6 febbraio 2010

0037 [SPECULAZIONE] Viaggio nel paese che abbiamo inventato

di Salvatore D'Agostino
«Camminare è un soggetto che porta sempre a divagare». (Rebecca Solnit) [1]
   Credo che questa frase potrebbe essere l’epigrafe del libro di Cristiano De Majo e Fabio Viola ‘Italia 2 - Viaggio nel paese che abbiamo inventato’ [2] . Contraddicendo il sottotitolo questo libro non è un racconto di viaggio ma una narrazione ad alta voce sui luoghi comuni dell’immaginario collettivo. Ai due scrittori non interessa descrivere ciò che vedono ma semplicemente divagano, il loro racconto è un accumulo di sensazioni e idee, dove lo sfondo spesso mediaticamente ‘perfetto’ si decompone. L'Italia che tutti pensiamo di aver visto e di conoscere sembra non esistere.

   De Majo e Viola si disinteressano delle descrizioni antropologiche e soprattutto non danno istruzioni per l'uso, scelgono dei luoghi, li raggiungono, camminano e divagano.
Il luogo così osservato perde la didascalia e diventa sedimentazione narrativa.

Salvatore D’Agostino Italia 2, più che un racconto di viaggio è un’iniziazione per diventare ‘abitante’ italiano, alla fine del vostro peregrinare Cristiano De Majo ritornerà nella sua Napoli perché, come afferma nel libro, ha capito che da lì occorre ricominciare e Fabio Viola andrà via dall’Italia, a Osaka in Giappone
, sostenendo: se l’Italia è diventata un’immagine stereotipata dai luoghi comuni meglio vivere dove la finzione non è subdola retorica ma stile di vita. Ancora valido il vostro epilogo? 

Cristiano De Majo Sì, è ancora valido. Siamo rimasti intrappolati nella fine del nostro libro, io a Napoli e Fabio in Giappone. Il discorso su autentico e inautentico e su vero e falso continua a essere un'ossessione per me. Sto battendo altre piste rispetto a quelle di Italia 2, ma in qualche modo continuo a occuparmene.

Fabio Viola Io ho smesso di pormi certe domande perché ho l'impressione che sia uno sforzo inane. Preferisco non contrapporre le due cose - autenticità contro inautenticità - ma vedere come si abbracciano e interagiscono, come siano l'una un miraggio dovuto all'altra.
C'è da dire comunque che l'Italia, adesso, non è che abbia molte attrattive, nemmeno fingendosi turista - e non sto fingendo di essere cinico. È per questo che ancora non ci torno: mi fa paura, mentre il Giappone mi tranquillizza (anestetizza).

Italia 2 è il resoconto a quattro mani di un viaggio, fatto tra l'ottobre 2006 e il febbraio del 2007, dove si osserva l'Italia: vista attraverso i media: la casa del Mulino Bianco e la villetta di Cogne; dei luoghi religiosi: la federazione del Damanhur e la chiesa di Padre a Pio; della memoria: la Risiera di San Sabba e Predappio; del turismo: Venezia, Roma e Matera. Dopo la lettura si ha la sensazione che avete attraversato una nazione dove gli abitanti sono in transito. Nessuno sembra abitare un luogo ma l'immagine di essa. «Ci basta poco per capire che le foto che stiamo facendo, tutte foto molto ispirate peraltro, sono foto di turisti che fanno foto».[3]
Dove abita l’italiano?

Foto di Fabio Viola
CDM Il nostro è un viaggio anche dentro certi simboli, quindi non può essere considerato una mappa dell'abitare in senso stretto. I luoghi che abbiamo scelto offrivano, a nostro avviso, una rappresentazione o una proiezione del Paese, specie per quanto riguarda alcuni aspetti. D'altra parte il primo capitolo che tu hai citato si occupa esattamente di case, o della casa italiana per eccellenza: il Mulino Bianco e il suo rovescio oscuro: la villetta di Cogne. Dunque, rispondendo alla domanda, su un piano più reale l'italiano abita in maggioranza in palazzi affogati in altri palazzi nei quartieri dormitorio delle grandi città, in un territorio che da un lato è distrutto dall'abusivismo, e dall'altro è bloccato da uno stupido ossequio nei confronti della storia, ragione per cui basta qualche pietra vecchia di duemila anni per impedire le naturali trasformazioni di una città, che dovrebbe sempre tendere a rispecchiare il tempo in cui si vive, cosa che in Italia non succede, o almeno non da un punto di vista architettonico. Dall'altro su piano simbolico, io e Fabio abbiamo immaginato che l'italiano abitasse ancora in queste casa ideale, che sembra il disegno di un bambino delle elementari: il tetto a punta, il comignolo, il focolare, ma ovviamente è insieme perfezione e orrore.

