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26 maggio 2011

0013 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Giappone ---> Italia con Junko kirimoto

di Salvatore D'Agostino 
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.

C’eravamo lasciati con il racconto di un italiano in Giappone ripercorriamo lo stesso viaggio all'inverso: una giapponese nel cuore di Trastevere.

Salvatore D'Agostino Junko Kirimoto di anni..., originaria di..., migrante a ..., qual è il tuo mestiere? 

Junko kirimoto Sono nata a Yokohama quarantuno anni fa, ho vissuto i primi dodici anni a Tokyo, poi a Kobe; ho fatto 4 anni di università a kyoto. Subito dopo la laurea mi sono trasferita a Roma per collaborare con Massimiliano Fuksas. Sono architetto e designer.

Com'è nata la collaborazione con Massimiliano Fuksas? 

Al terzo anno di università lavoravo presso un architetto giapponese, Shin Takamatsu, molto di conosciuto all’epoca. Io stavo spesso nella sua biblioteca a leggere i suoi libri raccolti in tutto il mondo, è lì che ho trovato alcune monografie di Fuksas.
Takamatsu era un carissimo amico di Fuksas nonché il relatore della mia tesi di laurea. Ed è stato lui che ha scritto la lettera di raccomandazione a Massimiliano Fuksas per me.


Ricordo le architetture ‘post-brutaliste’ di Shin Takamatsu, pubblicate in Italia dalla rivista ARCA.
Leggendo le biografie degli architetti giapponesi, ritrovo sovente un forte connubio tra università e praticantato presso gli studi degli architetti.
Che cosa ti è rimasto della tua formazione universitaria e lavorativa? 


Detto francamente, io non amavo molto la sua architettura. Personalmente ho un altro tipo di approccio verso lo spazio. A me piaceva la sua personalità come maestro e tutt’ora sono rimasta in buoni rapporti con lui.
Mi piaceva come pensava l'architettura e la sua energia nel coinvolgere gli allievi.
Da studentessa, a differenza dei suoi collaboratori e di altri studenti, io mi comportavo come una persona normale, mi ponevo allo stesso livello. In Giappone c’è una separazione netta tra i maestri e gli allievi o studenti. Gli allievi trattano i loro maestri come se fossero Dei. Tra maestro e allievo sono difficili i dialoghi come tra persone normali. È un aspetto della cultura giapponese che non mi piace. Io riuscivo a comunicare con lui in maniera normale, come due adulti. Ovviamente c'era un enorme differenza di cultura tra me e lui. 


Che cosa hai imparato nel suo studio? 

Attitudine al lavoro e la passione per l’architettura. 

E dall'università? 

La facoltà che ho frequentato era un po' particolare. Nata un anno prima che mi iscrivessi come una facoltà di architettura sperimentale, era a numero chiuso 25 – 30 studenti.
Didatticamente non davano un gran peso alle materie di base come matematica, strutture o storia di architettura, ma puntavano tutto sulla progettazione. Infatti dal primo anno c’era la progettazione uno e chiamavano gli architetti noti come Toyo Ito, Riken Yamamoto o, appunto, Shin Takamatsu come relatori. Ospitavano anche gli architetti della AA school di Londra per conferenze o workshop.
In Giappone i professionisti possono diventare professori universitari, quando sono invitati, senza rinunciare alla libera professione. Per i professionisti insegnare all'università è un vero onore (ovviamente sono pagati anche bene).
Ritornando alla tua domanda,
grazie a questo sistema sperimentale ho imparato ad esprimere la mia idea sin dal primo anno. 

Mi piacerebbe leggere la lettera di raccomandazione di Shin Takamatsu. Perché hai scelto di lavorare per Massimiliano Fuksas? 

Perché ha uno stile che non esiste in Giappone, lui progetta l’architettura con istinto, come un pittore.
Come ti dicevo avevo letto dei libri su Massimiliano Fuksas e mi sono fatta affascinare dall'idea di lavorare per lui. Sapevo dell'amicizia con Shin Takamatsu e gli ho chiesto la sua intermediazione.
Nel giro di qualche mese mi sono trovata a Roma a lavorare nel suo studio.
Una realtà lavorativa totalmente diversa.

In che senso?

Non so come dire, ecco, mancava quel rapporto diretto o se vuoi edificante con l'architetto.
Che per me resta una prerogativa essenziale di vita.

Quanti anni hai lavorato per Massimiliano Fuksas?

Due anni e mezzo.

E dopo?


