30 gennaio 2013

0009 [SQUOLA] Giovanni Damiani a questo Paese serve da matti che lui stia dentro un’aula

La parola scuola è spesso un inciampo, il suo suono trae in inganno.
Non di rado viene scritta sbagliata.
Squola è un errore ed è il nome di questa rubrica.
di Salvatore D’Agostino
«Ci pensavo in questi giorni: i miei professori di disegno dal vero e di "ornato" non li ho mai visti disegnare. Ricordo che il professore di figura fumava e leggeva il giornale. Non li ho mai visti con una matita in mano». (Gipi)
In un’intervista Junko kirimoto, fondatrice dello studio Alvisi Kirimoto + Partners con sede a Roma, mi raccontava:
«In Giappone i professionisti possono diventare professori universitari, quando sono invitati, senza rinunciare alla libera professione. Per i professionisti insegnare all'università è un vero onore (ovviamente sono pagati anche bene)».
in Italia non ricordo casi, se non per corsi temporanei, di architetti chiamati a insegnare nelle università. Viceversa ci sono delle leggi che vietano ai ricercatori di esercitare la professione. Leggi create per evitare gli abusi ma che nella realtà espellono chi pratica il mestiere dell’architetto dall’insegnamento a favore di chi insegna un mestiere che non pratica.

Qualche giorno fa, l’Università di Genova, interpretando queste leggi, ha sospeso e imposto un risarcimento economico, all’architetto Gianluca Peluffo, tra i fondatori dello studio 5+1AA con sedi a Genova, Milano e Parigi, perché essendo ricercatore, non poteva fare l’’architetto.

Leggendo il provvedimento accademico su ‘Il Secolo XIX’ di Genova Giovanni Damiani ha scritto una riflessione sulla sua pagina facebook. Una riflessione estemporanea che l’autore mi ha autorizzato a pubblicare.
(tra parentesi perché i media per rilanciare le notizie di architettura usano il termine ‘archistar’?)




alcune piccole riflessioni che prescindono che Gianluca è un amico e una persona con cui mi è capitato di collaborare e di discutere del nostro mestiere un sacco di volte sempre con grande piacere.

L'università italiana messa come è non può più permettersi di rinunciare ai talenti che faticosamente emergono dalla mediocrità e dal pantano italiano. Punto e basta. Se un docente del tuo ateneo è socio di una delle più interessanti realtà a livello nazionale (e oltre, hanno una sede anche in Francia da diversi anni) che partendo dal nulla è diventata una società pesante come nome e fatturato in un momento di crisi e difficoltà come questo dovresti essere felice e orgoglioso di averlo nel tuo corpo docenti. Lo dico con amarezza estrema perché qui invece si fa di tutto troppo spesso per selezionare con il criterio del "non riusciva a trovare niente, bisogna dargli una mano, sono 15 anni che non riesce ad entrare" e Gianluca è uno dei pochissimi della generazione successiva ai grandi vecchi (mi rifiuto di dare del giovane ad una persona di quasi 50 anni che tiene famiglia e dirige una società che ha fondato che fattura milioni, sarebbe un insulto) che è riuscito ad entrare in qualche modo in università (ricercatore... nominato dopo i 40 anni...).

Cosa avrebbe dovuto fare, rinunciare ad incarichi professionali? licenziare 50 persone in tronco perché se no non poteva prendere una paga da neppure 2000 euro? qualcuno crede di poter rivendere ancora certi prodotti per caviale senza rendersi conto che dopo non aver offerto quasi nulla per 30 anni almeno tali prodotti stanno sul mercato al prezzo di una scatoletta di tonno (che è esattamente anche il valore economico che corrispondono nella gran parte dei casi). Io quando studiavo volevo assomigliare ai miei maestri, a modo mio s’intende, ma tendevo verso, perché stimavo quelle persone, perché vedevo nel loro stare al mondo un modo interessante di porsi dei problemi e per essere così leggevo, cercavo libri, disegnavo andavo in giro e credo che una persona di 20 anni che abbia talento e ambizione desideri pensarsi a 50 a capo di un grande studio che ha fondato e che fa progetti importanti di qua e di la per il mondo. 

