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6 febbraio 2010

0037 [SPECULAZIONE] Viaggio nel paese che abbiamo inventato

di Salvatore D'Agostino
«Camminare è un soggetto che porta sempre a divagare». (Rebecca Solnit) [1]
   Credo che questa frase potrebbe essere l’epigrafe del libro di Cristiano De Majo e Fabio Viola ‘Italia 2 - Viaggio nel paese che abbiamo inventato’ [2] . Contraddicendo il sottotitolo questo libro non è un racconto di viaggio ma una narrazione ad alta voce sui luoghi comuni dell’immaginario collettivo. Ai due scrittori non interessa descrivere ciò che vedono ma semplicemente divagano, il loro racconto è un accumulo di sensazioni e idee, dove lo sfondo spesso mediaticamente ‘perfetto’ si decompone. L'Italia che tutti pensiamo di aver visto e di conoscere sembra non esistere.

   De Majo e Viola si disinteressano delle descrizioni antropologiche e soprattutto non danno istruzioni per l'uso, scelgono dei luoghi, li raggiungono, camminano e divagano.
Il luogo così osservato perde la didascalia e diventa sedimentazione narrativa.

Salvatore D’Agostino Italia 2, più che un racconto di viaggio è un’iniziazione per diventare ‘abitante’ italiano, alla fine del vostro peregrinare Cristiano De Majo ritornerà nella sua Napoli perché, come afferma nel libro, ha capito che da lì occorre ricominciare e Fabio Viola andrà via dall’Italia, a Osaka in Giappone
, sostenendo: se l’Italia è diventata un’immagine stereotipata dai luoghi comuni meglio vivere dove la finzione non è subdola retorica ma stile di vita. Ancora valido il vostro epilogo? 

Cristiano De Majo Sì, è ancora valido. Siamo rimasti intrappolati nella fine del nostro libro, io a Napoli e Fabio in Giappone. Il discorso su autentico e inautentico e su vero e falso continua a essere un'ossessione per me. Sto battendo altre piste rispetto a quelle di Italia 2, ma in qualche modo continuo a occuparmene.

Fabio Viola Io ho smesso di pormi certe domande perché ho l'impressione che sia uno sforzo inane. Preferisco non contrapporre le due cose - autenticità contro inautenticità - ma vedere come si abbracciano e interagiscono, come siano l'una un miraggio dovuto all'altra.
C'è da dire comunque che l'Italia, adesso, non è che abbia molte attrattive, nemmeno fingendosi turista - e non sto fingendo di essere cinico. È per questo che ancora non ci torno: mi fa paura, mentre il Giappone mi tranquillizza (anestetizza).

Italia 2 è il resoconto a quattro mani di un viaggio, fatto tra l'ottobre 2006 e il febbraio del 2007, dove si osserva l'Italia: vista attraverso i media: la casa del Mulino Bianco e la villetta di Cogne; dei luoghi religiosi: la federazione del Damanhur e la chiesa di Padre a Pio; della memoria: la Risiera di San Sabba e Predappio; del turismo: Venezia, Roma e Matera. Dopo la lettura si ha la sensazione che avete attraversato una nazione dove gli abitanti sono in transito. Nessuno sembra abitare un luogo ma l'immagine di essa. «Ci basta poco per capire che le foto che stiamo facendo, tutte foto molto ispirate peraltro, sono foto di turisti che fanno foto».[3]
Dove abita l’italiano?

Foto di Fabio Viola
CDM Il nostro è un viaggio anche dentro certi simboli, quindi non può essere considerato una mappa dell'abitare in senso stretto. I luoghi che abbiamo scelto offrivano, a nostro avviso, una rappresentazione o una proiezione del Paese, specie per quanto riguarda alcuni aspetti. D'altra parte il primo capitolo che tu hai citato si occupa esattamente di case, o della casa italiana per eccellenza: il Mulino Bianco e il suo rovescio oscuro: la villetta di Cogne. Dunque, rispondendo alla domanda, su un piano più reale l'italiano abita in maggioranza in palazzi affogati in altri palazzi nei quartieri dormitorio delle grandi città, in un territorio che da un lato è distrutto dall'abusivismo, e dall'altro è bloccato da uno stupido ossequio nei confronti della storia, ragione per cui basta qualche pietra vecchia di duemila anni per impedire le naturali trasformazioni di una città, che dovrebbe sempre tendere a rispecchiare il tempo in cui si vive, cosa che in Italia non succede, o almeno non da un punto di vista architettonico. Dall'altro su piano simbolico, io e Fabio abbiamo immaginato che l'italiano abitasse ancora in queste casa ideale, che sembra il disegno di un bambino delle elementari: il tetto a punta, il comignolo, il focolare, ma ovviamente è insieme perfezione e orrore.

