Articolo di Filippo Gravagno per Wilfing Architettura
Non sono un frequentatore abituale degli spazi virtuali e non nutro molta fiducia nelle forme e negli strumenti della cosiddetta democrazia virtuale.
Ma sollecitato ad esprimere la mia opinione in merito al progetto di Corso Martiri della Libertà non posso che ribadire ciò che ho avuto modo di affermare in qualche altra sede.
E’ un pessimo progetto per la città ma è anche il miglior progetto di cui è capace questa città.
Poiché questa affermazione si presta a qualche fraintendimento provo, sinteticamente, a spiegarne il senso.
Da anni ormai chi si occupa di urbanistica e soprattutto di progetto urbano sa bene che la qualità di un progetto è intimamente legata alla qualità del processo che lo ha prodotto. Il progetto “è”, infatti, il processo che ha partorito una determinata configurazione dello spazio. Ce lo hanno fatto capire nella prima metà del novecento Paul Klee con la poetica della sua pittura e dopo di lui, quarant’anni di riflessioni epistemologiche che hanno informato la scienza e le discipline del progetto.
Se quindi dobbiamo valutare ciò che abbiamo davanti come documentazione tecnica sulla base delle modalità con cui è stata prodotta e soprattutto delle razionalità che la hanno informata non possiamo che esprimere un giudizio negativo su tutto il progetto.
Detto questo però è necessario anche prendere atto del fatto che rigettare questo progetto significa anche azzerare il processo di definizione di quest’area per riavviarlo in una situazione e un contesto che di fatto restano immutati e che, quindi, non possono che produrre, qualora si riuscirà a farlo, qualcosa di ancora analogo. Alla luce dell’oggi non vedo, infatti, ragioni nuove che portino a sperare che una realtà che in cinquant’anni non è riuscita a trattare e a risolvere un tema come questo possa poi improvvisamente dotarsi delle necessarie capacità per affrontarlo in modo differente.
Non c’è quindi nessuna alternativa all’attuale progetto? No, anch’io ho una alternativa da proporre.
L’alternativa che mi sento di proporre è l’esproprio dell’intera area, il costo dovrebbe aggirarsi solo sui 90 milioni di euro, per consentire di conservare l’attuale voragine e trasformarla magari in un museo. Nel museo della stupidità di Catania. Sarebbe una nuova grande attrazione turistica della città. Porrebbe Catania alla stregua e sullo stesso piano di Bilbao e delle tante altre città europee che hanno investito per il proprio futuro sulla cultura. Qualche critico d’arte non troverà alcuna difficoltà a sponsorizzare l’operazione che già di per sé potrebbe essere considerata il più grande esperimento di land art urbana, visto che questa voragine costituisce, ad oggi, il più grande vuoto urbano interno ad un tessuto urbano storico d’Europa.
La città ne avrebbe finalmente un possibile rientro economico e, forse, anche un nuovo simbolo capace di sostituire quell’elefante di cui nessuno ha mai capito il significato. Il simbolo della sua assoluta incapacità di discutere, confrontarsi e decidere. Sarebbe anche l’emblema di ciò che la modernità ha prodotto in questa città e di ciò che sono stati i suoi ultimi cinquant’anni. E chissà se partendo da questo buco finalmente non diventa possibile parlare anche del resto della città.
Una città che per cinquant’anni non è in grado di decidere da sola del suo futuro non è una città. E’ una accozzaglia di spazi, edifici e persone che non hanno alcun programma e alcun progetto in comune, quindi, nessuna possibilità di futuro.
A conclusione di questo breve contributo vorrei solo dire che la mia proposta non vuole assolutamente avere un carattere provocatorio ma, vista la situazione generale in cui versa la città, un carattere eminentemente propositivo e progettuale, da mettere sullo stesso piano delle tante altre proposte di sistemazione urbanistica dell’area, apparentemente più sensate, sino ad oggi messe in campo come possibili alternative.
Consiglio di lettura: Piera Busacca e Filippo Gravagno, "L'occhio di Arlecchino. Schizzi per il quartiere San Berillo a Catania", Gangemi, 2004
Consiglio di ascolto: La notte di radio uno: "La notte e la città: Catania", puntata del 01 novembre 2007:
- il sincero Umberto Scapagnini
- l'esagerato Enzo Bianco
- il funereo Giacomo Leone Umberti
- il crepuscolare Carmelo Nicosia
E’ un pessimo progetto per la città ma è anche il miglior progetto di cui è capace questa città.
