillole (probabilmente ora avrebbe detto: via Twitter, in 140 battute), che prendeva spunto da un’idea di Roberto Masiero, che all’epoca credo tenesse un corso di estetica;

due, la consapevolezza che il pendolarismo diffuso tra gli studenti generasse enormi perdite di tempo, e che sarebbe stato più sensato spostare le idee – forse oggi potremmo dire le informazioni – piuttosto che le persone fisiche.

Io gli davo quest’ultimo senso: era più facile preparare, una volta alla settimana, in mezza giornata un numero di qb ed inviarlo a 50, 100 persone, e seminare idee, piuttosto che radunare le stesse 100 persone una volta al mese e parlar loro di quattro idee per qb, tenere lezione, fare revisioni.
La produzione di qb in seguito ha comunque generato anche delle comunicazioni specifiche, tenute all'interno del corso, su alcuni temi di architettura e letteratura che consideravamo particolarmente interessanti.

Il motto di Claudio Panerari mi ha ricordato questa riflessione di Gian Antonio Stella:
«L’imprenditore in teoria dovrebbe cercare la localizzazione ottimale. Macché: quando casa sua non è più la localizzazione ottimale della minuteria metallica, il veneto non ci pensa un attimo a spostarsi. Non di casa, però: cambia settore. Il suo obiettivo è restare dove sta, nel suo bel capannone dietro casa, facendo la cosa al momento più conveniente.»2
NB Claudio era un migrante, nato a Bolzano da famiglia di origine mantovane, trasferita, durante il ventennio in Alto Adige (o Sud Tirolo tanto per non urtare la sensibilità di nessuno) e del Nord Est subiva il fascino, anche se in maniera disincantata; rileggendo alcune sue comunicazioni, una mi ha fatto sorridere, dopo un'articolata elencazione dei problemi riguardo alla didattica ed in generale alla produttività del gruppo di lavoro, terminava dicendo: «Concludo con una esortazione forte: Bestie, lavorate! che nell'economia del NE da normalmente ottimi risultati».
Il tono era ironico, ma al tempo stesso manifestava la consapevolezza di come il modello di riferimento richiedesse notevoli sacrifici.
Ritornando alla movimentazione di idee e all'imprenditore veneto, per Claudio il problema non era fare la cosa più conveniente, ma comunicarla nella maniera più efficace, sia all'interno che all'esterno della Facoltà, sempre alla ricerca di una possibilità di sperimentare concretamente le elaborazioni teoriche sviluppate in facoltà, altrimenti destinate a diventare sterili speculazioni.

JA Immagino che vada distinta un’attività imprenditoriale fisica rispetto alle attività intellettuali tipiche di un’università, che si possono realizzare con uno spostamento fisico parziale, se non nullo. E credo che Stella forzi un po’ la mano: l’atteggiamento da lui citato funzionava negli anni 70', 80', quando il mondo correvo verso il Nordest; ma dagli anni 90' in poi molti imprenditori hanno spostato l’attività (salvo tornare quando si sono resi conto che comunque qui c’era e c’è la qualità).
Trovo molto significativo il titolo che quest’anno ha il Festival Città Impresa 2011Far viaggiare le idee
Leggo: «Nella sua quarta edizione il Festival si propone di mettere al centro il grande tema delle infrastrutture e delle reti (fisiche e immateriali) […] per far viaggiare le idee e le merci delle nuove industrie creative».
Confronto e scambio per far sviluppare le idee: questo interessava a Panerari, e per il confronto e lo scambio non occorreva necessariamente spostarsi fisicamente.

La frase di Nicola «Claudio era un migrante, nato a Bolzano da famiglia di origine mantovane» mi ha fatto venire in mente una piece di Marco Paolini:
«Scusi dov’è il Sile?» Domando a una bionda svampita di Zeriolo, a metà strada fra Castelfranco e Treviso. «Deve essere verso Bassano», risponde incerta, e mi indica la direzione opposta al fiume, che, invece, è dietro l’angolo. Per capire che rapporto c’è fra gli abitanti e il territorio, è buona cosa uscire dalla via maestra e chiedere informazioni a caso. Il test migliore è quello di domandare delle acque. Sono sempre le prime ad essere dimenticate. [...] Poi sbuca un operaio, questo è veneto sicuro. «Scusi dov’è il Ponte?» Ma neanche lui sa dov’è. A Zeriolo lui ci sta per sgobbare in capannone, mica per guardare il panorama, «non so de qua», è di Santa Brigida, sette chilometri più in là. Ma in Veneto, per «non essere de cuà» basta sette chilometri più in là”.3


In questi dieci anni è cambiato il panorama mentale e fisico del Veneto? 