FV L'italiano non abita ma occupa. E lo fa in uno spazio maltrattato che a mio avviso andrebbe espropriato. Ciò che l'Italia è adesso è il frutto di anni di sciatteria, e se da un lato si assiste a un'esplosione di metastasi (tessuto sociale in frantumi, classe politica marcia e volgare, violenza verso il territorio, disinteresse per tutto e alienazione - tutte cose di cui si parla da tanto ma che di anno in anno sembrano sempre più in esaltazione), dall'altro mi sembra che queste metastasi vengano nascoste da una prominenza della finta vocazione turistica del Paese. Attraverso il turismo, banalmente, si mette in atto una sceneggiata, e si vende un'Italia che gli italiani non vedono o in cui non credono (più).
Nel libro non parliamo solo di questo, ma penso che il capitolo su Roma, Venezia e Matera racconti chiaramente questa Italia tumefatta.

Roberto Saviano compie un viaggio nella sua Napoli, per dopo finire esiliato, ciò che vede è socialmente scomodo, non poteva immaginare che l’ultima frase del suo libro «Maledetti bastardi, sono ancora vivo!»[4] sarebbe diventato il suo grido mattutino.
Walter Siti per qualche anno si trasferisce in una borgata romana, vive senza pregiudizi, il suo nuovo stato di abitante ne uscirà cambiato o meglio contagiato:

«L’appassionata analisi di Pasolini, vecchia di oltre trent’anni, andrebbe rovesciata: non sono le borgate che stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta “imborgatando”. Al di là dell’esperienza biografica di pochi individui sbrancati, o dell’arroganza esibizionista di qualche ricco che gioca al sottoproletario (“se hai soldi, una bella macchina e un po’ di cocaina, puoi scopare chiunque” è un motto del carcere ammirato e condiviso da Fabrizio Corona) – al di là dei casi singoli, vige un’effettiva solidarietà strutturale: nel continuum indifferenziato di chi il mondo non sa più vederlo intero, è l’ideologia di quelli che una volta si chiamavano gli esclusi (i lumpen, i sub-culturali) a risultare egemone».[5]
Gianni Biondillo, nato e vissuto a Milano nel quartiere Quarto Oggiaro, è ossessionato dalla semplificazione giornalistica e dai film girati nel suo quartiere che accomunano spesso Quarto Oggiaro a Scampia:
«Quarto Oggiaro, così come tutte le altre periferie meneghine, è dove vive il popolo che ha partecipato ad un sogno di emancipazione collettiva costruendo la ricchezza di una Milano che ora, irriconoscente, non salda il conto. Non so per quanto ancora, però, gli elegantissimi morti viventi che popolano la cerchia dei Navigli potranno dare le spalle alla sua cintura periferica. Quarto Oggiaro esiste anche nel resto dell’anno, e se non troviamo una politica insediativa e culturale degna di una città civile, se non avremo una politica che esca dai salotti buoni abituati, insomma, la catastrofe sarà imminente. Noi siamo abituati all’emergenza, ma, mi chiedo, e voi?»[6]
Più che racconti sono urla di dolore che provengono dal cuore di Napoli, Roma e Milano. Urla che l’italiano sembra non ascoltare.
A che serve scrivere?