Per questo serve gente come Gianluca in università e per questo non servono tantissimi di quelli che invece ci stanno che non sono magari cattive persone, che sanno anche delle cose, ma che non sono di stimolo e modello per costruire una nuova classe dirigente. Quello di cui questo Paese ha bisogno e quello che l'Università è chiamata a fare. Perché anche se pare se lo siano dimenticato in molti quello è il compito dell'Università, non riuscire a laureare in tempo gente che non sa bene che fare o organizzare corsi per aprire scatole di sardine, anzi corsi per formare gente che spieghi la formula che serve ad aprire scatole di sardine, che se no diventa troppo pratico e sia mai che ci si sporchi nella realtà. A Gianluca la mia solidarietà non serve e sa benissimo già da solo che ha tutta la mia stima per mille motivi più nobili di questa fesseria, ma a questo Paese serve da matti che lui stia dentro un’aula.


30 gennaio 2013
Intersezioni --->SQUOLA




19 commenti:

  1. L'università italiana fa confusione tra arte della professione applicata alla formazione e pratica istituzionale concorrente nella professione: da una parte espelle individualita' capaci e utili allo stesso prestigio formativo dall'altra accaparra incarichi "professionali" e convenzioni nella sua veste istituzionale, tanti lavori e occasioni che potrebbero stare nel normale sistema di concorso professionale...un paese pietrificato e moralista quando vuole, spudorato e mercantile quando conviene. Poi la domanda di fondo e' un'altra Peluffo insegnava bene o male? I professori senza professione insegnano bene o male? L'università italiana Sa selezionare chi ha talento o espellere chi non forma ?

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    1. Luciano Marabello,
      basta aprire i siti delle università europee (per non farci troppo del male) per capire l'enorme ritardo culturale delle nostre università.
      Certo bisogna evitare la trappola di includere tutti e tutto. Serve capire cosa salvare per cambiare pelle, uso un termine molto amato dalla nostra accademia 'identità'.
      Saluti,
      Salvatore D'Agostino

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  2. Gianni Pettena vent'anni fa ci diceva che era entrato all'università di Firenze su invito di Koenig... Ricordo che ci diceva di essere snobbato da tutti i suoi colleghi che consideravano il suo corso una banalità... Per quel che può valere la mia opinione, per me era straordinario... Ho sentito dire che qualche anno fa se ne sia andato sbattendo la porta... Ho fatto l'assistente per il mio professore di disegno per poco più di un anno in una piccola facoltà dove il corso prevedeva all'esame un paio di tavole A1 (contro le 20 che facevamo a Firenze) ... Al mio stupore mi dissero che se in una piccola facoltà ci sono fuori-corso le iscrizioni diminuiscono... Poi un giorno vidi il mio professore disegnare una pensilina e me ne andai...

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    1. Paolo Carli Moretti ,
      ahimè, da anni i migliori architetti, potenziali insegnanti, scappano dalle nostre università. Restano i più cinici, (con i dovuti distinguo), i più accondiscendi nei confronti delle trame accademiche, nella sostanza quelli che non hanno niente da perdere.
      Saluti,
      Salvatore D'Agostino

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  3. Personalmente non difenderei così a spada tratta l'arch. Peluffo. In generale il suo studio è incappato più volte con tutte scarpe, ed a volte di striscio, in una serie di "incidenti" davvero imbarazzanti in quanto ad etica professionale. Egli fa parte di quella generazione che ha tentato di bruciare le tappe, e che pur avendo un qualche talento, è sempre stata alla ricerca di compromessi e sotterfugi per velocizzare la propria affermazione. 5+1, Casamonti, Boeri, etc, etc. Professionisti che si sono avvantaggiati di casi tipo la "cricca", di scambi di favori, di scambi di pubblicazioni, di scambi di cattedre, scambi di giurie. E menomale che c'è google...
    Che poi un professionista non possa insegnare questa si è una sciocchezza... ma se si è andati contro la legge è legittimo che se ne paghino le conseguenze.