NB Ho l'impressione che in questi dieci anni non ci sia un solo posto al mondo in cui non sia cambiato il panorama fisico e culturale. Il Veneto non fa eccezione. Tanto per continuare a citare Paolini, credo nella quarta di copertina del suo libro L'anno passato vi siano almeno 20 modi di chiedere «Di dove sei?» nei diversi dialetti veneti.

JA L'esempio di Paolini mi solleva una questione: ma siamo sicuri che tutti sappiano leggere il territorio dove vivono?
E mi spiego: una persona, abituata per motivi di lavoro, ad attraversare il nostro territorio, qualche mese fa mi ha raccontato che per andare da Padova alla sua città di residenza (a circa 40 km da Padova) hanno realizzato una nuova strada «tutta dritta, sali in tangenziale qui a Padova da via Vicenza, ed esci a X, andando sempre dritto».
Tutta dritta? Mi chiedo.
Significa che hanno costruito una nuova strada che attraversa la campagna veneta?
Un'altra, l'ennesima strada?
Tralasciando il rimpallo di domande/risposte intermedio, la conclusione alla quale sono arrivato è che questa persona ha imboccato tre diversi tratti stradali (due tangenziali, una superstrada), le quali sono connesse tra di loro da grumi di svincoli, credendo però di stare sempre sulla medesima "strada". Il primo tratto andava verso nord, il secondo verso est, il terzo ancora verso nord, quindi con evidenti modifiche della direzione; almeno, questo è quello che io ritenevo evidente, ma che evidentemente (scusatemi il gioco di parole) non lo è per altri.
La conclusione che ne traggo è un'ulteriore domanda: prima ancora della misura del cambiamento dell'immagine mentale del territorio che abitiamo, in che modo conosciamo il territorio che attraversiamo?
Evidentemente non basta attraversare (in auto) il territorio per conoscerlo: appena fuori dal proprio piccolo ambito, il mondo comunque ci rimane ignoto. E il piccolo ambito che conosciamo può essere reticolare, una serie di grumi collegati da filamenti stradali, oltre i quali non vediamo nulla.

NB No, forse la risposta ha confuso sinteticità con generalità, intendevo dire che il tempo comporta necessariamente un cambiamento, e questo non sarà ovviamente solo fisico ma anche della percezione di quella fisicità, le "cose" esistono in quanto qualcuno le rappresenta. Calandomi nello specifico veneto, ciò che continua a stupirmi è una sorta di coesistenza di universi paralleli, se da un lato è vero che continuiamo a consumare territorio, tre nuove strade, centri commerciali e residenziali, dall'altro continua comunque a esistere e coesistere un'altra natura relativamente poco antropizzata; tra la statale che collega Padova a Vicenza e il corso del Bacchiglione, che attraversa entrambe le città, ci sono in media meno di 4 km di distanza, in un caso è possibile percorrere 30 km senza praticamente uscire da un centro abitato nell'altro senza entrarne. Il tempo cambia l'ambiente e cambia la nostra percezione di questo, che però non potrà mai essere univoca, essendo infiniti noi e infiniti (quasi) gli ambienti, da ciò l'impossibilità di definire in maniera univoca, appunto, il Veneto, ce ne sono tanti almeno quanti i modi per chiedere «da dove vieni?» 

«[...] oltre i quali non vediamo nulla», Julian, il tuo finale si ricollega a una riflessione del geografo Franco Farinelli:
«Prova ne sia appunto il nome del Somìa. Il contadino che abitava ai suoi piedi non ne conosceva il nome perché quella montagna faceva parte del suo luogo, dell'ambito di cui interno egli viveva e lavorava e che costituiva tutto il suo mondo. Non essendovi per lui un'altra montagna, non avendo necessità di distinguere perciò tra un monte e l'altro, per lui il Somìa non era una montagna, ma la montagna, l'unica possibile.»4
Riprendendo un'analisi del CENSIS del 2008 dove si evidenziava che in Italia:
«Si vive in piccoli centri ma, sempre più, all'interno di "grandi contenitori metropolitani" dove l'urbanizzazione continua salda centinaia di comuni vicini. Anche in queste conurbazioni (quella milanese-lombarda, veneta, Roma e l'area napoletana), come nel resto del territorio, il radicamento territoriale resta molto forte.»5
Secondo una ricerca condotta dallo scienziato Albert-László Barabási - pubblicato sulla rivista Nature6 - monitorando un campione di centomila persone si è dimostrato che quest'ultimi ripercorrono sempre gli stessi tragitti con qualche sporadica lunga deviazione. Dov'è ubicata la globalizzazione? 