FV Scrivere non serve a niente, o serve a pochissimo, e in particolare scrivere della società, criticarla, ribellarsi, eccetera. Scrivere fiction può servire al singolo, ma il mondo si muove in massa in direzioni prevedibili e un libro non cambia nulla. I libri più rivoluzionari sono stati inutili o talvolta dannosi. I movimenti e le correnti ispirate o mosse da un libro, una canzone, un'idea sono finiti nel nulla. Penso ai pacifisti degli anni Sessanta. Ai comunisti. Addirittura agli acquariani de "La Profezia di Celestino", che quando uscì sembrava dover cambiare il mondo tanto grande fu il successo.
Insomma scrivere fa sentire meglio o peggio il singolo, e i cambiamenti che mette in moto la scrittura sono marginali quanto è marginale un essere umano. Se il singolo essere umano è tutto ciò che conta, allora scrivere serve a qualcosa. Altrimenti è un esercizio di idealismo.
Per quanto riguarda il nostro libro, be', per me è una questione estetica più che politica o sociale. L'estetica del vuoto mi affascina, l'aderenza a un ruolo o una maschera di una persona o di un luogo sono questioni più rilevanti per me dello sforzo di criticare la società o cambiarla con la parola scritta. Se sono cinico è perché vivo in Giappone da tre anni e l'Italia si sta sgretolando con più impegno del solito.

CDM Sono anch'io convinto dell'inutilità pratica della scrittura come di qualsiasi altro prodotto culturale. E nutro un profondo sospetto nei confronti di tutti quelli che pensano, scrivendo, di cambiare il mondo. I libri che hanno modificato il corso delle cose - per esempio la Bibbia o il Capitale - sono quasi sempre testi a carattere sapienziale o messianico o politico e non hanno molto a che fare con l'idea della scrittura e dello scrittore che si è affermata dalla modernità in poi. Vedo piuttosto gli scrittori come delle antenne che dovrebbero avere una maggiore o più profonda capacità di percepire le cose, di penetrarle, oppure come dei costruttori di modelli che rappresentano il modo in cui l'uomo attraversa quest'esperienza che chiamiamo vita. E non mi sembra poco. Non credo affatto che la mia missione sia quella di migliorare qualcosa o qualcuno. Credo sia invece di raccontare quello che vedo, quello che mi fa pensare, quello che mi fa commuovere.

Il vostro libro si presenta come un viaggio ma non lo è. Manca il percorso, quell’andare da A a B che lo caratterizza, il vostro è un procedere per punti. L’evidente parafrasi sottintesa nel titolo ‘Italia 2[7] è il perno del vostro interesse, pianificate tappe legate più all’immaginazione mediatica, alla fede, alla memoria che ai luoghi.
La vostra premeditazione si evidenzia nella meticolosa preparazione, spesso coadiuvata da letture portate nel vostro bagaglio a mano.
A mio avviso, occorrerebbe leggerlo sfrondando il testo dalla metaprogettazione del viaggio, poiché le parti interessanti e credo coraggiose sono i vostri dialoghi o appunti visivi. Ciò che osservate non corrisponde a ciò che avevate immaginato. Vi accorgete che non è più possibile raccontare l’Italia con il tono romantico dei viaggiatori del passato che definivano attraverso il linguaggio e in modo perentorio i luoghi. Poiché, come spesso scrivete, ci sono cose che non si possono spiegare.
Alla fine il vostro peregrinare appare catartico, vi liberate dall’idea dominante della nostra epoca mediatica: la semplificazione.

CDM Tutto molto giusto, soprattutto l'ultima cosa che dici sulla semplificazione. Alcuni dei luoghi che abbiamo visitato si sono proprio ammalati di quella che potremmo chiamare una sindrome da semplificazione. Oltretutto la semplificazione è in un certo senso la clava del turista, e anche quando tutti noi cerchiamo coscienziosamente di problematizzare la nostra presenza in un luogo estraneo, finiamo per semplificare seguendo schemi un po' manichei e autoconsolatori (turista cattivo vs. turista responsabile). La nostra battaglia contro la semplificazione abbiamo cercato di combatterla con una scrittura problematica fino al paradosso, una scrittura di sole domande senza risposte in un paese dove l'abitudine consolidata è dare risposte senza che sia stata formulata prima una domanda. Come dicevi tu, ci sono cose che non si possono spiegare, ma questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare a raccontarle.

