21 maggio 2012

0006 [MEDIA CIVICO] Che cos’è la quisfera | l’heresphere?

di Salvatore D’Agostino 

Che cos'è la quisfera | l’heresphere? 

   Lo spiego riportando la definizione data da Hassan Bogdan Pautàs in un recente post dedicato all’uso letterario di Twitter - #Twitteratura? - dove ha ripreso e sintetizzato il neologismo quisfera | heresphere:
«Di fatto, noi oggi non abbiamo più a che fare con la blogosfera, per come la intendevamo alcuni anni fa. Noi oggi abbiamo a che fare con quella che Salvatore D’Agostino giustamente definisce Quisfera (Heresphere): è un luogo più ampio, che comprende sia il social web sia i blog, in cui il cittadino comincia a riappropriarsi di se stesso, a partire dalla sfera emotiva ed affettiva (Facebook, ma non solo), per poi farsi in alcuni casi vero e proprio medium civico (Twitter e i blog, ma non solo); il cittadino non si limita più a consumare cultura di massa dall’alto, principalmente attraverso la cattiva maestra televisiva; il cittadino ricomincia a produrne in proprio, di cultura, dal basso, all’interno di vere e proprie nicchie underground, diventando una sorta di disintermediario georeferenziato di se stesso».

   Il neologismo quisfera o heresphere è nato durante un dialogo con lo stesso Hassan Bogdan Pautàs, per chiarezza riprendo il passaggio chiave: 

   Condivido: «La blogosfera è la nostra speranza». Il termine blogosphere nasce il 10 settembre del 1999 grazie a Brad L. Graham che, in tono scherzoso, coniò questo neologismo sul suo blog. In realtà il termine cominciò ad essere usato dopo un commento informale di William Quick su Copykitten scritto il 5 gennaio del 2002.1 Erano i tempi del cyberspace, ovvero di uno spazio immaginato e abitato diversamente da come l’intendiamo adesso, quasi un universo parallelo scollegato dalla realtà. Per questo motivo penso che il termine blogosfera sia ormai un po’ logoro perché la rete non è un aggregato di voci blog, forse sarebbe opportuno chiamarla infosfera, termine coniato da Luciano Floridi2  che riabilita la percezione iniziale di Tim Berners-Lee:3 

«What's out there?
Pointers to the world's online information».

Che cosa c’è la fuori?
Le inforrmazioni online del mondo.

   Ma anche infosfera è limitato, poiché non sempre chi scrive in rete produce ‘informazioni’ e spesso si limita alla sua 'iosfera'. La iosfera deprecata dai 'critici autoriali’ della rete per me resta un bacino d’indagine stimolante, anche nelle sue derive da Wannabe o nelle trasposizioni in rete degli speaker's corner, però è vero, sovente l'iosfera conserva un carattere infantile, da 'egocalisse’, secondo la definizione coniata da Tiziano Scarpa4 e forse anche a ragione, ma l’ipotetica 'narrosfera' auspicata da Scarpa risulterebbe troppo sofisticata e poco veritiera. Il termine giusto potrebbe essere la 'iosonoquisfera' eliminando l’io e il sono, per evitare la deriva egocentrica, la chiamerei 'quisfera'. Poiché i moti attuali nel mondo siano essi positivi, vedi ‘la primavera araba’, gli indignados in Spagna, gli studenti del Cile, le passeggiate degli applausi in Bielorussia* o negativi come le rivolte in Inghilterra, le persone che scendono per strada sembrano dire:

«noi siamo qui, ci vogliamo restare ma c’è qualcosa che non va con i nostri governanti o la nostra quotidianità». 

   Qui, non nel cyberspazio o nella blogosfera, qui in una piazza o strada reale con gente che usa la rete per incontrarsi. Poiché più che lo spauracchio dell'omologante globalizzazione la rete ci sta offrendo una visione inclusiva e reale del nostro intorno: io sono qui e la sfera ‘umana’, ‘politica’ e ‘sociale’ spesso è da migliorare. Quisfera comprenderebbe tutte le voci della rete da facebook, twitter, blog, siti d’informazione e anche la vecchia second life (il titolare dell’avatar è pur sempre un umano che vive qui con noi).

   Inoltre sarebbe interessante la traduzione in inglese di quisfera: heresphere, here -sp- here.

   Ho ripreso questi appunti per segnalarvi il prossimo dialogo civico con Luciano Marabello e il suo corpodellecose.