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    1. Anonimo (peccato che tu sia anonimo),
      credo anch'io che si sia chiuso troppo in fretta e senza una seria presa di posizione da parte delle 'istituzioni' e della 'società civile' (perdona l'uso formale e aggregativo di questi termini) ciò che nelle intercettazione disse l'architetto Paolo Desideri:

      «L’Italia è un paese dove le cose non vanno per il verso giusto. Ma questa è una condizione generale. Oggi tocca a te, domani a me. Cioè non vanno per il verso giusto perché l’ingerenza della politica assume toni vergognosi. C’è un sistema dentro il ministero dei lavori pubblici che secondo me sfiora lo scandalo». Desideri: «Loro stanno immersi in un liquido gelatinoso, è al limite dello scandalo». Corriere della Sera, 8 marzo 2010

      Un 'sistema gelatinoso' che, a mio parere, ha contribuito ad azzerare l'architettura italiana ma essendo anonimo ciò che dici sull'architetto Peluffo non può essere minimamente preso in considerazione.
      T'invito a mettere il tuo nome nei commenti e ad argomentare meglio ciò che dici, citando le fonti.

      Saluti,
      Salvatore D'Agostino

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  4. Chissà perchè quando si parla di etica si cerca sempre di cambiare discorso virando verso la questione se sia o meno il caso che un ricercatore faccia la professione. In questo modo si tende a giustificare comportamenti disonesti, scorretti, che sono da molti indicati come l'unica strada per prendere incarichi, soddisfare il proprio ego a scapito della legalità. Quando poi si sollevano non uno, come nel caso dei 5+1aa, ma ben due casi in contemporanea come l'indagine sull'altro danno erariale segnalato da Edilizia e Territorio in merito al progetto dell'Agenzia Spaziale Italiana, si può parlare di una normalità nell'adozione di certi comportamenti. Io ho subito per la mia presa di posizione contro il sistema che gestiva la facoltà di architettura di genova (Franz Prati+Casamonti+Spadolini) ci ho rimesso il posto da ricercatore, quindi caro Salvatore prima di pubblicare testi come quello di Damiani ci penserei bene, soprattutto perchè non mette in evidenza che esistono altre posizioni che, indipendentemente dalla simpatia/antipatia per Peluffo, pongo la questione etica come centrale per un buon funzionamento dello Stato, eppure non vivi in Trentino e certi comportamenti dovresti conoscerli molto bene!

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    1. Emanuele,
      mi dispiace per la tua vicenda personale che merita un approfondimento serio, non certo attraverso i commenti di un blog. Non credi?

      Per correttezza inserisco il link dell’articolo che citi. Eccolo.

      Personalmente non cambio discorso. Come dicevo altrove in calce all’articolo di LPP Il caso Peluffo:

      «LPP il caso Peluffo non è un 'caso' ma normale questione italiana. Per usare un termine dotto e accademico: una classica storia d'identità italiana.

      L'errore più grave è considerare questi ‘casi’ come faccende puramente tecniche amministrative. Non è così. Un’università d’insegnanti non praticanti blocca la crescita culturale dell'intera nazione, impedisce le opportunità con le altre università, non catalizza gli investimenti, deprime lo sviluppo e infine imbruttisce le nostre città (soprattutto quelle di provincia).»

      Detto questo, dato che non vivo in Trentino, per uscire fuori da questo sistema ‘gelatinoso’ credo che non servano a niente le parole ma solo azioni. E proprio in questa terra dove vivo che, contrariamente agli stereotipi della stampa ‘ciarliera’, per cambiare faccia a quest’identità bastarda da trent’anni si sta pagando un prezzo molto alto, non attraverso le rassegne stampa ma con il sangue. Piano, piano ogni giorno si combatte (perché è una guerra) per uscire fuori da questo sistema.

      Ora, sinceramente pensi che questa ‘condanna’ possa risolvere la questione ‘etica’?
      Pensi che possa cambiare il ‘sistema gelatinoso’?
      Pensi che ‘l’università’ di Genova possa uscire fuori dalle logiche di ‘baronato’ che citi?

      Ho il sospetto che sia una ‘rivalsa’ che ci rituffa nel classico gioco-forza che ci ha reso poveri, molto poveri.

      Ci vuole un cambio d’identità perché questa che abbiamo ereditato è distruttiva.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  5. Concordo Salvatore, non credo che le parole siano la panacea però è importante evitare strumentalizzazioni e demagogia. Ti assicuro che non mi interessa la rivalsa, ma finchè non ci sarà un cambiamento culturale, a tutti i livelli, continueremo con questo "sistema gelatinoso", purtroppo! Dici bene quando parli di azioni ma la categoria degli architetti è la prima che non vuole autoriformarsi e il potere politico del CNA nei confronti del parlamento è inesistente.