FV Non direi che ciò che abbiamo osservato e ciò che immaginavamo prima di partire siano due cose così distanti. La scelta che abbiamo fatto al momento della progettazione del libro è stata una scelta ponderata. Sapevamo che i luoghi sarebbero stati funzionali al nostro discorso. In questo anche noi, come i viaggiatori del Settecento, partivamo in cerca di qualcosa, di conferme visive a immagini astratte, nella speranza che la "realtà" rendesse stabile la nostra ideologia. Inconsciamente però, io credo, Cristiano e io siamo voluti passare dalla cartolina alla diapositiva. Una diapositiva però vista al buio, senza luce o proiettore, e quindi vagamente tridimensionale.
Infine, alla luce di ciò che ha scritto Cristiano poco fa, è interessante notare come queste nostre ultime siano state proprio risposte a una non domanda. All'italiana, per così dire.
 

6 febbraio 2010
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Note:
[1] Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano, 2002, p. 9
[2] Cristiano De Majo e Fabio Viola ‘Italia 2 - Viaggio nel paese che abbiamo inventato’, Minimum fax, Roma, 2008
[3] Cristiano De Majo e Fabio Viola, op. cit., p. 253
[4] Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano, 2006, p. 331
[5] Walter Siti, Il contagio, Mondadori, Milano, 2008, p. 313
[6] Gianni Biondillo, Metropoli per principianti, Guanda, Parma, 2008, p.153
[7] Italia 2 allude alla Milano 2 costruita negli anni ottanta da Silvio Berlusconi

3 novembre 2009

0001 [CON GIUSTIZIA] Città a crescita zero

di Salvatore D'Agostino
 
Colloquio con Domenico Finiguerra sindaco di Cassinetta di Lugagnano in Provincia di Milano autore del primo 'Piano Strutturale Comunale' a crescita zero in Italia.

Salvatore D'Agostino Nel 2005 si sono stimati in Italia 10,9 milioni di edifici a uso abitativo e 1,9 milioni di edifici aventi altre funzioni (tot 12,8 milioni) dati ISTAT [1].
  • 12,8 milioni di edifici realizzati cronologicamente: il 19,2 % realizzato prima del 1919 ovvero 2.457.000 edifici per 38.000.000 di abitanti (1921) 
  • il 12,3% tra il 1920 e il 1945, ovvero in 25 anni sono stati costruiti 1.574.000 edifici per un aumento demografico pari a 10.000.000 abitanti (1951)il 50% tra il 1946 e il 1981 ovvero in 35 anni 6.400.000 edifici nuovi per un aumento demografico pari a 8.500.000 abitanti (1981) 
  • l'11,5% realizzato tra il 1982 e il 1991 ovvero in 9 anni 1.472.000 edifici per un aumento demografico pari a 250.000 abitanti (1991) 
  • il 7% realizzato dal 1992 al 2005 quindi in 13 anni 896.000 edifici per un aumento demografico pari a 1.750.000 abitanti (2005)
Di cui 1.300.000 abitazioni non utilizzate con oltre 80.000 edifici rurali (CENSIS 2003) [2]

L'agenzia del territorio sta aggiornando le mappe catastali e, con l'ausilio delle fotoidentificazioni e la banca dati nel gennaio del 2008, ha reso noto un primo parziale risultato sui 4.238 comuni censiti (su 8100 in totale) sono stati scoperti 1.247.584 di abitazioni non accatastati. [3]

Nel 2002 sei diventato sindaco del comune di Cassinetta di Lugagnano con una semplice ma chiara idea: «Qui si fa un programma urbanistico a crescita zero, si recupera quello che c'è, si cresce si ma solo all'interno del paese». [4]

Quali sono state le tue prime iniziative?

Domenico Finiguerra Sono state quelle di incominciare a pensare ad un diverso modo per tenere in piedi il bilancio di Cassinetta di Lugagnano senza ricorrere alla monetizzazione del territorio. Fin dall'inizio si è avviato un duro lavoro di emancipazione del bilancio stesso dagli oneri di urbanizzazione. Tagliando tutto il superfluo, razionalizzando le spese e ispirando tutte le azioni del Comune a maggiore sobrietà.