21 maggio 2012
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Note:
1 ho provato a raccontare questa storia in questo post: Salvatore D'Agostino, 0026 [MONDOBLOG] La storia del blog e una storia blog Elmanco, Wilfing Architettura, 2 febbraio 2010.* 
2 Giorgio Fontana, In viaggio con il padre dell'infosfera, Il sole 24 ore, 20 maggio 2010.* 
3 Paul E. Ceruzzi, Storia dell’informatica, Apogeo, Milano, 2003  
4 Tiziano Scarpa, Egocalisse, Il primo amore, 18 aprile 2007. *

5 commenti:

  1. Ciao Salvatore,
    molto interessante questa definizione. Qui in Spagna sto dialogando con un interessante Antropologo (Alberto Corsin | http://www.prototyping.es/), e per il momento siamo arrivati a definire un nuovo spazio di relazione che chiamiamo "ambiente".
    L'idea è che stiamo creando un nuovi ambienti ibridi (fisico/digitale) basati su un sistema di relazioni ed informazioni.
    L'idea è di superare il concetto di spazio, ritrovandone alcune importanti caratteristiche. Una di esse è l' "Ambient Awareness", cioè la sensibilità o percezione di ciò che accade attorno a me. Questa sensibilidad al contesto attribuisce una identità e quindi un valore.
    In questa idea di "ambiente" tale percezione va oltre lo spazio e ha come elemento fondamentale la relazione tra persone e l'informazione, tenendo presente che l'informazione può essere prodotta dalle persone o anche da macchine.
    A me piace definirlo Ambient Intelligence, anche se questo termine viene utilizzato attualmente per descrivere altre cose.
    Interessante dibattito, continueremo.....

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  2. Ciao Domenico,
    ho appena finito di scrivere un post che sarà pubblicato giovedì partendo da una tua recente osservazione.
    Capisco cosa intendi con l’idea di superare il concetto di spazio e sono curioso del tuo dialogo con Alberto Corsin (che non conoscevo).
    Vorrei aggiungere una considerazione storica, non per essere pedanti ma pedestri, tra il 1855 e il 1864 Charles Baudelaire scrisse ‘Lo Spleen di Parigi’ perché voleva dissacrare le passeggiate ‘romantiche’ delle ‘Fantasticherie del passeggiatore solitario’ di Jean-Jacques Rousseau.
    Charles Baudelaire appunta le sue camminate notturne nella ‘città delle luci’ così era chiamata all’epoca Parigi per via della trasformazione ‘epocale’ dovuta all’uso pubblico dell’illuminazione elettrica.
    Le descrizioni di Baudelaire sono volutamente crude, anche se ancora ricche d’annotazioni di carattere borghese con quel ‘gusto’ di giudicare il mondo secondo il proprio schema ‘culturale’.
    Baudelaire cerca di descrivere ciò che vede mentre cammina e non ciò ‘fantastica di trovare’.
    In qualche modo è il primo scritto con un carattere ‘inclusivo’ dove l’autore tenta di s’immergersi in uno spazio più ampio della propria percezione.
    Anche, se ripeto, con l’animo esclusivo di una letteratura borghese.
    Baudelaire durante una sua camminata scrive: «Quasi tutti i nostri mali ci vengono dal non aver saputo restare nella nostra stanza dice un altro sapiente, Pascal, credo, richiamando così nella cella della meditazione tutti quegli smarriti che cercano la felicità nel movimento, e in quella puttaneria che potrei dire fraternitaria, se volessi parlare la magnifica lingua del mio secolo».
    A proposito di stanze, il libro ‘Una stanza tutta per sé’ di Virginia Woolf si può considerare il primo pamphlet sull’emancipazione femminile. La Woolf rivendicava il ruolo di scrittrice al femminile poiché tutta la cultura fino al quel periodo (1929) era per soli uomini.
    Voleva una stanza dove poter scrivere, autorizzata e pagata, i suoi libri.
    Ritornando alla puttaneria di Baudelaire e ribaltando la sua visione si potrebbe dire che: i nostri mali ci vengono dal non aver saputo restare fuori dalla nostra stanza.
    Oggi abbiamo bisogno di uscire fuori dalle nostre stanze.
    La scrittrice e attivista Rebecca Solnit nel suo saggio sul camminare scrive una città democratica è: «un poter passeggiare tra sconosciuti».
    E commentando il movimento newyorchese ‘occupy’ (di cui fa parte) dice:
    «Per quanto mi riguarda, la mia speranza è sempre stata radicata nella consapevolezza che la storia è più imprevedibile della nostra immaginazione, e che le cose inaspettate succedono molto più frequentemente che in qualsiasi nostro sogno. Un anno fa nessuno immaginava una primavera araba così come nessuno immaginava un autunno americano, neanche le persone che hanno cominciato a concepirlo l’estate scorsa. Non sappiamo cosa ci aspetta e questa è la buona notizia. Il mio consiglio è molto generale: sognate in grande. Occupate le vostre speranze. Parlate con gli estranei. Vivete in pubblico. Non fermatevi ora.
    Di una cosa sono certa: ci sono ancora molti fiori nel nostro futuro».