Durante l'esperienza lavorativa da Fuksas, sono stata nel cuore di Trastevere dove aveva l'ufficio. Quel periodo per me è stato un momento importante, in particolare ho conosciuto delle persone molto interessanti che venivano da tutto il mondo, Germania, USA, Francia, Svizzera, tutti cercavano di fare un'esperienza dall'architetto superstar romano. Adesso a 20 anni di distanza, sono rimasta in contatto con molte delle persone che ho conosciuto in quel periodo, tra cui il mio attuale marito che è pure partner dell'ufficio.

Mi piace il sostantivo 'ufficio' poco usato dagli architetti italiani. Dal punto di vista anagrafico sei più un architetto italiano che giapponese?

Semplicemente mi suona meglio di 'studio' non c'è un grande significato dietro.
Dentro di me ho ancora lo spirito giapponese mischiato con quello italiano che è subentrato nella mia vita.
Il lato giapponese mi serve per la creatività, mentre quello italiano per rilassarmi.

Questa tua risposta mi ha fatto venire in mente una frase di Carlo Scarpa:

«L'architettura è un linguaggio molto difficile da comprendere - è misterioso, a differenza delle altre arti, della musica in particolare, più direttamente comprensibili. In Giappone, ad esempio, si avvertono due tendenze ben distinte: il buddismo, di derivazione cinese, e lo shintoismo - tanto è vero che l'architettura cinese, pur molto gloriosa, non ci piace. Il valore di un'opera consiste nella sua esposizione - quando una cosa è espressa bene, il suo valore diviene molto alto.»1
Esistono ancora queste due anime in Giappone?

Sì. Nella nostra anima sono rimasti due religioni come cultura. Lo stato è laico, politicamente non abbiamo religione di nessun tipo e nessun partito politico religioso.
La nostra educazione, sia a casa che a scuola, è basata su queste due religioni.
Per molti aspetti, tra la cultura giapponese e quella italiana, vi è una profonda incompatibilità. 


Quali sono le incompatibilità più evidenti? 

Abitudini sul rispetto per le persone e le cose. 

Akira Kurosawa condivideva con Federico Fellini, la trasposizione visiva e narrativa in film dei suoi sogni.
Nel film 'Sogni' vi è un episodio che a rivederlo adesso sembra - nel suo dramma assoluto - profetico: Fujiama in rosso (traduzione in italiano).
Il risveglio del vulcano Fujiama causa violenti esplosioni, devastando in poco tempo il paesaggio circostante.
Un'immensa folla scappa e finisce per gettarsi da una scogliera a picco sul mare.
Un ingegnere della centrale atomica2 costruita in prossimità del monte, descrive gli effetti deleteri della radioattività a un uomo e una donna che tiene stretti a se due bambini; sono gli unici ancora in vita sul promontorio.
Prima dell'arrivo della nuvola letale l'ingegnere decide di gettarsi dalla rupe.
Nell'ultima scena si vede l'uomo lottare contro la nube tossica cercando con la giacca di allontanarla, nel tentativo estremo di proteggere la donna con i suoi figli.
Io non ho visto questo film e non so dire molto al riguardo.
Su Fukushima si sono scoperti tanti lati oscuri, l'inaffidabilità sia del governo che delle grosse aziende giapponesi come Tepco.
Questo incidente doveva succedere da tempo, come racconta Kurosawa vent’anni fa nel suo film.
In questo periodo, studiando il nucleare in Giappone - perché fin ora non ne sapevo niente - ho scoperto tante storie spaventose che è inutile elencare in questo contesto. Vorrei parlare della reazione diversa del popolo giapponese da quello italiano.
Ho un'amica che ha un fratello ingegnere che in questo momento, lavora alla centrale nucleare di Fukushima per il recupero del quinto e sesto reattore. È uno dei famosi cinquanta eroi che hanno iniziato e tuttora lavora ininterrottamente dopo l'incidente. La sua famiglia si è trasferita a Tokyo, perché abitavano a dieci km dalla centrale in un complesso di abitazione per i dipendenti dell'azienda. Il figlio di questo ingegnere di un anno e mezzo ha detto a sua zia (questa mia amica): «Kanako, non devo dire agli altri - i nuovi amichetti che incontra nella nuova città - che mio papà sta lavorando al reattore nucleare, vero?».
Questo perché rischia di non avere amici. Nella mentalità giapponese, il bimbo non viene trattato come il figlio di un eroe e rischia di essere isolato.
Anche se i bimbi sono troppo piccoli per capire, sono informati dai genitori.
Tutti questi ingegneri e operai che lavorano al nucleare sono vittime di questo incidente in prima persona, anche se i reattori non sono stati progettati da loro. Il giapponese reagisce in modo sbagliato. Se fosse successo una cosa simile in Italia, li avrebbero accolti in modo completamente diverso.
In genere dei giapponesi parlano molto bene, ma ci sono alcuni comportamenti di questo popolo che qui in Italia è difficile immaginare. Con aspetti al limite del disumano.
Forse mi sono allontanata troppo dalla tua domanda? 

