15 novembre 2010

0001 [POINTS DE VUE] Collettivo TerraProject | Profondità di campo

di Salvatore D'Agostino 
«”Sporco” è una parola che si può usare in tanti posti del Sud, ma più che sporco è ingombro di cose buttate che nessuno rimuove più. Si potrebbe dire che è archeologico, ma l’effetto spesso è solo sporco e non aiuta.» (Marco Paolini)1 
Dal 1994 la Campania ha avuto un commissario straordinario per lo smaltimento dei rifiuti, attività cessata il 17 dicembre 2009, dopo la fine dello ‘stato d’emergenza’2.
 
Nel 2008 Michele Borzoni, Simone Donati e Pietro Paolini - del collettivo TerraProject  - fecero un viaggio da Pianura ad Acerra, passando per Giugliano, Aversa, Caivano e altre località. Ricordano l’odore acido dei rifiuti bruciati che gli si attaccava alla pelle. Chiamarono i loro ‘punti di vista’: La terra dei fumi. 
Ripresento - con qualche inedito - il lavoro di ‘profondità di campo’3 del collettivo fiorentino.

Un paesaggio che a due anni dal loro reportage, appare come immutabile archeologia.
Deprivato di ‘profondità di campo’ della semplificazione mediatica e politica.









15 novembre 2010
Intersezioni ---> POINTS DE VUE

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Note:
1 Marco Paolini, I cani del gas, Einaudi, Torino, 2000, p. 5.
2 Per una mappa ragionata del problema rifiuti in Campania visita il sito Munnezza
3 Tecnicamente, per ottenere delle fotografie nitide in tutti i suoi punti, bisogna chiudere il diaframma. Questa operazione è chiamata ‘profondità di campo’.

15 commenti:

  1. mi piaciono molto queste immagini ma mi chiedo come mai hai selezionato quelle in cui non compaiono persone.
    Eppure la loro presenza è quanto mai importante. E poi le foto sono talmente belle che, non pensi, si corra il rischio di un'estetizzazione della monnezza che possa arrivare a un'anestetizzazione delle coscienze?

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  2. rem, probabilmente non ci sono persone, anzi è così. O sono scappate, o non escono di casa, o la munnezza è fuori città (ma da queste parti "fuori città" è un termine quasi generico), oppure contribuiscono, se non volutamente, almeno contiguamente ad alimentare il mercato nero (nel senso di sporco, appunto), oppure semplicemente sono altrove. Nelle immagini ci sono i margini dei centri abitati, ma all'interno il discorso non cambia.
    Sulla nostra facoltà, il monastero di San Lorenzo ad Septimum, una volta al settimo miglio della Via Campana Capua-Puteoli, volano golosi gabbiani pronti come Stuka a buttarsi sui cumuli di spazzatura che, anche se meno di Napoli, crescono in maniera preoccupante. L'"emergenza rifiuti" non è mai finita, checché ne dicano i fini dicitori ambidestri.

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  3. segnalo
    http://www.rete5.tv/index.php?option=com_content&task=view&id=9849&Itemid=109

    l'arte del riciclo ovvero il recupero dello scarto, in senso letterale

    ciao
    Vilma

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  4. Robert (Lds) e Francesco (Spirito libro),
    condivido BELLE e l’EMERGENZA RIFIUTI NON E’ MAI FINITA.
    In queste foto il primo piano diventa paesaggio.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. Prima parte:

    Rem (Gianni) e Vilma,
    points de Vue è un tentativo di leggere la fotografia come ‘narrazione’.
    Rem, perdona le citazioni che farò, ma non servono per darmi un tono di buon lettore, ma semplicemente per dialogare con persone che hanno già detto delle cose importanti.
    In poche parole, sono degli amici con cui pranziamo - attraverso i loro libri - senza chiedere il permesso.
    Allora dicevo.
    Points De Vue è un omaggio all’autonomia narrativa della fotografia.
    Nicéphore Niépce con la sua prima foto in un sol colpo (scatto) fa fuori tutta l’arte dei pittori ‘del realismo accademico’. Quelli, per capirci, della resa impeccabile di ciò che si vede.
    Dopo i primi anni di baldorie ‘accademiche’: del tipo la fotografia non è arte (note le invettive di Zola, Baudelaire…).

    [Inciso: pensa alle recenti dichiarazioni dei nostri accademici architetti sul non disegno architettonico CAD o sulla non fotografia SUPPORTO DIGITALE].