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    1. Emanuele,
      mi ripeto: "Ci vuole un cambio d’identità perché questa che abbiamo ereditato è distruttiva".

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  6. Non so se valga per ogni tipo di facoltà ... ma ad architettura se uno studente ha bisogno di un insegnante è meglio che vada a fare altro (deve già saper studiare e se non lo sa fare è meglio che impari in fretta e per i fatti suoi) ... l'università deve offrirgli quella possibilità unica, straordinaria, di instaurare contatti, confronti, scambi con persone speciali, straordinarie, fuori dall'ordinario ... poi possono esserci pure persone normali, talenti che poi, nel corso del tempo, si rivelano normali, non c’è nulla di male che accada questo, trovare "l'eletto" è un'impresa difficile, è normale che si colpisca nel segno solo 1 volta su 1 milione, se va bene ... e può essere pure, non è detto nemmeno questo, che uno che oggi consideriamo "normale" possa, domani, improvvisamente, fare qualcosa di straordinario, oppure, che venga rivalutato come uno straordinario ... è già capitato più volte ... è anche normale che ci si possa lasciare scappare talenti, di cui non ci si accorge, che non si riconosce, può capitare ... ma quando poi te ne accorgi, quando si rivelano tali in modo palese, anche se pessimi insegnanti, come fa a passarti anche solo per l'anticamera del cervello di lasciali fuori dalle università? ... per legge dovrebbero obbligarli ad entrare!! ... Hai tot successo popolare o di critica o fatturato o concorsi o disegni o opere o mostre o pubblicazioni o non so che, valutatelo voi ... ? ... Bene! Ora, vieni qui, e condividi, quello che sai, e chi sei.

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  7. Paolo Carli Moretti,
    il web sta cambiando i nostri processi di apprendimento. Soprattutto l'idea della 'condivisione' del sapere. Ognuno di noi, minimamente curioso, apprende ogni giorno come se fosse uno studente attraverso le infinite aule aperte nel web. L'università italiana è ancora arroccata su processi di apprendimento e insegnamento 'verticali'. Dove spesso il verticale coincide con insegnanti abilitati a fare lezioni ma non a trasmettere conoscenza.

    Saluti,
    Salvatore D'Agostino

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    1. abilitati a fare lezione ma non a tramettere conoscenza...
      limpido questo concetto!
      ne devono fare di strada la maggior parte dei Prof.!!!

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  8. Chiara Rizzica Ma io non l'ho capito che vuol dire "sospeso". A norma di legge se vuoi fare la professione e sei ricercatore di ruolo chiedi il tempo definito, se non sei di ruolo hai davanti una vita di contratti di docenze. Anzi la riforma universitaria del 2010, che piace tanto ai meritocratici, anche quelli della professione, incentiva proprio lo strumento dei contratti di docenza destinati a professionisti. Io davvero non capisco dove stia il problema.

    Salvatore D'Agostino Chiara questo commento si riferisce ad una vicenda particolare. Ti rimando all'intero post magari ai commenti del post.

    Chiara Rizzica Si, grazie li ho letti. Avevo postato li, ma devo aver fatto qualche pasticcio e il mio commento si è perso. Detto questo, ribadisco: il post che ci hai proposto sulla vicenda della sospensione di un professionista affermato dall'insegnamento e dalla ricerca universitaria, per come la descrive, è quantomeno lacunoso - per il riscontro con il come funzionano le cose che ti ho citato nel mio precedente - e il dibattito che ne segue sulla "questione morale", se basato su fatti poco chiari non può che risultate stucchevole, se non privo di senso. Immaginati poi per chi vive sulla propria pelle situazioni molto più gravi. In questo senso condivido l'intervento di Piccardo

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    1. Io bravo così, me ne infischierei di fare il ricercatore dato anche il fatto che i meriti me li sono costruiti fuori . Il sospetto e che, come molti, l' interesse sia esclusivamente per il titolo accademico da vantare in consessi vari. Il tema è anche: il titolo accademico quanto valore ha ancora?, produce e legittima incarichi? O le leggi sui LL.PP. Sono più attente ai fatturati ... E infatti molti brillanti operavano con la famosa unità di missione che poi alla fine forniva fatturato ...è legittimava incarichi successivi