No. Anzi, hai reso bene l'idea.
Mi ricollego ai temi di una tua recente intervista3, dove spiegavi che in Giappone in seguito al devastante terremoto del 1923 tutti gli edifici sia storici sia di nuova costruzione - in pochi anni - sono stati riadattati o costruiti secondo una rigida normativa antisismica.
Con realismo, dicevi, che in Italia un intervento del genere sarebbe impossibile:
«Se per ristrutturare con modalità antisismica un edificio ci si mette una vita, non ci si può stupire se poi nel frattempo avvengono delle tragedie. È una questione di priorità e di volontà politica».
Mi parli della tua esperienza di architetto in Italia? 

I miei parametri sono basati sulle due precedenti esperienze lavorative Fuksas e Takamatsu, dimenticavo anche su Kazuyo Sejima che a quei tempi era un architetto emergente.
Studi di architettura dove si lavora tantissimo, 12 – 15 ore al giorno, ovviamente sacrificando le ore personali.
Arrivo a Roma, dove praticamente lavoravamo io e un altro ragazzo giapponese, gli stranieri (tedesca, svizzero, inglese, americano e altri) e due ragazze calabresi.
Gli altri italiani si mettevano a discutere su ogni problema: lavoro, calcio, mogli, figli. Ovviamente con le mani ferme. Il mio scopo per il primo anno è stato quello di imparare bene l’italiano - non parlavo inglese - per incazzarmi con questa gente.
Nonostante ciò mi sono divertita, perché mentre in Giappone stavo chiusa in ufficio tutte le ore di veglia, qui avevo tutti i pomeriggi (dopo le sei) per passeggiare (sono arrivata nel mese di giugno, bellissimo) con un amico pittore canadese che già conoscevo prima di venire in Italia, facevo dei piccoli viaggi ogni fine settimana (tranne sotto consegna).
Il secondo anno da Fuksas, il ragazzo giapponese se ne è andato dicendo:«io me ne torno in Giappone e riprendo a lavorare. Non posso continuare a giocare». Aveva già lavorato per sette anni in un'azienda e stava aprendo il suo studio, era in Italia grazie alla borsa di studio organizzata dal ministero della cultura giapponese.
È stato sostituito da un altro ragazzo giapponese, con pari esperienza professionale.
Ricordo, che in quel periodo, gli architetti noti europei nelle loro discussioni si vantavano: «io ho un collaboratore giapponese, lavora benissimo»; «io ne ho due». Era una moda, nonché una convenienza, avere dei collaboratori giapponesi. Nello studio di Fuksas qualsiasi cosa facevamo noi giapponesi andava bene. Se per caso ci sbagliavamo, Fuksas si arrabbiava con gli altri, ma non con noi. Quest’aspetto non mi piaceva.
Poco prima di andare via è arrivato un ragazzo, che è il mio attuale marito, Massimo Alvisi. Con lui ci siamo trasferiti a Genova, perché ha iniziato a lavorare per Renzo Piano. Io ho trovato lavoro a Milano in un ufficio di interior design; facevano tutti gli interni per Gianni Versace. Mi occupavo del settore franchising nel mondo insieme ad un altro ragazzo giapponese. Il ritmo di lavoro e la professionalità erano completamente diversi da Roma. Dopo un anno ho avuto un figlio e ho smesso di lavorare.
Dopo la nascita di mio figlio abbiamo avuto il nostro primo incarico, 'INCÁ' a Barletta, un complesso industriale. All’inizio lavoravamo da casa e dopo tre anni di esperienza da Renzo Piano, Alvisi ha deciso di mettersi in proprio e trasferirsi a Roma dove ha avuto l’incarico, da parte di Renzo Piano, a seguire il cantiere dell’auditorium 'Parco della musica'.
Era l’aprile del ’98. 

Basta visitare il vostro sito (alvisikirimoto) per capire l’intensità e la qualità dei progetti dal 1998 a oggi. Senza trascurare le continue collaborazioni con studi internazionali.
Vorrei concludere il nostro dialogo con una frase che mi è venuta in mente mentre leggevo le tue risposte.
«L'Italia è ancora come la lasciai, - scriveva Johann Wolfgang von Goethe nelle note al suo secondo viaggio in Italia - ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole.
Onestà tedesca ovunque cercherai invano, c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida, e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé.
Bello è il paese! Ma Faustina, ahimè, più non ritrovo. Non è più questa l'Italia che lasciai con dolore».4 
Sembra che le mie esperienze italiane siano tutte negative, sia sul lato personale che professionale. Dopo la laurea, da quando mi sono staccata economicamente dai genitori, ho trascorso l’intera parte della mia vita in Italia. Sarei cresciuta diversamente se fossi rimasta solo in Giappone. Ho delle opinioni completamente diverse dai miei amici e dai colleghi giapponesi. Il Giappone, ormai, per me non è più il paese dove "tornare", ma solo da visitare, anche se dentro di me, più avanzano gli anni più mi sento di essere giapponese.
Sento di avere una qualità diversa rispetto a quelli che escono poco o non sono mai usciti dal loro paese.
Ho ancora tutta la mia vita da trascorre in questo paese. Per me l'Italia è una seconda casa. 