FV L'italiano non abita ma occupa. E lo fa in uno spazio maltrattato che a mio avviso andrebbe espropriato. Ciò che l'Italia è adesso è il frutto di anni di sciatteria, e se da un lato si assiste a un'esplosione di metastasi (tessuto sociale in frantumi, classe politica marcia e volgare, violenza verso il territorio, disinteresse per tutto e alienazione - tutte cose di cui si parla da tanto ma che di anno in anno sembrano sempre più in esaltazione), dall'altro mi sembra che queste metastasi vengano nascoste da una prominenza della finta vocazione turistica del Paese. Attraverso il turismo, banalmente, si mette in atto una sceneggiata, e si vende un'Italia che gli italiani non vedono o in cui non credono (più).
Nel libro non parliamo solo di questo, ma penso che il capitolo su Roma, Venezia e Matera racconti chiaramente questa Italia tumefatta.

Roberto Saviano compie un viaggio nella sua Napoli, per dopo finire esiliato, ciò che vede è socialmente scomodo, non poteva immaginare che l’ultima frase del suo libro «Maledetti bastardi, sono ancora vivo!»[4] sarebbe diventato il suo grido mattutino.
Walter Siti per qualche anno si trasferisce in una borgata romana, vive senza pregiudizi, il suo nuovo stato di abitante ne uscirà cambiato o meglio contagiato:

«L’appassionata analisi di Pasolini, vecchia di oltre trent’anni, andrebbe rovesciata: non sono le borgate che stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta “imborgatando”. Al di là dell’esperienza biografica di pochi individui sbrancati, o dell’arroganza esibizionista di qualche ricco che gioca al sottoproletario (“se hai soldi, una bella macchina e un po’ di cocaina, puoi scopare chiunque” è un motto del carcere ammirato e condiviso da Fabrizio Corona) – al di là dei casi singoli, vige un’effettiva solidarietà strutturale: nel continuum indifferenziato di chi il mondo non sa più vederlo intero, è l’ideologia di quelli che una volta si chiamavano gli esclusi (i lumpen, i sub-culturali) a risultare egemone».[5]
Gianni Biondillo, nato e vissuto a Milano nel quartiere Quarto Oggiaro, è ossessionato dalla semplificazione giornalistica e dai film girati nel suo quartiere che accomunano spesso Quarto Oggiaro a Scampia:
«Quarto Oggiaro, così come tutte le altre periferie meneghine, è dove vive il popolo che ha partecipato ad un sogno di emancipazione collettiva costruendo la ricchezza di una Milano che ora, irriconoscente, non salda il conto. Non so per quanto ancora, però, gli elegantissimi morti viventi che popolano la cerchia dei Navigli potranno dare le spalle alla sua cintura periferica. Quarto Oggiaro esiste anche nel resto dell’anno, e se non troviamo una politica insediativa e culturale degna di una città civile, se non avremo una politica che esca dai salotti buoni abituati, insomma, la catastrofe sarà imminente. Noi siamo abituati all’emergenza, ma, mi chiedo, e voi?»[6]
Più che racconti sono urla di dolore che provengono dal cuore di Napoli, Roma e Milano. Urla che l’italiano sembra non ascoltare.
A che serve scrivere?

FV Scrivere non serve a niente, o serve a pochissimo, e in particolare scrivere della società, criticarla, ribellarsi, eccetera. Scrivere fiction può servire al singolo, ma il mondo si muove in massa in direzioni prevedibili e un libro non cambia nulla. I libri più rivoluzionari sono stati inutili o talvolta dannosi. I movimenti e le correnti ispirate o mosse da un libro, una canzone, un'idea sono finiti nel nulla. Penso ai pacifisti degli anni Sessanta. Ai comunisti. Addirittura agli acquariani de "La Profezia di Celestino", che quando uscì sembrava dover cambiare il mondo tanto grande fu il successo.
Insomma scrivere fa sentire meglio o peggio il singolo, e i cambiamenti che mette in moto la scrittura sono marginali quanto è marginale un essere umano. Se il singolo essere umano è tutto ciò che conta, allora scrivere serve a qualcosa. Altrimenti è un esercizio di idealismo.
Per quanto riguarda il nostro libro, be', per me è una questione estetica più che politica o sociale. L'estetica del vuoto mi affascina, l'aderenza a un ruolo o una maschera di una persona o di un luogo sono questioni più rilevanti per me dello sforzo di criticare la società o cambiarla con la parola scritta. Se sono cinico è perché vivo in Giappone da tre anni e l'Italia si sta sgretolando con più impegno del solito.