NB Non sono un antropologo, ma credo ormai che il termine globalizzazione interessi quasi esclusivamente dei processi più economici che culturali (anche se non sono poi così sicuro che tali processi non finiscano per coincidere) forse Glocal è comunque ciò che caratterizza l'Europa e l'Italia in particolare.
Come diceva una pubblicità del Gazzettino di qualche anno fa, la differenza tra il Quotidiano più letto dai Veneti e il NY Times è che nel primo puoi trovare anche la cronaca locale; per ritornare alla ricerca sui percorsi forse varrebbe la pena di chiedersi cosa fa la gente durante il tragitto, se e quale radio ascolta, se è collegata a qualche social network o similaria, se legge un libro o un giornale, se qualche volta guarda il paesaggio che quotidianamente attraversa.
In ogni caso il contatto o la connessione a un ambiente, è sempre virtuale o comunque mediata e indiretta, magari solo dal finestrino della nostra auto.

JA
Non credo sia da confondere il pendolarismo con la globalizzazione, si tratta di due fenomeni diversi, in una certa misura paralleli. Non vedo globalizzazione in quei tragitti casa – lavoro che si ripetono sempre uguali, che quarant'anni fa si esaurivano nell'ambito della città e che ora in una città frammentata come il nord est assumono certe lunghezze spazio-temporali, nella Randstad altre, in una città metropolitana altri ancora. Mi sembra che la globalizzazione non sia ubicata da nessuna parte, che sia qui ben vicina a noi, che ci accompagni giorno dopo giorno, nella ripetizione modulare dei marchi multinazionali nei parchi commerciali e della GDO nei centri commerciali che si ripetono cadenzati lunghi le vie di comunicazione, nelle somiglianze di ogni centro storico dove, mescolati alle insegne tradizionali, si trovano quelle delle grandi catene, nella standardizzazione personalizzata dell'offerta ai consumi della vita contemporanea. Viviamo in un grande arcipelago, dove le isole della globalizzazione stanno fianco fianco agli isolotti della localizzazione, uniti/separati gli uni dagli altri dalle infrastrutture di collegamento, che siano quelle lineari/materiali, di asfalto o ferro, o quelle puntiformi/astratte costituite da aeroporti e corridoi del cielo. 

Riporto il ‘primo punto uno’ obiettivo di Claudio Panerari per la proposta di una rivista Web al DPA del 5 febbraio 2000:
«1.1.
L’opportunità di dare vita ad una rivista w e b nasce da due bisogni diversi:
- la necessità di rendere pubbliche e diffondere le idee che si sviluppano nella scuola;
- il desiderio di iniziare ad esplorare le potenzialità di un mezzo, che promette di abbattere le barriere della distribuzione e di interagire con i destinatari del messaggio.»
NB Claudio sosteneva, giustamente, che la scuola è il luogo dove elaborare teorie e sviluppare ricerche, che però devono assolutamente trovare il modo di essere sperimentate pena l'inaridimento delle idee e la conseguente autoreferenzialità della scuola stessa, credo anche Louis Kahn dicesse qualche cosa di simile parlando dell'università come luogo dell'architettura e della città come luogo della professione (cito a memoria).
La diffusione non era quindi intesa solamente verso altre scuole o altri ricercatori, ma soprattutto verso quel mondo "reale" che sembrava non aver bisogno di architettura, accontendandosi sempre di edilizia.

JA
Condivido quello che scrive Nicola. 

Julian, dal 30 agosto 2005 gestisci un blog personale Spazio Bianco; sei tra i pionieri dei blogger architetti. A che cosa serve un blog per un architetto?

JA Spazio bianco è nato con l'idea di approfittare del mio lavoro come corrispondente del Giornale dell'Architettura per amplificare l'ambito di destinazione, e quindi di lettura, di quello che scrivevo, cogliendo l'occasione della realizzazione del monumento Memoria e Luce di Libeskind, inaugurato ai primi di settembre 2005 e che all'epoca ha animato parecchie discussioni in città. Nel mio caso, quindi, serviva da specchio ad un lavoro di cronaca architettonica che veniva svolta sul mezzo cartaceo, partendo dalla considerazione che di fronte ad una notizia degna di nota che appare sulla carta stampata, ve ne sono cento che scompaiono. L'idea era di navigare tra quelle 100 e pescarne delle altre.
L'idea era buona, la realizzazione, lo riconosco, pessima: difficile fare un buon blog da soli, ed in questo periodo non sono mai riuscito a costruire un gruppo di amici con lo spirito adatto al tema.
In generale, credo che un blog per un architetto scritto da un architetto, serva ad ampliare ulteriormente la possibilità di riflessione e scambio di opinioni, partendo da quelle notizie che altrimenti svaniscono, per arrivare fino ai risvolti tragicomici della professione: in fin dei conti, un blog è un diario, e ai diari si affidano anche le riflessioni amare sulla vita quotidiana. 