Parallelamente si è avviata una grande campagna di reperimento contributi a fondo perduto per trasformare Cassinetta di Lugagnano nella Perla del Naviglio Grande, investendo sul turismo e sulla bellezza paesaggistica, architettonica e ambientale del nostro comune.

Che cosa intendi per monetizzazione del territorio?

I comuni versano in condizioni economiche precarie. Entrate in diminuzione e uscite in aumento producono bilanci in costante e forte squilibrio. In assenza di una reale autonomia finanziaria, per un sindaco e la sua giunta, è sempre più difficile far quadrare i conti, realizzare le opere pubbliche, garantire ai cittadini servizi indispensabili e costruire e consolidare il consenso degli elettori.

Se poi l’attività amministrativa è ispirata da manie di grandezza diventa ancora più difficile trovare le risorse necessarie (molti sindaci si sentono obbligati a dover lasciare la loro impronta, vogliono e promettono oltre misura: palazzetti, piscine, centri civici, bowling, rotonde, eventi e appuntamenti autoreferenziali). 

Quindi, come riuscire a chiudere il bilancio in pareggio, realizzare opere pubbliche (necessarie o meno) e organizzare eventi culturali e servizi alla persona (necessari o meno)? Come finanziarie il bilancio comunale in perenne squilibrio e come costruire o consolidare il proprio consenso?
La risposta a questa domanda, purtroppo, è molto semplice. 
Grazie al combinato disposto di due fattori, (1) la legge, che consente di applicare alla parte corrente dei bilanci gli oneri di urbanizzazione e (2) la disponibilità di territorio in una area geografica dove l’edilizia rappresenta un valido investimento, si pratica la monetizzazione del territorio. 
Un circolo vizioso che, se non interrotto, porterà, anzi sta già portando al collasso intere zone e regioni urbane.
Un meccanismo deleterio, che permette di finanziare i servizi ai cittadini con gli oneri di urbanizzazione, con l’edilizia. Un meccanismo che di fatto droga i bilanci comunali, finanziando spese correnti con entrate una tantum che però, prima o poi, finiscono.

Due giovani scrittori Cristiano de Majo e Fabio Viola, tra il 2006 e il 2007 percorrono l’Italia dei luoghi mediatici, religiosi e storici: il mulino Bianco, la villetta di Cogne, la Federazione del Damanhur, la chiesa di Padre Pio, la Risiera di San Sabba, Predappio, Venezia, Roma e Matera. 
Dopo una conversazione su Venezia con lo scrittore Tiziano Scarpa scrivono:
«Mentre Scarpa si allontana, Cristiano chiede a Fabio, dovendo a questo punto considerare la vera anima di Venezia la sua immagine trasmessa ai turisti, come considerare invece Scarpa. Un aspetto di quest’immagine? Una guida turistica per turisti che osservano i turisti? Ma Fabio non risponde, si preme le dita sulle tempie e dice soltanto: “L’Italia fa schifo”. La verità è che ha voglia di trasformarsi definitivamente in turista». [5] 
Perché i sindaci italiani progettano l’anima turistica del proprio paese e non costruiscono le città per gli abitanti?

Perché la quasi totalità della classe politica, preferisce l'opzione che produce effetti immediati sul consenso, in grado di far vincere le elezioni successive. Così, in campo urbanistico, ma non solo, si cerca sempre di ottenere il massimo risultato subito. Mettendo in secondo piano o addirittura senza considerare i beni comuni. Siano essi la terra, l'acqua oppure il patrimonio paesaggistico e architettonico.