CDM Sono anch'io convinto dell'inutilità pratica della scrittura come di qualsiasi altro prodotto culturale. E nutro un profondo sospetto nei confronti di tutti quelli che pensano, scrivendo, di cambiare il mondo. I libri che hanno modificato il corso delle cose - per esempio la Bibbia o il Capitale - sono quasi sempre testi a carattere sapienziale o messianico o politico e non hanno molto a che fare con l'idea della scrittura e dello scrittore che si è affermata dalla modernità in poi. Vedo piuttosto gli scrittori come delle antenne che dovrebbero avere una maggiore o più profonda capacità di percepire le cose, di penetrarle, oppure come dei costruttori di modelli che rappresentano il modo in cui l'uomo attraversa quest'esperienza che chiamiamo vita. E non mi sembra poco. Non credo affatto che la mia missione sia quella di migliorare qualcosa o qualcuno. Credo sia invece di raccontare quello che vedo, quello che mi fa pensare, quello che mi fa commuovere.

Il vostro libro si presenta come un viaggio ma non lo è. Manca il percorso, quell’andare da A a B che lo caratterizza, il vostro è un procedere per punti. L’evidente parafrasi sottintesa nel titolo ‘Italia 2[7] è il perno del vostro interesse, pianificate tappe legate più all’immaginazione mediatica, alla fede, alla memoria che ai luoghi.
La vostra premeditazione si evidenzia nella meticolosa preparazione, spesso coadiuvata da letture portate nel vostro bagaglio a mano.
A mio avviso, occorrerebbe leggerlo sfrondando il testo dalla metaprogettazione del viaggio, poiché le parti interessanti e credo coraggiose sono i vostri dialoghi o appunti visivi. Ciò che osservate non corrisponde a ciò che avevate immaginato. Vi accorgete che non è più possibile raccontare l’Italia con il tono romantico dei viaggiatori del passato che definivano attraverso il linguaggio e in modo perentorio i luoghi. Poiché, come spesso scrivete, ci sono cose che non si possono spiegare.
Alla fine il vostro peregrinare appare catartico, vi liberate dall’idea dominante della nostra epoca mediatica: la semplificazione.

CDM Tutto molto giusto, soprattutto l'ultima cosa che dici sulla semplificazione. Alcuni dei luoghi che abbiamo visitato si sono proprio ammalati di quella che potremmo chiamare una sindrome da semplificazione. Oltretutto la semplificazione è in un certo senso la clava del turista, e anche quando tutti noi cerchiamo coscienziosamente di problematizzare la nostra presenza in un luogo estraneo, finiamo per semplificare seguendo schemi un po' manichei e autoconsolatori (turista cattivo vs. turista responsabile). La nostra battaglia contro la semplificazione abbiamo cercato di combatterla con una scrittura problematica fino al paradosso, una scrittura di sole domande senza risposte in un paese dove l'abitudine consolidata è dare risposte senza che sia stata formulata prima una domanda. Come dicevi tu, ci sono cose che non si possono spiegare, ma questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare a raccontarle.

FV Non direi che ciò che abbiamo osservato e ciò che immaginavamo prima di partire siano due cose così distanti. La scelta che abbiamo fatto al momento della progettazione del libro è stata una scelta ponderata. Sapevamo che i luoghi sarebbero stati funzionali al nostro discorso. In questo anche noi, come i viaggiatori del Settecento, partivamo in cerca di qualcosa, di conferme visive a immagini astratte, nella speranza che la "realtà" rendesse stabile la nostra ideologia. Inconsciamente però, io credo, Cristiano e io siamo voluti passare dalla cartolina alla diapositiva. Una diapositiva però vista al buio, senza luce o proiettore, e quindi vagamente tridimensionale.
Infine, alla luce di ciò che ha scritto Cristiano poco fa, è interessante notare come queste nostre ultime siano state proprio risposte a una non domanda. All'italiana, per così dire.
 

6 febbraio 2010
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Note:
[1] Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano, 2002, p. 9
[2] Cristiano De Majo e Fabio Viola ‘Italia 2 - Viaggio nel paese che abbiamo inventato’, Minimum fax, Roma, 2008
[3] Cristiano De Majo e Fabio Viola, op. cit., p. 253
[4] Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano, 2006, p. 331
[5] Walter Siti, Il contagio, Mondadori, Milano, 2008, p. 313
[6] Gianni Biondillo, Metropoli per principianti, Guanda, Parma, 2008, p.153
[7] Italia 2 allude alla Milano 2 costruita negli anni ottanta da Silvio Berlusconi

2 commenti:

  1. 1° di facebook

    Copio e incollo i commenti di facebook, una piattaforma complementare al blog che facilità l’interazione con gli utenti ribaltando la logica del classico blog. Facebook a differenza dei blog - strutturalmente accessibile a tutti- è ristretto ad alcuni 'amici' (sarebbe opportuno chiamarli contatti) selezionabili dall’utente attraverso specifiche del programma.