25 maggio 2011
  Intersezioni ---> Fuga di cervelli
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Note:
1 Conferenza tenuta all'Accademia di belle arti di Vienna il 16 novembre 1976. Testo tratto dalla monografia Electa a cura di Francesco Dal Co e Giuseppe Mazzariol del 2003: Carlo Scarpa, Può l'architettura essere poesia? (p. 283)
2 Coincidenza: la centrale nucleare che esplode nel sogno-film ha sei reattori atomici. La centrale di Fukushima Dai-ichi danneggiata dal terremoto e maremoto del l’11 marzo 2011 (Tōhoku) ha, anch'essa, sei reattori.
3 Eleonora Martini, Ma l'architettura antisismica ha evitato il peggio, Il manifesto, 12 marzo 2011. Qui
4 Fertonani Roberto (curatore), Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia, Mondadori, I meridiani, Milano, 1987 

18 giugno 2010

0031 [MONDOBLOG] Coraggio, il meglio è passato! [1]

di Salvatore D'Agostino

Per caso nella sala di aspetto del mio dentista ho scoperto che la rivista Vanity fair alla fine di ogni articolo indica:
«Tempo di lettura previsto: x minuti».
Il blog offre spazi illimitati e soprattutto non ha un legame commerciale con il lettore, in questo caso i 38.500 caratteri comprensivi di spazio mi sembravano eccessivi. Per comodità ho diviso in due parti un colloquio avuto con Stefano Mirti autore del blog (a mio avviso non rubrica) Mirtilli per la versione on-line della rivista Abitare.

Buongiorno Stefano, mi piacerebbe partire con tre effetti, passando da alcune istruzioni per l'uso e finire analizzando la batofobia.

Buongiorno Salvatore, partirei dai tre effetti e nel frattempo cerco sul dizionario che cosa vuole dire "batofobia".

Prego.

Non facile.
Partirei dal distorsore utilizzato per distorcere il suono della chitarra o basso elettrico. In gergo chiamato "fuzzbox". In quest'ambito sono abbastanza un tradizionalista e dovendo dare dei riferimenti opterei per alcuni celebri pezzi di Jimi Hendrix e le parti di George Harrison in alcune canzoni dei Beatles.
Secondo effetto, direi il filtro di Photoshop. Tra i mille filtri, il mio prediletto è il "photocopy" (all'interno della famiglia "sketch").
Terzo effetto... Ci penso un attimo.


E sulle istruzioni per l'uso?

Qui è più facile. Direi il gioco "Life", alla base di ogni ragionamento riferito a sistemi generativi di ogni sorta. Poi, potrei dire il "Whole Earth Catalogue" di Stewart Brand e altri e ci siamo tolti il problema (delle istruzioni per l'uso).
Posso poi anche dire che quando abitavo in Giappone, una delle cose più strane che avevo fatto era quella di tradurre in italiano una quantità non banale di libretti di istruzioni di aggeggi ed elettrodomestici vari.

Nel frattempo ha trovato che cosa vuole dire "batofobia"?

Dunque, Capisco ora che la batofobia è la paura delle altezze, dello spazio, del vuoto, dello stare vicino a edifici alti. Diciamo che dovendo scegliere tra "fobie" e "philie", le seconde mi sembrano molto più affascinanti...