    Dopo qualche decennio l’arte pittorica abbandonò la rappresentazione analogica per impossessarsi degli aspetti laterali (inconsci) della percezione di un’immagine.
    L’arte diventa relazionale (Nicolas Bourriaud) ovvero ha bisogno di un’elaborazione spesso anche democratica) dell’osservatore.
    Kandinsky indica con un blu una porzione di cielo, spetta all’osservatore completare l’immagine, anche cambiando il colore di base.
    L’arte non è più iconica (osservazione passiva) il volto di Gesù è sacro, ma relazionale (osservazione attiva) questa non è una pipa?
    L’arte è doppia (semplifico ma ovviamente tutto è più ampio) ma non nel senso di doppiezza: falsità, inganno.
    L’arte ha un senso apparente ‘ciò che si vede’ e un senso latente ‘la narrazione o la soluzione dell’enigma’.

    L’arte è un indovinello (ripeto sto semplificando dei concetti molto complessi) ecco un esempio:

    Autore: Pindaro (dietro i nickname della settimana enigmistica ci sono degli uomini eccezionali)
    Titolo: Un cotoniere imbrogliato

    Dopo avere guardato ben la macchina:
    «Per tessere, egli disse, va benone!»
    Ma poi dové concluder, vista l’opera:
    «Me l’hanno fatta: questa è l’impressione!»

    Per risolvere un indovinello va trascurato il titolo, non solo, bisogna dimenticarsi il senso (la narrazione) apparente.
    Per dare la soluzione (o il significato) occorre smontare la frase e rimontarla.

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  6. Seconda parte:

    Ecco! Vilma (grazie) ha anticipato questo lungo (e forse fuori luogo) commento.

    Per capire ciò che dico, osserviamo la prima immagine del Collettivo TerraProject e facciamo qualche passo indietro, esattamente ritorniamo al 1967.
    Prendiamo in esame l’opera di Michelangelo Pistoletto ‘La venere degli stracci’.
    Link: http://www.scultura-italiana.com/Approfondimenti/Foto/Pistoletto%20%20-%20Venere%20degli%20stracci%20(1967).jpg
    Il mondo classico (Venere) è posto di fronte a un cumulo di stracci (la contemporaneità).
    Che sia chiaro Pistoletto in questa sua opera non si lagna (Massimo Melotti): «E’ il passaggio, in chiave simbolica, dell’arte che ormai presa coscienza di sé e del suo ruolo si confronta con il divenire del mondo».
    L’immagine del collettivo TerraProject sembra ribaltare questa visione, l’archeologia del presente (epigrafe di Marco Paolini) si confronta con il mondo classico iconico del passato ovvero il Vesuvio.
    Nessuna estetizzazione o edulcorazione la cartolina classica del Vesuvio non è intaccata solo aggiornata senza infingimenti o elaborazione mediatica.
    Intorno il Vesuvio in cinquantacinque anni si è sedimentata una popolazione di 250.000 abitanti, pronti a vedere i fuochi d’artificio del suo vulcano.

    POINTS DE VUE si pone le stesse domande di Susan Sontag -- http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/11/points-de-vue.html
    La fotografia è un ‘punto di vista’, una narrazione, non una verità.
    Le migliori ci aiutano a dubitare e non hanno nessuna pretesa di risolvere i problemi
    Quest’ultimi, come dicevo, hanno bisogno di una diversa profondità di campo.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  7. Bellissime le foto.
    Visto che citi la Sontag allora ti rispondo con una citazione della Solnit (da "A filed guide to getting lost"):
    "Cos’è una rovina, dopo tutto? E’ una costruzione umana abbandonata alla natura, e una delle caratteristiche delle rovine in città è il loro aspetto selvaggio: sono luoghi pieni di promesse e di incognite, con tutte le loro epifanie e i loro pericoli. Le città sono costruite da uomini (e in misura minore da donne) ma decadono per natura, per terremoti e uragani, in un processo di disgregazione, erosione, ruggine, di attacco dei microbi al cemento, alla pietra, al legno e al mattone [...]. Le rovine diventano l’inconscio di una città, la sua memoria, lo sconosciuto, il buio, la terra desolata. Con le rovine la città si libera dai suoi piani per passare verso uno stato intricato come la vita, qualcosa che può essere esplorato, ma forse non reso in una mappa […]."
    E dopo questa citazione così incredibilmente soave (per fortuna che esistono donne come loro, perchè se dovessimo ancora dibattere dei punti di vista dell'urbanistica fatta da Krier, come ti dicevo al telefono ieri, dovremmo deprimerci tutto il giorno) non cosa altro aggiungere.
    A presto

    Matteo

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  8. Matteo:
    Le Temps en ruines, Marc Augé, 2003
    A filed guide to getting lost, Rebecca Solnit, 2006
    Chi ha ‘copiato’ chi?
    E Piranesi, Goethe, il Romanticismo, il Decadentismo ce li vogliamo dimenticare?