Nicola, a che cosa serve il Web per un architetto?

NB Se la TV potrebbe essere una finestra sul mondo aperta dal salotto di casa, il WEB è un'immensa biblioteca cui attingere informazioni e conoscenze, sia tecniche che teoriche, come per una biblioteca ciò che trovi non sempre coincide con quello che cercavi, ma considero questa un'opportunità piuttosto che un imprevisto.
Anche la veicolazione delle immagini è straordinaria e straordinariamente rapida, la possibilità quasi per tutti di far conoscere il proprio lavoro è un'opportunità praticamente inesistente fino a dieci anni fa. Il problema è quello dell'utilizzo consapevole del mezzo, considerando che non siamo in grado di verificare completamente quanto e come i "dati" inseriti in rete vengano ri-elaborati.


25 luglio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 qb1, 28 febbraio 2002. Qui
2 Gian Antonio Stella, Schei. Dal boom alla rivolta: il mitico nordest. Milano, Baldini&Castoldi, 1996, p. 70.
3 Marco Paolini (cita liberamente da Paolo Rumiz, La secessione leggera. Dove nasce la rabbia del profondo Nord, Roma, Editori Riuniti, 1997, p.42) Bestiario Veneto. Parole mate, Biblioteca dell’immagine, 1999, p.73
4 Franco Farinelli, Geografia, Einaudi, 2003, p. 40
5 Agenzia ripresa dal sito Piccoli Comuni, CENSIS - METÀ ITALIANI VIVE IN COMUNI CON MENO DI 20MILA ABITANTI, 5 giugno 2008. Link
6 Studio condotto insieme a Marta C. González e César A. Hidalgo, Understanding individual human mobility patterns, Nature, n. 453, 5 giugno 2008. Link

Scheda storica:
qb è stata proposta al DPA dello IUAV da Claudio Panerari e Roberto Grossa il 5 febbraio 2000. Qui per approfondire. Edita dal 2 febbraio 2002 al 6 gennaio 2004. Sono stati pubblicati 71 numeri. Qui l'archivio online.

6 commenti:

  1. «non so de qua», è di Santa Brigida, sette chilometri più in là. Ma in Veneto, per «non essere de cuà» basta sette chilometri più in là”

    tuttora lo dico anch'io "non son de cuà", senza contare il "xelo/sito foresto?" per dire di uno che abita sì e no a qualche decina di chilometri... ultimamente ho comunque l'impressione che le persone stiano scavalcando la recinzione della propria abitazione... speriamo.

    robert

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  2. Sono stato allievo di Panerari al corso di Progettazione 1 allo IUAV. Questa intervista mi ha fatto venire in mente le espressioni con cui amava spronarci (posso confermare il "lavorate, bestie!", recitato più che pronunciato), e la meravigliosa figura dello studente/viandante nella quale ci dovevamo calare quotidianamente. L'immaturità dell'epoca non mi fece apprezzare questi suoi modi a volte "brutali", ma oggi mi ritrovo a rimpiangere quel suo modo costruttivo di spronarci ponendoci di fronte a delle sfide quotidiane...

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  3. LdS,
    lo spero anch’io.
    La vecchia società ‘familistica’ asfittica e spesso ‘veramente allargata’ (nonni, zii e per più temerari amanti o simil amanti) ha generato troppi, per dirla alla Vitaliano Trevisan ‘Tristissimi giardini’.
    In pratica delle monocase per autistici ‘sociali’.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  4. Anonimo,
    molto interessante l’idea dello ‘studente/viandante’.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. attenzione salvatore, quella società è la stessa che esporta in russia, in germania... in america... praticamente in mezzo mondo... per molti versi non è per nulla asfittica, anzi. è il glocal.

    robert

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  6. LdS,
    sì, ma come mi facevi notare, mi auguro che stiano scavalcando la recinzione delle proprie abitazioni.
    Anche se le nostre ‘real estate’ (per essere un po’ glocal) insistono su un modello anti urbano ma molto redditizio, come dice qui Francesca Zajczyk: “sono un fenomeno Usa (ndr gated community). Chi vi abita ricerca sicurezza, ma vuole anche riconoscersi con i pari grado, in una sorta di individualismo collettivo. È in pratica un escludersi dalla vita collettiva urbana. Spesso la motivazione di sicurezza è solo un alibi. Gated community vuole dire stare dentro a una comunità chiusa verso l'esterno. Gli adulti, comunque, per motivi di lavoro o d'altro, incontreranno momenti di aggregazione all'esterno. Per i più piccoli, invece, potrebbe essere più difficile e molto preoccupante»”.

    E come puoi notare negli esempi non è una questione di stile architettonico ma di ‘comportamento sociale’ condiviso.
    C’è molto lavoro da fare.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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