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    2. Chiara,
      per maggiore chiarezza ti suggerisco la lettura della lettera di Gianluca Peluffo inviata a LPP. qui

      In sintesi Peluffo dice:

      1. “chi deve insegnare la progettazione architettonica, è opportuno sia un progettista con esperienza”;

      2. basta sfruttare “ le figure più deboli (ricercatori, contrattisti, assegnisti, borsisti, assistenti volontari), che ne permettono la sopravvivenza reale e quotidiana, con la loro attività svolta a costi indecorosi (se non gratuitamente del tutto)”;

      3. Centralità dell’ambito progettuale. “Finché le Scuole non metteranno il Progetto al centro della loro didattica, e convinceranno tutti i settori disciplinari a collegarsi e ruotare intorno al Progetto stesso (e non a combatterlo o a sostituirlo) continueremo a produrre laureati frustrati per inadeguatezza”;

      4. mettere “al centro degli obiettivi (ndr sia degli ordini professionali sia delle università) qualità dell’insegnamento e individuazione delle modalità per formare professionisti competenti, dotati di una cultura umanistica e tecnica equilibrata e produttiva.

      Uscendo fuori dalle vicende personali perché per temi così complessi bisognerebbe astenersi dalle beghe condominiali.
      T’invito a fare una semplice comparazione tra i siti ufficiali delle università del mondo per capire il grande divario culturale che esiste con le nostre scuole. Credo sia evidente che in questi anni siamo stati bravissimi a diplomare architetti più che a laureare dei professionisti. Le nostre città sono strapiene di architetture che amano la ‘grammatica’ del diplomato – pezzo di carta – in architettura. Una pletora di architetti che hanno distrutto qualsiasi dialogo maturo con l’architettura.
      Che sia chiaro non abbiamo solo formato diplomati –pezzo di carta- architetti ma anche diplomati –pezzo di carta – ingegneri.
      Insomma, in Italia abbiamo moltissimi, geometri, geometri/architetti e geometri/ingegneri. Con tutto il rispetto per i geometri.
      Per evitare il qualunquismo questa grande propensione al ribasso dell’idea dell’architettura distrugge l’emerge dei bravi architetti sparsi in tutta Italia.
      Personalmente non credo in un sistema coatto pro-meritocrazia come non credo che basti una laurea in architettura per fare dignitosamente il mestiere dell’architetto.
      Ciò che registro che l’era del ‘web’ e del ‘disegno assistito’ sta cambiando le nostre modalità di apprendimento e di ‘concezione progettuale’ e nei confronti di questo cambiamento o se vuoi ‘mutamento’ le università italiane sono più preoccupate a smaltire una miriade d’insegnanti sottopagati, demotivati e senza nessuna prospettiva che continuano a sfornare cloni della propria frustrazione.
      Anche in questo caso per evitare l’ammucchiata ci sono bravi insegnanti che pagano l’arroganza del dialogo basato sul nulla degli insegnati del ‘posto fisso’ dalle idee fisse, meglio da ‘fissa’.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    3. Sandro,
      registro il tuo sfogo. Poiché il ‘titolo’ in questa Italia del nuovo millennio conta ancora molto.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  9. Guardiamo l'altro lato della medaglia please...

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    1. Grazie anonimo,
      Carlo Emilio Gadda chiamava le idee stupide, sterili che non figliano: ‘idee cetriolo’.
      Un po’ come il suo commento che invita a un cambio di prospettiva senza spiegare il motivo.
      Un po’ come alcuni professori del nulla che ti dicono ‘così non va’ ma non ti spiegano - facendo - il motivo.
      Un po’ come molti blog italiani (anche quelli di architettura) che invece di sfruttare la rete per offrire nuove prospettive si limitano a fare la cassa di risonanza del peggio dell’architettura usando lo stesso linguaggio gretto, semplicistico, propagandistico del mainstream ad esempio usando termini come archistar che include tutto e niente, centro storico e periferia come categorie estetiche, gli –ismi per denigrare una scuola di pensiero.
      Anonimo detto tra noi non credo però che lei sia un cetriolo.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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