Poiché questa affermazione si presta a qualche fraintendimento provo, sinteticamente, a spiegarne il senso.
Da anni ormai chi si occupa di urbanistica e soprattutto di progetto urbano sa bene che la qualità di un progetto è intimamente legata alla qualità del processo che lo ha prodotto. Il progetto “è”, infatti, il processo che ha partorito una determinata configurazione dello spazio. Ce lo hanno fatto capire nella prima metà del novecento Paul Klee con la poetica della sua pittura e dopo di lui, quarant’anni di riflessioni epistemologiche che hanno informato la scienza e le discipline del progetto.
Se quindi dobbiamo valutare ciò che abbiamo davanti come documentazione tecnica sulla base delle modalità con cui è stata prodotta e soprattutto delle razionalità che la hanno informata non possiamo che esprimere un giudizio negativo su tutto il progetto.
Detto questo però è necessario anche prendere atto del fatto che rigettare questo progetto significa anche azzerare il processo di definizione di quest’area per riavviarlo in una situazione e un contesto che di fatto restano immutati e che, quindi, non possono che produrre, qualora si riuscirà a farlo, qualcosa di ancora analogo. Alla luce dell’oggi non vedo, infatti, ragioni nuove che portino a sperare che una realtà che in cinquant’anni non è riuscita a trattare e a risolvere un tema come questo possa poi improvvisamente dotarsi delle necessarie capacità per affrontarlo in modo differente.
Non c’è quindi nessuna alternativa all’attuale progetto? No, anch’io ho una alternativa da proporre.
L’alternativa che mi sento di proporre è l’esproprio dell’intera area, il costo dovrebbe aggirarsi solo sui 90 milioni di euro, per consentire di conservare l’attuale voragine e trasformarla magari in un museo. Nel museo della stupidità di Catania. Sarebbe una nuova grande attrazione turistica della città. Porrebbe Catania alla stregua e sullo stesso piano di Bilbao e delle tante altre città europee che hanno investito per il proprio futuro sulla cultura. Qualche critico d’arte non troverà alcuna difficoltà a sponsorizzare l’operazione che già di per sé potrebbe essere considerata il più grande esperimento di land art urbana, visto che questa voragine costituisce, ad oggi, il più grande vuoto urbano interno ad un tessuto urbano storico d’Europa.
La città ne avrebbe finalmente un possibile rientro economico e, forse, anche un nuovo simbolo capace di sostituire quell’elefante di cui nessuno ha mai capito il significato. Il simbolo della sua assoluta incapacità di discutere, confrontarsi e decidere. Sarebbe anche l’emblema di ciò che la modernità ha prodotto in questa città e di ciò che sono stati i suoi ultimi cinquant’anni. E chissà se partendo da questo buco finalmente non diventa possibile parlare anche del resto della città.
Una città che per cinquant’anni non è in grado di decidere da sola del suo futuro non è una città. E’ una accozzaglia di spazi, edifici e persone che non hanno alcun programma e alcun progetto in comune, quindi, nessuna possibilità di futuro.
A conclusione di questo breve contributo vorrei solo dire che la mia proposta non vuole assolutamente avere un carattere provocatorio ma, vista la situazione generale in cui versa la città, un carattere eminentemente propositivo e progettuale, da mettere sullo stesso piano delle tante altre proposte di sistemazione urbanistica dell’area, apparentemente più sensate, sino ad oggi messe in campo come possibili alternative.
Consiglio di lettura: Piera Busacca e Filippo Gravagno, "L'occhio di Arlecchino. Schizzi per il quartiere San Berillo a Catania", Gangemi, 2004
Consiglio di ascolto: La notte di radio uno: "La notte e la città: Catania", puntata del 01 novembre 2007:
- il sincero Umberto Scapagnini
- l'esagerato Enzo Bianco
- il funereo Giacomo Leone Umberti
- il crepuscolare Carmelo Nicosia
Intersezioni ---> A-B USO
Anch'io non credo che sia una provocazione, un museo come catalizzatore dei problemi endemici della città non sarebbe una cattiva idea.
RispondiEliminaFortunato F.