di Salvatore D'Agostino
«È stato allora che abbiamo cominciato a intuire che internet stava per diventare un canale pubblicitario, come di fatto è, per designer e architetti. Ancor oggi ci sono migliaia di siti web fatti per cercare incarichi e mostrare il proprio portfolio, ma niente che sia pur lontanamente non ortodosso. L'intento di Cypherpunk era, per l'appunto, quello di contrastare alla base questa situazione». (John Young)*
Ho conosciuto il sito Cryptome leggendo l’intervista ai due fondatori e architetti Deborah Natsios e John Young nel numero di Maggio di Domus. Cryptome è un sito che raccoglie dal 1996 documenti censurati o secretati da parte dei governi di tutto il mondo esattamente dieci anni prima della nascita di WikiLeaks. Come promemoria ho creato la voce Cryptome su Wikipedia Italia.
Ieri Cryptome ha pubblicato un reportage sulla 'rivoluzione via social network', così chiamata dai suoi sostenitori, in atto in Bielorussia poco diffusa dalla stampa mondiale e censurata dal suo governo.
Attraverso un tam tam su internet, domenica tre luglio 2011, dei manifestanti sono scesi in strada per applaudire e opporsi con questo semplice gesto pacifico contro un regime che da diciassette anni li avvilisce.
Il presidente Alexander Lukashenko ha cercato di contrastare la protesta bloccando l'accesso a Facebook, Twitter e un importante social network russo utilizzato dagli organizzatori. La polizia in borghese ha sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, arrestando decine di persone adesso detenute nel carcere di Minsk.
7 luglio 2011
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Note:* Joseph Grima, Gli architetti dell’informazione, Domus, n. 948, giugno 2011, p. 57. Leggibile anche sul Web qui.
Le foto sono davvero inquietanti: perché a trarre in arresto chi protesta non sono uomini in divisa, ma brutali poliziotti in borghese. Direi che troppo spesso dimentichiamo di avere una Corea del Nord nel cuore dell'Europa. Bielorussia è un nome che per molti non significa nulla, eppure li in mezzo ci sono un pezzo di Polonia, un pezzo di Russia, la memoria dei Ruteni e le tracce più nefaste di Cernobyl. Insomma, bisogna avere coraggio per essere un rivoluzionario in Bielorussia. Mentre qui si scherza, lì si vive in un terrore di cui nessuno parla.
RispondiEliminaHassan,
RispondiEliminadici: «Mentre qui si scherza, lì si vive in un terrore di cui nessuno parla».
Qualche giorno fa ho seguito ‘La notte della rete’ e mi sono sentito a disagio, non mi aspetto una lunga carrellata dei ‘contestatori politici’ classici (Bonino, Fo, Di Pietro, Gilioli, Gomez…).
Sono stanco di questi urlatori che usano la rete solo come megafono.
Lo scrittore Bruce Sterling a proposito di questa legge italiana, sul suo blog (WIRED) scrive:«that weird Italian regional law that somehow concluded that open wifi was for terrorists».
Perdona l’azzardo, il terrorismo risiede nel nostro uso becero del Web, nel falso attivismo (Mario Perniola li definisce ‘incazzati in pigiama’) del grillismo, giliolismo, foismo (perdona la semplificazione).
Mi chiedo perché non sappiamo emanciparci da questi sistemi di poteri (nella fattispecie ‘urlatori’ di professione)?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Ciao Salvatore,
RispondiEliminaraccolgo con interesse il tuo punto di vista. Sinceramente, non penso che Dario Fo, Antonio Di Pietro, Alessandro Gilioli, Peter Gomez o Beppe Grillo siano un problema.
Piuttosto, credo che in questi anni si siano inseriti con relativo coraggio in un vuoto doppio: da un lato la società e la cultura del nostro Paese (uomini e donne deprivati della propria identità, omologati nel nulla), dall'altro un sistema politico autoreferenziale e impotente (uomini e donne talmente sicuri della propria identità da aver perso ogni contatto con la realtà).
Detto questo, il confronto con la Bielorussia e le tue osservazioni mi fanno pensare ad un saggio di Albert O. Hirschmann, "Felicità pubblica e felicità privata". Cercando di valutare il prezzo dell'impegno pubblico, in termini di delusione percepita, Hirschmann arriva a una conclusione che egli stesso definisce paradossale: "le società che consentono di esprimere e registrare in modo completo l'effettiva intensità delle proprie preferenze sono regimi repressivi in cui tutte le manifestazioni di opposizione - dalle più moderate alle più radicali - portano qualche 'cartellino del prezzo' sotto forma di differenti pene o sanzioni" (cap. VII).
In altri termini, l'unico modo per valutare la genuinità dell'impegno politico e dell'intransigenza dei singoli sarebbe instaurare un regime dittatoriale repressivo e violento. Ora, è evidente che io non voglio che ciò accada per valutare l'effettivo impegno di chi in questi anni si è opposto al berlusconismo.
La mia impressione è che negli ultimi venti anni abbiamo tutti 'giocato', seppure opponendoci sinceramente al blando regime televisivo che Indro Montanelli aveva profetizzato. Ma nessuno di noi sa chi avrebbe davvero mostrato l'intransigenza che fu di Piero Gobetti o di Antonio Gramsci di fronte al Fascismo, con buona pace di chi oggi guarda al ventennio fascista con occhi diversi. E qui mi torna in mente una lettura su tutte: "Il bottone di Stalingrado" di Romano Bilenchi, più per la sua descrizione delle violenze degli uni e degli altri che per l'antifascismo consapevole e adogmantico a cui Bilenchi giunse successivamente e che io condivido: dopo una 'inconsapevole' gioventù fascista, Bilenchi diventò comunista, ma lasciò il partito in occasione dei moti di Poznan del '56, che il PCI si rifiutò di comprendere.
Insomma, la mia considerazione è che la Bielorussia di oggi sia molto più simile all'Italia di Mussolini o alla Russia di Stalin di quanto non lo sia l'Italia di Berlusconi, che comunque di Lukashenko è dichiaratamente un buon 'amico'; e lo dico in senso politico, così come si potrebbe definire 'amicizia' il suo rapporto con Putin e con Gheddafi. Per il resto, credo davvero che ora si debba guardare avanti: perché quando non avremo più l'alibi del berlusconismo dovremo tutti dimostrare - a sinistra e a destra - di avere un progetto per far sopravvivere e far crescere il nostro Paese.
Hassan,
RispondiEliminacondivido il delicato ragionamento (interessanti i consigli di lettura).
Un piccolo parallelo ‘architettonico’ che si lega alla vita di Bilenchi è la vita di Giuseppe Pagano poiché dopo aver creduto nella ‘gioventù fascista’, intuendo i mali del regime, iniziò attraverso le pagine della rivista Casabella a opporsi. Pagò con la chiusura della rivista e la sua morte.
Un dato tratto dal recente Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione mi ha lasciato perplesso :«una persona su due teme il potere di omologazione della rete, che appiattisce la creatività e crea conformismo».
Io credo che la rete sia l’unico luogo non ‘omologante’ e soprattutto non appiattisca la creatività e non crei conformismo.
Un dato che m’inquieta come ‘la notte della rete’ poiché c’è ancora chi aspetta di ricevere l’invito dal media Web e non si mette in testa di vivere in prima persona il luogo in cui vive e la rete.
Questa reiterata passività mi avvilisce.
Saluti,
Salvatore D’Agostino