    Lucia Lampredi
    l'italiano non abita ma occupa - generico ma tremendamente efficace - ricordo il racconto dei risultati di una ricerca su come l'italiano arreda la sua casa - una cosa anonima nella media, da transito, appunto, ma un transito non lieve... una disattenzione verso se stesso piuttosto

    Salvatore D'Agostino Lucia,
    spunto interessante.
    Io conservo delle cartelle dei miei clienti (e non solo) con la descrizione della propria casa, appunti veloci ed essenziali.
    Io non credo che siano disattenti o in ‘transito’ ma genuinamente esprimono la propria cultura.
    Ovvio che il nostro immaginario sia più ricco dei clienti ma credo che sia anche impossibile desiderare di trovare il ‘cliente’ di gusto o perfetto (roba da fotografie d’autore).
    Credo che l’uomo disattento e in transito sia frutto della cultura edilizia ‘dominante’ in Italia cioè la cultura di ‘Pietro Caisotti’ ovvero l’imprenditore rozzo e ignorante (che si è fatto da sé) che ha accumulato fortune costruendo case per mq ed esteticamente ‘disattente o in transito’ personaggio descritto nel 1957 da Italo Calvino nel suo ‘La speculazione edilizia’.
    Non vi è dubbio che l’osservazione vada ampliata, forse occorrerebbe denunciare gli accademici e l’elite dell’architettura che hanno osservato ‘snobisticamente’ questo declino architettonico.
    Una decadenza che va intesa considerando esclusivamente la cultura degli architetti da non confondere con la cultura della gente, la quale ha contratto mutui trentennali per quella casa che ai loro occhi appare semplicemente bella.
    L’Italia di oggi mi ricorda il bambino che cammina sulle macerie postbelliche nel film Germania Anno zero.
    Noi camminiamo su un’apoteosi di cemento disattento e in transito.
    Vorrei offrirti un’immagine visiva parafando l’ultima istallazione dell’artista Christian Boltanski l al Grand Palais di Parigi, dove la gente cammina attraversando lotti di cumuli di stracci, ecco, noi giornalmente camminiamo percorrendo lotti di cumuli di cemento, occorrerebbe iniziare a dire: “tutto questo è successo” adesso dobbiamo continuare a costruire seguendo l’identità architettonica italiana degli ultimi cinquant’anni?

    Link video: http://vodpod.com/watch/2861726-christian-boltanski-at-grand-palais-paris-1
    Link: http://www.arteconomy24.ilsole24ore.com/news/2010/01/21/45_A_PRN.php

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. 2° di facebook

    Fabio Viola
    ma è davvero solo un problema italiano? questo dell'occupazione dello spazio. della decadenza dello spazio.

    Lucia Lampredi
    inciampare nel generico e nel luogo comune avete ragione è la cosa più facile.
    La decadenza dello spazio un problema italiano? no, ma vedo paesi con un po' più di ritegno o con territori meno fragili o forse solo con una densità inferiore di bellezza a far da contrasto doloroso al centrocommerciale
    salvatore, sono daccordo, non volevo giudicare il detentore di mq con mutuo trentennale - che mi devo mettere nel mucchio anch'io - e che siamo finiti tutti dentro al paesaggio inventato chi ai piani alti chi nello scantinato

    Salvatore D'Agostino
    ---> Fabio,
    assolutamente, resto sempre affascinato dalle foto di architettura in contesti urbani giapponesi. Un dedalo di cemento, legno, vetro, fili della luce, insegne, tubi denso forse troppo denso.

    Salvatore D'Agostino
    ---> Lucia,
    bisogna ripartire, come dici, da dove abitiamo : «siamo finiti tutti dentro al paesaggio inventato chi ai piani alti chi nello scantinato».
    Giacomo Butte, in un recente colloquio su WA, descrive il luogo dove lavora con una semplice scansione piano dopo piano attraverso videoriprese (puoi trovare l’intervista qui ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/01/0008-fuga-di-cervelli-colloquio-italia.html ).
    Mi piacerebbe mappare il nostro territorio con una semplice scansione video per abbandonare l’Italia ‘mediatica’ e iniziare a parlare dei nostri luoghi più prossimi.
    In questo libro, in tal senso, Cristiano e Fabio ci offrono degli spunti interessanti.

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