    Questo nostro spazio ‘espanso’ ci sta aiutando a non delegare i mali che abbiamo sotto casa.
    L’heresphere – ambient - è un sentimento quasi fisilogico.
    Stiamo appena iniziando a camminare – senza chiedere il permesso al re - per le strade.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  3. Ciao Salvatore,
    grazie al gruppo Gran Touristas di fb sono arrivata a questo post.
    Tutto molto interessante, il concetto di "quisfera" in sé, quanto il "monitoraggio" della trasformazione del significato, dei significati, che la rete va acquisendo ogni giorno. Un'oscillazione di senso che ci racconta di noi, che ci mostra in che direzione ci muoviamo. In un certo senso è quello che cerco di fare nella mia rubrica "The Daily Facebook" sul mio blog, focalizzando l'attenzione sul flusso di facebook. E proprio in uno dei primi post della stessa, sul tema del luogo, riflettevo sulle potenzialità della piazza virtuale. Con una serie di domande dal "basso", da frequentatore e non da studioso della rete (come fai tu dall'alto) mi facevo domande del tipo "facebook che tipo di luogo è? E io, in quanto abitante di facebook, che tipo di essere sono?"

    Riflettevo sul potenziale di questo luogo, sul rapporto tra "io digitale" e "io analogico", sulle caratteristiche degli avatar (l'indagine è condotta intorno a facebook ma il ragionamento è estensibile a tutta la rete) sul rapporto di interdipendenza e di influenza fra il mondo analogico e quello virtuale chiedendomi "Se è possibile generare un luogo virtuale da uno reale perché non potrebbe essere possibile l'inverso?" intendendo che se nel virtuale siamo liberi di avvicinarci ai nostri desideri e mettiamo in piazza le nostre aspettative generando il mondo virtuale, potremmo da lì tirare fuori la realtà generata per ri-creare il mondo analogico, dal quale veniamo e nel quale ci sono regole e sistemi che ancora ci impediscono la libertà di fare. Il nostro io, vestendosi da avatar si insinua nelle incertezze della rete e si espande, approfitta delle ancora tante verginità di questo luogo per crearlo come lo vuole. fuori da preconcetti e schemi prestabiliti (è un po' come acquistare lotti di luna e progettare delle architetture per un mondo nel quale è ancora tutto da scrivere). Può avvenire attraverso la rete un percorso catartico?

    QUesto il link del post sul luogo a cui accennavo: http://ilbaulevolante.blogspot.it/2012/05/daily-facebook-n-1-del-18052012.html
    questo correlato (sull'avatar e sull'inizio e il senso della rubrica "The daily facebook" e del monitorare il flusso di fb e della rete)

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  4. Cristina,
    qualche mese fa William Gibson (l’inventore preWeb del temine cyberspazio) rispondendo alle domande di Barbara Chai ha affermato: «Siamo scesi dagli alberi nella savana».

    La cultura preWeb era basata su un largo uso di ‘neologismi’ (appunto superluogo, nonluogo, iperluogo) legate alla nozione moderna, in seguito edulcorata da quella postmoderna, di definire ‘in base alle funzioni o caratteristiche’ degli ambiti di studio.

    Dal sei agosto 1991 in poi (con l’avvento dei protocolli web pubblici) finisce il postmoderno per entrare in una nuova fase che non ancora oggi –personalmente - non so definire sicuramente contiene la maturazione e l’evoluzione delle ‘estensioni’ dell’era elettrica (individuate da Marshall McLuhan il quale però aveva sbagliato quasi tutto sulle proiezioni del futuro) e delle idee dei teorici del postumano ma questi ultimi essendo legati allo sviluppo lineare, quasi radicale, tra macchina e umano (spesso con una deriva autoritaria di destra) le loro idee si perdono nel vuoto.

    Due considerazioni: siamo appena scesi dagli alberi (tutto e nuovo) e abbiamo perso ‘i concetti contenitori’ (siamo liberi dagli schemi moderni).

    Quasi dieci fa Andy Harris, un ex dirigente dell’Apple a proposito dell’ambiente urbano diceva: «più diventiamo ad alta tecnologia più cresce il nostro bisogno di incontrarci».

    La quisfera, che è una definizione di passaggio, individua questo cambiamento siamo appena nati e i concetti generici non descrivono più i nostri luoghi, soprattutto ciò che vediamo sotto casa, spesso è da migliorare attraverso una nostra partecipazione attiva.

    Ci vediamo per le strade dicono i manifestanti newyorkesi di occupy, c’incontriamo nelle piazze arabe e spagnole per cambiare le regole della nostra società, lasciando dei messaggi nelle mille bacheche Web della nostra vita.
    Facebook in realtà traspone in versione Web le bacheche degli annunci delle università americane.

    Questi anni più che la distinzione radicale tra vita 'reale e virtuale' ci stanno offrendo una vita reale sempre più espansa di azioni – note – Web (azioni non prive di coinvolgimenti emotive).

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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