Le trascriverei un pezzo che mi sembra rilevante: L’inizio dell’effetto | Beaubourg |1
«Durante il medesimo periodo, il progetto per l’edificazione del centro era stato tirato a sorte tra le diverse centinaia che erano stati presentati, e mi fece molto piacere che la scelta fosse toccata a quello dei due giovani architetti vegetariani Ropers e Giano. L’originalità del loro progetto consisteva soprattutto nella messa al bando di qualsiasi originalità, di qualunque ornamento o leccatura, anti-Belle Arti per eccellenza, ritorno nostalgico ai ferri e alle sbarre multicolori del primo Meccano di questi figli perduti di Mies. In profondità, il futuro centro non avrebbe occupato che quattro livelli, il che lasciava disponibile tutta la parte più interna del buco per il nostro centro. 
[...] 
L’inaugurazione del centro Nobile era stata fissata per il 15 dicembre 1975, poi rinviata di un anno; il che andava bene anche per noi, perché la nostra opera di sistemazione non era ancora terminata. Dunque il 15 dicembre 1976 i centri sovrapposti sono stati inaugurati, ciascuno a modo suo.
Mentre il presidente e gli alti funzionari della pubblica Istruzione e della Cultura ufficiale percorrevano i piani superiori e inauguravano solennemente i locali del Centro di Creazione Industriale, della Biblioteca pubblica, degli stand per la vendita di riproduzioni artistiche eccetera, noi ci dedicavamo agli ultimi preparativi per la nostra prima assemblea generale. A dire il vero, ventisette piani al di sotto di quello dove le autorità pronunciavano le loro tiritere e si ingozzavano di crostini e pasticcini, i preparativi erano stati volontariamente sommari, limitandosi ad un sistema di altoparlanti e ad una profusione di gessi, per consentire ai partecipanti di segnare sulle pareti le eventuali decisioni dell’assemblee inaugurale e costituente. Niente sedie, né banchi, né tavoli, né portaceneri: la gente stessa avrebbe deciso sull’eventuale utilità di provvedere all’istallazione di siffatte attrezzature.»2

Il sociologo francese Albert Meister nel suo romanzo ‘Sotto il Beaubourg’ immaginava una cultura Superiore catalizzatrice della Cultura-Spettacolo, Cultura-potere, Cultura-Merce che inaugurava il suo centro nell’attuale Beaubourg e una Cultura inferiore che contemporaneamente nasceva nelle viscere di Parigi - esattamente ventisette piani sotto il Beaubourg - che negava l’Accademia, l’Autorità e la Gerarchia.

Che cosa è avvenuto il 15 dicembre 1976?

Eh... Non facile la risposta.

Rispetto al Beaubourg e al suo effetto, tenderei a dire che l'aspetto rilevante è Gordon Matta-Clark che cala l'asso di bastoni (e si fotte Piano e Rogers con uno dei suoi lavori più incredibili).
Da questo punto di vista, il cantiere del Beaubourg è niente a confronto del buco di
Matta-Clark sull'edificio dirimpetto...
Conical Intersect - 1975

Procederei con: La maturità dell’effetto | Bilbao |

Procediamo...

A proposito del Guggenheim spagnolo, il filosofo John Rajchman in un piccolo saggio apparso su Casabella3 s’accigliava: 
«Per Baudrillard, la “società della simulazione” si incarna nel Pompidou – mediante il quale si mirava a trasformare un quartiere storico di Parigi - e in ciò che definisce “effetto Beaubourg". Ai suoi occhi, il Beaubourg ci presenta lo spettacolo di un pubblico che sciama in massa attraverso i tubi a vista della facciata, spinto dal desiderio feticistico di toccare le reliquie di una cultura ormai defunta e nata, invece, all'egida della segretezza e della trasgressione. Analogamente, spiega Baudrillard, poiché neanche le città sono più in grado di rinnovarsi, sono riprodotte artificialmente attraverso la simulazione. Su tale effetto, coltiva una fantasia entropica, per cui l’intero edificio potrebbe crollare sotto il peso di masse affamate di feticci, in un processo di “implosione” nelle “ grandi metropoli”. È possibile rinvenire un senso nuovo di spettacolo urbano nel museo Guggenheim progettato da Frank Gehry a Bilbao?»
A me sembra che Gehry a Bilbao si muova lungo le stesse esatte linee di Piano e Rogers a Parigi/Pompidou. La ricetta mi sembra essere la medesima.

Gli Archigram indicano la Luna, Piano e Rogers osservano il dito e non capendo che c'è la luna lo costruiscono tel-quel.
Da lì in avanti e un reiterare over and over il modello originario archigramesco declinato in tutte le forme possibili (generalmente non interessanti e noiose).

«Dobbiamo parlare di "effetto Bilbao"?» (John Rajchman)

Mi sembra uguale all'effetto Beaubourg. Semplicemente perché prima le ho girato la foto di Matta-Clark, direi che ancora una volta (come sempre), gli artisti sono circa trent'anni avanti.
Mentre Gehry trasforma le intuizioni di Picasso in edificio costruito (con ottantanni di ritardo), l'arte nel frattempo è già su un altro pianeta.
Si pensi alla spirale di Robert Smithson, al già citato Matta-Clark, ai primi lavori di Richard Long alla fine degli anni Sessanta.

Mentre Gehry è impegnato a fare il Picasso 3d (fuori tempo massimo), James Turrell è già alle prese con il vulcano nel deserto...