L’Italia è il paese più bello del mondo. Quante volte ci siamo riempiti la bocca con questa frase. Abbiamo un enorme patrimonio artistico. Città meravigliose, piazze mozzafiato, borghi suggestivi. Siamo pieni zeppi di palazzi reali e di castelli. Di rovine. Di tombe e necropoli. Di teatri e anfiteatri. Di ville imperiali. Di cattedrali e basiliche romane, gotiche, barocche. In ogni angolo d’Italia è possibile trovare testimonianze dal passato. Appunti di viaggio della storia dell’uomo su e giù per lo stivale. Dall'antica Etruria al Rinascimento. Roma Imperiale e Magna Grecia. Abbiamo spiagge bianche, rosa, nere. Montagne e laghi. Parchi e riserve naturali di rara bellezza.

Siamo seduti su una miniera d’oro. Ma spesso e volentieri, la utilizziamo come latrina di lusso. E per rispondere direttamente alla domanda, i sindaci spesso, somigliano a quelle signore un po' robuste all'ingresso delle toilette in autostrada...

Come se l’Italia andasse in asincrono, ama a parole la sua storia ‘di cose antiche’ ma non le rispetta. Un’asincronia ancora più esplicita nelle nuove costruzioni, spesso parafrasi maldestre di linguaggi architettonici del passato. 
Cosa ci può mostrare Cassinetta di Lugagnano tra dieci anni?


Cassinetta ha cercato di recuperare il patrimonio esistente. Attraverso un enorme sforzo amministrativo abbiamo cercato di recuperare piazzette, angoli, passeggiate che il cemento o l'abbandono avevano "deteriorato".
Farei parlare le immagini:


Via Cavour,

Via Capo di sopra,

Via Roma

e Villa Birago-Clari-Monzini (questo è proprio commerciale).

L’ultimo video è interessante anche se rispecchia la brutta abitudine italiana di rispettare l’involucro esterno e stravolgere gli interni ma, si sa, amiamo farci prendere in giro dal falso antico, una brutta storia di normativa e codici accademici.
Passeggiando per Cassinetta di Lugagnano, oltre il piccolo nucleo in prossimità del Naviglio, non troviamo piazzette, angoli pubblici, parchi e passeggiate ma solo case recintate, un continuum di muri a protezione delle numerose abitazioni private.

Queste vie non hanno la conformazione della città occidentale, le case non dialogano con il tessuto connettivo strada, incrocio, piazza e parco. Inoltre le abitazioni/villette non hanno particolari qualità edilizie.

Più che un paese sembra un rifugio per metropolitani in fuga con la nostalgia dell’aria pura della campagna.

Perché?


Cassinetta di Lugagnano è un comune piccolo. La Piazza del Teatro, la Passeggiata dell'Amore con la Stanza dei Profumi, l'Imbarcadero, il Parco Comunale De Andrè, la Pro Loco, il nuovo sagrato della Chiesa, la nuova Piazza del Comune, la nuova Piazza 25 Aprile e la Piazza Falcone e Borsellino.
Sono tutti spazi pubblici realizzati negli ultimi 7 anni e pensati proprio per essere fruiti dalla cittadinanza e dai visitatori di Cassinetta di Lugagnano. Anche le corti di antica formazione e le cascine sono aperte e invitano all'ingresso. Le Ville del '700 che si affacciano sul Naviglio, ad eccezione del Palazzo Comunale, sono residenze private, e quindi di norma chiuse al pubblico. Però, grazie alla politica culturale e al coinvolgimento dei privati stessi ad opera dell'assessorato alla cultura, in un paio di occasioni all'anno, le ville sono visitabili e diventano la quinta scenica di rappresentazioni teatrali o concerti.
Quanto alle recinzioni e ai muri (per la verità pochi) delle villette, questi sono il risultato del modello di società che si è consolidato. Tutti tendono a chiudersi in se stessi. Ed è qui che sta la sfida più importante. Modificare, anche per mezzo della programmazione urbanistica, gli stili, le abitudini e gli stati d'animo che si rispecchiano anche nel modo di costruire i propri luoghi dell'abitare e del vivere. E fare in modo che il rifugio diventi piazza pubblica e culla di comunità. 

Quali sono le normative urbanistiche o edilizie che compromettono la qualità urbana o l’operato del sindaco e il suo programma elettorale?