    La monnezza e le rovine ….. bè, non c’è una grande differenza, entrambe sono ‘ciò che resta’ ….. di una città, di un edificio, di una vita, abitudini, consumi, pranzi in famiglia, vestiti demodé, piatti rotti e lavatrici fuori uso, detriti, macerie, scarti, crolli …..
    Quelle proposte sono foto di ‘rovine’, dov’è la peculiarità? Nella deperibilità del soggetto, perché queste rovine puzzano, marciscono, si degradano e disturbano? Ma è poi vero? O è vero solo perché lo so già, che puzzano, marciscono ecc.?
    Le foto forniscono solo un’informazione visiva, il resto ce lo mette chi guarda, la foto sterilizza la scena e la propone deprivata di suono, odore, sensazione tattile, emozione, “L'intensità dell'immagine é la misura della negazione della realtà, e dell'invenzione di un'altra scena.Trasformare un oggetto in immagine vuol dire sottrarre, una ad una, tutte le sue dimensioni: il peso, il rilievo, il profumo, la profondità, il tempo, la continuità, il senso….”(Jean Baudrillard)
    Già, il senso.
    E qual è il ‘punto di vista’? Quello del narratore o quello dell’ascoltatore del racconto? Il crudo reportage nella terra dei fumi fissa la scena ambientale/esistenziale di un paesaggio dove anche le mutazioni organolettiche del rifiuto diventano una sorta di archeologia del degrado, in un’osservazione (che diventa racconto) apparentemente asettica e non so fino a che punto intenzionalmente provocatoria.
    Io, abituata ad una lettura segnica delle immagini, ci vedo una (involontaria?) ricerca estetica, il cumulo dei rifiuti che mima la sagoma del Vesuvio (“Nessuna estetizzazione”?), la colata di rifiuti che conclude graficamente il taglio di luce, precisi richiami cromatici tra lo sfondo e l’insieme dei sacchetti di raccolta ….. Basta essere in due, e già il racconto si sfaccetta in una serie di rimandi nei quali l’intenzione di chi ha scattato si perde progressivamente per lasciar posto alle mille interpretazioni di chi guarda dal proprio ‘punto di vista’.
    Nessuna foto è “senza infingimenti o elaborazione mediatica”, se è un ‘punto di vista’, e come tale inevitabilmente inquinato dalla personale soggettività, ogni fotografia è una creazione del fotografo, mediata dalla propria memoria, dal proprio vissuto e dalla propria esperienza, ricreata secondo gli stessi parametri, ma non secondo la stessa memoria, da ogni osservatore.
    Vanno ricordate a questo punto le ricerche e le sperimentazioni di Franco Vaccari.
    Il guaio è, come dice Duane Michals, che "La gente crede nella realtà della fotografia ma non a quella della pittura; il chè dà un enorme vantaggio ai fotografi. Sfortunatamente, però, anche i fotografi credono nella realtà della 
fotografia."

    saluti
    Vilma

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  9. Matteo:
    Le Temps en ruines, Marc Augé, 2003
    A filed guide to getting lost, Rebecca Solnit, 2006
    Chi ha ‘copiato’ chi?
    E Piranesi, Goethe, il Romanticismo, il Decadentismo ce li vogliamo dimenticare?

    Vilma

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  10. >>>>>>
    Io, abituata ad una lettura segnica delle immagini, ci vedo una (involontaria?) ricerca estetica, il cumulo dei rifiuti che mima la sagoma del Vesuvio (“Nessuna estetizzazione”?), la colata di rifiuti che conclude graficamente il taglio di luce, precisi richiami cromatici tra lo sfondo e l’insieme dei sacchetti di raccolta. Basta essere in due, e già il racconto si sfaccetta in una serie di rimandi nei quali l’intenzione di chi ha scattato si perde progressivamente per lasciar posto alle mille interpretazioni di chi guarda dal proprio ‘punto di vista’.
    Nessuna foto è “senza infingimenti o elaborazione mediatica”, se è un ‘punto di vista’, e come tale inevitabilmente inquinato dalla personale soggettività, ogni fotografia è una creazione del fotografo, mediata dalla propria memoria, dal proprio vissuto e dalla propria esperienza, ricreata secondo gli stessi parametri, ma non secondo la stessa memoria, da ogni osservatore.
    Il guaio è, come dice Duane Michals, che "La gente crede nella realtà della fotografia ma non a quella della pittura; il chè dà un enorme vantaggio ai fotografi. Sfortunatamente, però, anche i fotografi credono nella realtà della
    fotografia."

    saluti

    Vilma

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  11. scusa Salvatore, il pasticcio nel commento è dovuto al fatto che l'ho inviato più volte e in più versioni perché non veniva accettato causa lunghezza del testo.

    Vilma

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  12. ---> Vilma,
    non ti preoccupare la sezione commenti di blogspot è una trappola.
    Spero che ci sia tutto.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  13. Matteo,
    la rovina in questo paesaggio, attraversato dai TerraProject, va interpretata nel suo doppio significato:
    Rovina---> resti di una memoria del passato;
    Rovina ---> ciò che svilisce il presente.