;-)
«Già in fase di costruzione, quello di Gehry è stato un edificio pubblicizzato dai media, forse il più pubblicizzato in tutta la storia dell’architettura. Al tempo stesso, sembra che il problema sia mutato: la questione non è più la dispersione dei centri urbani in sobborghi automobilistici-consumistici, né la densità e l’implosione di quanto è al centro della grande metropoli. Qui si tratta , invece, del tentativo di catturare il commercio globale, in un ambiente in cui si chiama l’architettura (o lo spettacolo dell’architettura) a svolgere un ruolo-chiave». (John Rajchman)
L'architettura secondo me non conta nulla. Nell'esempio che lei dice, il ruolo centrale c'è l'ha la comunicazione.

Il Guggenheim di Bilbao è stato inaugurato 21 anni dopo il Beaubourg, che cosa è successo quel giorno (18 ottobre 1997)?

Di nuovo, nulla. Se lei va su Wikipedia nelle voci riferite ai giorni specifici e che cosa è successo in quei dati giorni, l'architettura non c'è mai (in quanto non conta nulla).
Il 1997 è l'anno in cui muore lady Diana, quello in termini assoluti è molto rilevante.

Il funerale della people's Princess nella cattedrale con Elton John che suona la canzone per lei composta, quello è un momento d
i passaggio incredibilmente significativo (nel bene e nel male).
Cosa fa Gehry è irrilevante.
Tutta questa trattazione, la trova spiegata perfettamente in: Amusing ourselves to death

L’effetto all’italiana | Maddalena |4

Abbandonando la dietrologia e l’opinionismo ovvero l’arte del giornalismo di fare evaporare i fatti e le verità.
Mi piacerebbe conoscere il suo parere:
  • sul progetto;
  • su questo passaggio della lettera di Stefano Boeri pubblicata su Abitare ‘Alcune riflessioni sul g8 alla Maddalena’: «La Protezione Civile è un “esercito buono” di giovani donne e uomini; migliaia di volontari appassionati e disponibili, con una disciplina austera ed affettiva. Ma a La Maddalena, dopo poche settimane, la Protezione Civile ha abdicato ad un ruolo che forse non avrebbe saputo nemmeno svolgere; al suo posto, al posto delle donne e degli uomini in maglietta blu sono arrivati con piglio di efficienza e rapidità i tecnici dell’”unità di missione per i 150 anni della Repubblica italiana”. Questa è una verità ancora non detta. A La Maddalena, gli architetti con cui collaboravo giravano con macchine scassate ed improbabili, e abitavano in gruppo in appartamenti del centro. I tecnici dell’Unità di Missione – in Rayban - giravano con Audi e BMW e avevano affittato ville sulle coste dell’isola. Fuori dagli uffici e dal cantiere era impossibile che i due gruppi si incontrassero, posti e relazioni erano diversi. A volte le differenze comportamentali sono un limite alla comunicazione, a volte una difesa da relazioni pericolose. I dettagli, in una vicenda complessa, sono sempre micidiali»;
  • su questo commento di Marina Perrot (10 marzo 2010): «A Stefano. Non penso che avessi bisogno di giustificarti ma posso capire la tua necessità di spiegare, forse più a te stesso che ai tuoi futuri lettori, la strada percorsa da quella prima scintilla scoccata tra Soru e te e le vostre aspettative sul futuro di La Maddalena. Avete vinto la scommessa nonostante tutta quella montagna di maldicenze e di cancan che continuano a riempire i giornali. Possiamo solo pensare come Voltaire “ che ne parlino male purchè ne parlino”. Il luogo è magnifico, essenziale e poderoso all’immagine dell’arcipelago e non ho bisogno di dirvelo. A me viene la voglia di metterlo nei depliant: insieme alla visita alla casa di Garibaldi anche una passeggiata sotto le corsie del Forte del Mare. Il Vuitton Trophy, che dovrebbe investire tutto il complesso, è un evento mediatico ma puntuale, mentre noi metteremo tutte le nostre forze per fare vivere la parte nobile, quella che, attraverso il passaggio degli skippers di tutto il mondo, farà conoscere al di là delle nostre frontiere un bel esempio di architettura moderna annidata nello scrigno di quest’isola che continuo ad amare da 40 anni. Spero di vederti presto e, nel frattempo, non perdere il sonno. Tu non sei stato messo in causa, sei pulito e come dice Voltaire……».
In realtà la Maddalena è stata inaugurata da Silvio Berlusconi e José Luis Rodríguez Zapatero in occasione di un incontro bilaterale dei corrispettivi paesi.

Qual è stato l’effetto di quel 10 settembre 2009?