La possibilità di applicare gli oneri di urbanizzazione alla parte corrente del bilancio comunale è sicuramente una delle cause del degrado e della cementificazione.
Ma credo che comunque, in ultima analisi, sia la volontà politica a segnare le buone o le cattive sorti di un territorio.

Il 26 settembre 2009 sei stato chiamato a fare un intervento all'Accademia dei Colloqui di Dobbiaco.
Riprendo un passo: «Cantieri che spuntano anche in posti impensabili, senza risparmiare parchi, zone protette e sottoposte a vincoli, di natura ambientale, paesaggistica o architettonica.
Anzi, solitamente, più le aree sono pregiate, più sono appetibili per il mercato: si pensi che in alcuni tratti della costa ligure si è incominciato a costruire nel mare!
Il dissesto idrogeologico è sempre più manifesto. Piangiamo tutti gli anni decine di sue vittime.
Ma poi, passata la bufera, ritorniamo ad idolatrare le gru o le suggestive grandi opere». [6]
È un suggerimento per i sindaci a prendersi cura di se stessi?

Una chiamata alla responsabilità. I sindaci e gli amministratori devono prendere maggiore consapevolezza circa il loro ruolo di responsabili del futuro. Non si tratta di sola urbanistica. È politica a tutto tondo. Perché progettare e gestire il territorio significa definire l'ambiente in cui vivranno i nostri figli. Vogliamo un futuro fatto di svincoli e centri commerciali? È li che vogliamo vivere? Oppure vogliamo imboccare una nuova strada, che porti al ripristino di un corretto equilibrio tra uomo, natura, arte e paesaggio?


Che cosa significano: sobrietà, fantasia e fiscalità?

Sobrietà è uno stile di vita, che può, anzi deve anche diventare uno stile politico. Che eviti lo spreco e che sia rispettoso del diritto di tutti ad avere una parte giusta di risorse a disposizione. La sobrietà del politico, poi, deve essere anche di esempio, e tracciare una via da seguire.

La fantasia è una delle caratteristiche che più mancano in politica. Ed è spesso sostituita dalla pigrizia. Non ci si sforza più di immaginare percorsi alternativi, uno sforzo che potrebbe e dovrebbe essere obbligatorio quando ci si trova a operare in situazioni di scarsità delle risorse.

La fiscalità è un terreno evitato ad arte dai politici. Perché ritenuto scivoloso, perché pericoloso per il mantenimento o il consolidamento del consenso. Ma chi svolge funzioni pubbliche deve, se vuole davvero rimettersi in sintonia con il significato originario della parola politica, misurarsi seriamente con il tema delle tasse. Oggi le tasse sono al centro del dibattito solo in quanto le parti in campo si misurano sulla ricetta migliore per abbassarle. La vera politica, invece, dovrebbe discutere di tasse misurando le diverse ricette su come restituire ai cittadini servizi e qualità della vita proporzionali al livello di tassazione imposto.

3 novembre 2009
(ultima modifica: 5 novembre 2009)


Intersezioni ---> CON GIUSTIZIA
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Note:
[1] Tabella elaborata attraverso i dati ISTAT e il 'DOSSIER SUL CONSUMO DEL SUOLO IN ITALIA' redatto dal Prof. Bernardino Romano (docente di analisi e valutazione ambientale e pianificazione territoriale presso la Facoltà di Ingegneria Ambiente e Territorio e Scienze Ambientali all'Aquila) e il WWF nel 2009. Qui
[2] CENSIS, Rapporto annuale 2003, La valorizzazione del patrimonio di edilizia storica, 5 Dicembre 2003. Qui
[3] Stefano Latini, Giù il velo dai tetti di oltre 1 milione di case italiane, 12 febbraio 2008. Articolo originario prelevato dal sito dell'agenzia dell'entrate ora leggibile. Qui.
[4] Rai tre, Report, Il male comune, puntata del 31 maggio 2009. Qui
[5]
Cristiano de Majo e Fabio Viola, Italia 2 - Viaggio nel paese che abbiamo inventato, Minimum fax, 2008, p. 267. Qui un'intervista di Wilfing Architettura.
[6] Domenico Finiguerra, Terra un bene comune da preservare. Scaricabile qui