    Come dicevo nel post qui manca la ‘profondità di campo’ politico-sociale per superare questa ‘stasi’ ad uso e consumo dei media.
    Qualche giorno fa, per il caso ‘Pompei’ (altre rovine nei due sensi), Philippe Daverio (semplificatore mediatico) da Santoro, sollecitava al ministro Bondi una soluzione militare attraverso i caschi blu (forza militare di pace internazionale).
    Credimi al Sud non abbiamo bisogno di forze armate.
    Da anni quest’ultimi presidiano solo alcuni ‘brani’ di paesaggio tralasciando tutto il resto.
    Abbiamo bisogno di un’azione di ampio respiro, interna non esterna. Abbiamo bisogno di ‘profondità di campo’.
    Krier è come Bertolaso. Un eroe mediatico solutore di tutti i mali.
    Una sorta di LC in stile ‘pasticcio antico’.
    Due aspetti fondamentali del fallimento ‘ideologico’ del moderno:
    1. La pianificazione del futuro (procedimento scientifico e non euristico). In urbanistica il futuro andrebbe revisionato ogni anno.
    2. L’imposizione di uno stile architettonico (ogni cittadino ha il diritto d’espressione o se vuoi di stratificare la sua storia).
    Le più belle piazze italiane sono nate dalla libertà d’espressione dei cittadini.
    Nella tua Bologna Garisenda e Asinelli hanno dato vita ad uno spazio (ancora oggi unico e straordinario) semplicemente perché giocavano - attraverso la costruzione di una torre - a chi grattava il cielo meglio dell’altro.
    Le città italiane (ancora oggi) sono frutto di agone sociale e politico.
    La decadenza della sua qualità è una storia molto complessa che non andrebbe semplificata dai ciarlatani dell’architettura.
    Per capirci facciamo un esempio pratico:
    Qui il link di un quartiere di Palermo:
    http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=palermo+zen&sll=41.442726,12.392578&sspn=16.129464,39.506836&ie=UTF8&hq=zen&hnear=Palermo,+Sicilia&ll=38.179501,13.317385&spn=0.00098,0.003433&t=h&z=19
    Qui il link di un quartiere di Bologna:
    http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=bologna&sll=41.442726,12.392578&sspn=16.129464,39.506836&ie=UTF8&hq=&hnear=Bologna,+Emilia+Romagna&ll=44.480172,11.389024&spn=0.003782,0.013733&t=h&z=17
    Scopri le differenze abitative.
    E dopo rispondi a questa domanda: può uno stile architettonico ‘tout court’ migliorare la cultura ‘abitativa’ di una città (o paese)?
    L’architettura e soprattutto l’urbanistica, non possono essere trasposte seguendo il buon manuale delle scuole accademiche.
    Conoscere la città, significa saperle percorrerli fuori dai nostri schemi ‘da solutori finali’ come c’insegna Rebecca Solnit.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  14. Vilma,
    nessuno copia in questo caso.
    Personalmente apprezzo di più la sensibilità di Rebecca Solnit, le sue idee sono mediate da scenari reali e non hanno la pretesa di fare sociologia mondiale.
    Marc Augé (anche se il testo che citi - tra i suoi scritti - è quello più interessante) scrive al mondo utilizzando un linguaggio senza sfumature ‘locali’ ma efficace ‘mediaticamente’.
    In qualche modo inventa nuovi ‘luoghi comuni’ ad uso e consumo del mondo.
    Ma basta percorre questi luoghi per capire l’inutilità delle sue tesi.
    Invece, sono in sintonia con la tua analisi.
    Perfetti i rimandi a Baudrillard (i suoi scritti sulla fotografia sono delle perle), Duane Michals (fotografo che non ho mai approfondito come si deve) e Franco Vaccari (a cui devo molto per alcune mie esperienze fotografiche).
    Come il tuo finale (tema cardine di questa rubrica): Nessuna foto è “senza infingimenti o elaborazione mediatica”, se è un ‘punto di vista’, e come tale inevitabilmente inquinato dalla personale soggettività, ogni fotografia è una creazione del fotografo, mediata dalla propria memoria, dal proprio vissuto e dalla propria esperienza, ricreata secondo gli stessi parametri, ma non secondo la stessa memoria, da ogni osservatore.
    Vanno ricordate a questo punto le ricerche e le sperimentazioni di Franco Vaccari.
    Il guaio è, come dice Duane Michals, che "La gente crede nella realtà della fotografia ma non a quella della pittura; il chè dà un enorme vantaggio ai fotografi. Sfortunatamente, però, anche i fotografi credono nella realtà della 
fotografia."
    Iniziamo da qui.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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