Sulla Maddalena e su Stefano Boeri alla Maddalena, quello che dovevo scrivere l'ho scritto in un paio di articoli usciti sulla rubrica "mirtilli" di Abitare non avrei altre cose da aggiungere.
Sull'effetto in merito al quale lei mi chiede...

Non so, direi che in una certa qual misura, anche questo edificio alla Maddalena appartiene alla famiglia degli edifici a cui si faceva riferimento nelle domande precedenti: il Beaubourg, Gehry a Bilbao e così via.

Operazioni mediatiche più o meno ben congegnate, in cui l'architettura è uno dei pezzi dell'insieme.

;-)

Istruzioni per l’uso | Critica |

Ricollegandomi alla sua esperienza di traduttore di libretti d’istruzione per elettrodomestici, penso che il suo libro su Toyo Ito5 rappresenti l’esempio più maturo di ‘critica storica’.
Nel testo, non troviamo il classico sviluppo critico - spesso asettico - delle opere, ma un racconto - a più voci - del contesto culturale dell’autore.
Velatamente, un'istruzione per l’uso contro la critica dei compendi monografici.
Da questo suo lavoro (piccola chiosa il volume da molto tempo è fuori commercio) si sono sviluppate molte rubriche della nuova ‘Abitare’ di Stefano Boeri, su tutte, il numero dedicato a Renzo Piano.
Ha da offrire, ai critici, un’altra istruzione per l’uso?


No, in verità no.

Ovviamente i libri (come qualsiasi altra cosa) nascono da circostanze di vario tipo.
In quel caso la richiesta originaria era stata quella di scrivere un libro su Greg Lynn, dopodiché si era riusciti a virare su un molto più sensato Toyo Ito.

Se dovessi lavorare/ragionare su altre "istruzioni per l'uso", direi che mi piacerebbe molto avere sei mesi per dedicarmi completamente a John Hejduk e altri sei mesi per dedicarmi completamente a Kazuo Shinohara.

Sono sicuro che verrebbero fuori ulteriori "istruzioni per l'uso" molto interessanti e affascinanti.
Però, ovviamente, queste istruzioni sarei in grado di esplicitarle a valle del lavoro e non a monte.

;-)

Essendo però che al momento non ho 6 + 6 mesi di tranquillità a disposizione, credo di non essere in grado di rispondere compiutamente alla sua domanda.

Altra opzione sarebbe quella di scrivere un romanzo di ottocento pagine.
Però qui avrei bisogno di due anni e non di due mesi (dunque ancora peggio).

:-)

Istruzioni per l’uso | Italia |

Ho stralciato dalla rubrica SOS abitare di qualche mese fa,6 alcune considerazioni di Rem koolhaas sull’Italia:

«Rem Koolhaas Come si è formata questa stratificazione?
Gian Maria Sforza Fogliani È possibile che siano tracce di costruzioni, anche abusive…
RK Ho capito. Un po' di italiano lo parlo, o quanto meno riesco a capire i concetti tipicamente italiani.

[…]

GMSF
Per produrre l’aggetto del livello superiore, che crea un’ombra sulla facciata del piano terreno. Capisco che anche questa possa sembrare una scelta di natura formale...
RK No guarda, non è ancora una critica, la mia. E adesso passiamo a una questione un po’ più crudele: mi domandavo se da voi in Italia finestre come queste sono retrò, nostalgiche o semplicemente rappresentano qualcosa che non è mai scomparso.

[…]

GMSF
Qui c’è la cucina, che in verità ha, più che una finestra, una grande porta aperta verso il giardino.
RK Per me la questione sta in questi termini, al di là degli scherzi ho un profondo amore per l’Italia ma a volte faccio veramente fatica a capire se le (sic) stato delle cose deriva da scelte precise o piuttosto da un retaggio di soluzioni che non sono mai state messe in discussione. Tutto ciò può avere un senso, ma potrebbe anche non averlo. Queste vostre finestre sembrano venire direttamente dagli anni cinquanta.

[…]

GMSF
Semplicemente, senza stare troppo a discutere, al posto della terza camera da letto abbiamo fatto uno studio. Cercare di convincere i committenti secondo me non serve più di tanto.
RK Credo che questa sia una grande differenza tra l’architettura italiana e quella dei paesi nordici. Forse voi non vi impegnate a fondo quanto noi nel rapporto con i committenti, considerate i progetti come fatti compiuti, mentre noi passiamo ore a negoziare un punto di vista, tra implacabili lamentele e infinite argomentazioni.

[…]

RK
Hai qualche figura di riferimento tra gli architetti, qualche “eroe” che ammiri particolarmente? Hai usato la parola “ordinario”, stai citando qualcuno?
GMSF Non amo in particolare qualche architetto. Ci sono degli edifici bellissimi, che mi appassionano indipendentemente dal loro autore.
RK Percepisco una dimensione “venturiana” in questo concetto della “non riconoscibilità”, una sensibilità alla Bob Venturi frammentata, o rifratta. La riconosco nel modello, e anche nelle piante del vostro progetto.
GMSF Se proprio devo fare un nome, penso a un italiano come Francesco Venezia. Mi piace il suo lavoro, pochi edifici eccezionalmente disegnati, ben costruiti, fuori dalle mode. Amo le sue piante perché sono fatte di geometrie, e non di forme.
RK Conosco il suo lavoro e lo apprezzo molto. È nelle mie corde, dal momento che, pur non condividendola, sono molto interessato alla dimensione estetica dell’architettura italiana.»


Qual è la “dimensione estetica dell’architettura italiana” di oggi?


Rispetto all'ultimo stralcio, confesso che la conversazione tra gmsf e rk a me sembra risibile, noiosa e a grandi linee insignificante. Non ho nulla da dire. Un cumulo di cazzate.
Al fondo lei mi chiede sulla dimensione estetica dell'architettura italiana di oggi.

Io credo che oggi come ieri, l'architettura italiana migliore è quella formalmente ineccepibile e perfetta (il che non vuole dire che sia l'architettura che io prediligo, ancora il DNA nazionale migliore è di quel tipo lì).

Come quando Gianni Brera diceva che la nazionale italiana non può che essere costruita a partire dalla difesa.
In termini assoluti non sono d'accordo (esistono altri modi - più interessanti - di giocare a calcio), ma se si tratta di aumentare le probabilità di vincere la coppa del mondo, l'assunto di Brera è corretto.

Da questo punto di vista, l'architettura italiana attuale che dal punto di vista formale è indubitabilmente eccellente è quel tipo di architettura portata avanti da Beniamino Servino, da Alessandro Scandurra, alcuni interni di Francesco Librizzi che escono pari pari da una grandissima e infinita tradizione di eccellenza.

È un discorso delicato, fatto di mille sfumature.

Per dire, Gardella è  formalmente ineccepibile, però Albini è perfetto.
BBPR sono ineccepibili, Mollino di nuovo è perfetto.
Un conto è essere ineccepibili, un altro conto è essere perfetti.


Il primo Rossi è perfetto, così dicasi per molte cose di Francesco Venezia piuttosto che svariati gioielli di Adalberto Libera.

C'è poi Sottsass che va oltre (tipo Picasso che disegna come un bambino ma che essendo che lui sa disegnare come Raffaello non si mette a perdere tempo su attività risibili e tutto sommato non rilevanti).

Il layer di Dan Flavin aggiunto al Muzio della Chiesa Rossa, quella è perfezione contemporanea.

;-)

Un'altra persona che lavora su quel tema è sicuramente Pier Vittorio Aureli di fronte al quale non ci possiamo non togliere il cappello.

;-)

18 giugno 2010 (Ultima modifica 19 settembre 2012)
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Note:
La frase del titolo è di Ennio Flaiano, citata da Stefano Mirti nel post introduttivo del blog Mirtilli per la rivista on-line Abitare:
«“Mirtilli”. Ovvero, una nuova rubrica con pensieri sparsi di Stefano Mirti. Dovendo spiegare di che rubrica si tratta si può distorcere l’attualissimo Flaiano: “Il design è un investimento di capitali, la cultura un alibi”. A cui si può affiancare un’altra sua grande verità: “Coraggio, il meglio è passato!”»
1 “Effetto Beaubourg” Cfr. J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli, Bologna 1980.
2 Albert Meister, Sotto il Beaubourg, Eléuthera, 1988, pp. 20-21.
3 John Rajchman, Effetto Bilbao, Casabella, n. 673/74, dicembre 1999-gennaio 2000, p. 10.
4Stefano Boeri, Effetto Maddalena, Rizzoli, Milano, 2010.
5 Stefano Mirti, Toyo Ito - Istruzioni per l'uso, Postmedia, Milano, 2004.
6 SOS abitare, Una casa nel Salento, Abitare n.491, aprile 2009, pp. 44-59. Un progetto di Antonio Russo e Gian Maria Sforza Fogliani viene 'revisionato' da Rem Koolhaas e Renzo Piano.


Immagini:
- Tratta dal libro di Albert Meister, op. cit
- Gordon Matta-Clark, Conical Intersect - 1975, 27-29, rue Beaubourg, Paris, courtesy of David Zwirner, NY and the Estate of Gordon Matta-Clark. Link
- Screenshot di un post pubblicato su Abitare: 'Dal vivo dalla Maddalena'. Ora non più visibile. Ho raccontato questa storia qui.