15 marzo 2012

0008 [SQUOLA] Mario Fiorentino: Corviale un edificio romano

La parola scuola è spesso un inciampo, il suo suono trae in inganno.
Non di rado viene scritta sbagliata.
Squola è un errore ed è il nome di questa rubrica.
di Salvatore D’Agostino 

La possibilità di vedere questo riversaggio video si deve all’intuizione dello storico e critico dell’arte Eugenio Battisti* che, intorno la metà degli anni settanta, affascinato dall’organizzazione dei campus statunitensi chiese e ottenne di creare un Centro Audio Visivo nella nascente università di architettura calabrese, ma si deve anche alla flessibilità del neo formato di ripresa video U-Matic, il primo sistema di registrazione su nastro magnetico a cassetta; la U sintetizza graficamente le due bobine che trascinano il nastro. 
Il documento riversato in digitale, nella sua versione integrale, ci consente di ascoltare la descrizione dell’idea del progetto del Corviale dalla voce di uno dei suoi artefici principali l’architetto Mario Fiorentino. 
L’idea descritta s’inserisce nel dibattito del superamento degli schemi prettamente funzionalistici del movimento moderno e che negli anni sessanta fino all’ottanta in Italia vede contrapporsi movimenti di pensiero spesso antitetici. 

di Isidoro Pennisi 

Il testo qui presentato è la trascrizione di una ripresa video realizzata dal Centro Audio Visivo di ciò che, sino a quando nel 1982 non nacque l'Ateneo di Reggio Calabria, era lo IUSARC (Istituto Universitario Statale di Architettura). Una struttura Universitaria che aveva nello IUAV di Venezia il suo esatto omologo. Il Centro Audio Visivo, condotto da Celestino Soddu, nel contesto di una struttura universitaria di architettura posta nel meridione del Paese, aveva il compito di rendere culturalmente meno periferica la sede, attraverso una raccolta di materiale che un equipe appositamente predisposta e attrezzata andava a cogliere con le telecamere ed i microfoni lì dove avvenivano eventi distanti da Reggio Calabria ma importanti per la crescita culturale della sede e dei suoi studenti. Un materiale importante, raccolto nell'arco di circa dieci anni di attività, tra cui una serie di testimonianze come questo commento di Mario Fiorentino sul noto e discusso progetto di Corviale. Nel curarla e rileggerla, nello specifico, devo dire che ho trovato la conferma della superficialità con cui oggi trattiamo presente e passato e non solo della storia dell'Architettura. Un progetto, infatti, ha sempre un lato contingente, che ne sancisce la sua più o meno riuscita, ma ha anche un lato non contingente, in cui vengono messe alla prova metodologie e tecniche o affrontati temi inediti, che sono complessivamente la cifra che più dovrebbe interessare chi, come noi, continua ad occuparsi di architettura. Io credo che, in questo testo, vi sia esattamente un concentrato di questa cifra che, comunque la si pensi, è l'oggetto ed il lascito più importante di un qualsiasi progetto. Nello specifico, l’intervista fa parte di un materiale documentario prodotto in occasione della Mostra Architettura Italiana degli anni settanta, curata da Enrico Valeriani e Giovanna De Feo, ed esposta presso la Galleria di Arte Moderna di Roma e la Triennale di Milano nel 1981.



Mario Fiorentino

Parlare di Corviale senza il contributo di sollecitazioni o di domande particolari, crea sempre un certo imbarazzo, specialmente quando si deve parlare di una cosa che si conosce anche troppo. In effetti questo imbarazzo è dovuto al fatto che non si sa bene da che parte incominciare. Non si sa da che parte incominciare perché indubbiamente in Corviale, oltre a dei problemi evidentemente concreti come il rispondere ad un programma, ad una domanda, alla determinazione di alcune quantità, vi sono dei grandi problemi di carattere generale dell'architettura. Soprattutto nei rapporti che l'architettura ha con la città e con la storia. In questo progetto, secondo me, è presente uno sforzo di individuare una problematica di questo genere anche se, poi, c'è stato da parte nostra un grande rigore nel rispondere, tanto per iniziare, al programma del committente. Le cose che a me stanno più a cuore sono i problemi che, in senso positivo o in senso negativo - secondo come li si vuol vedere - sono posti da un progetto come quello del Corviale che, evidentemente, non si pone in termini banali di fronte alla realtà ma in termini problematici. Diciamo, allora, che analizzando l'avventura di questo progetto si può tentare di vedere, tanto per cominciare, quali sono i problemi che mi sembrano emergenti nel dibattito sulla città. Poi vi sono dei problemi di carattere organizzativo del progetto, che non sono mai un aspetto secondario e, in ultimo, dei problemi che riguardano il rapporto tra produzione, forma e architettura, che indubbiamente è, mi pare, uno dei temi di questo progetto.

A me pare che il discorso importante che pone il progetto è il rapporto con la città. Credo di poter affermare in maniera abbastanza categorica che un progetto come quello del Corviale non nasce casualmente a Roma. Questo lavoro è il tentativo di dare un interpretazione ai problemi che la città di Roma ha accumulato in secoli di storia e di riprendere alcune motivazioni di carattere generale che sono i problemi della sua architettura, della sua scala e della sua immagine o serie di immagini che hanno caratterizzato la sua storia. In questo senso il Corviale non è una “casa” più grande ma è un manufatto molto diverso dagli altri interventi di edilizia economica e popolare conosciuti, proprio perché si pone, a mio avviso e anche con una certa presunzione, il problema del rapporto con la città in termini che sono usuali alla cultura architettonica degli ultimi quindici anni, ma che secondo me non si rintracciano nell'edilizia economica e popolare corrente. La sua stessa scala, il suo proporsi con questa sua monumentalità e con questa sua prevaricazione sul paesaggio, sono delle cose non casuali per Roma, ma hanno dei ricordi molto precisi nella storia di questa città. Direi che le immagini che si possono ritrovare in questo rapporto con la storia intesa non come un rapporto pedante di un elenco di opere, ma proprio d'immagini in cui la città è stata costruita e del modo come è stata costruita, è un tema di questo progetto. Queste immagini e questi ricordi vanno in primo luogo ai grandi resti della Romanità presenti nella campagna romana. In effetti il Corviale si pone non nell'interno di un contesto estremamente articolato ma ai margini della città costruita, e in questo senso ha delle analogie con il paesaggio: con quello dell'architettura degli acquedotti o dei grandi manufatti, fino a ritrovare una sua scala e una sua analogia con i grandi manufatti barocchi della città, come San Michele o la Manica Lunga. E cioè quelle grandi dimensioni che, praticamente, la città molto piccola di allora riusciva a sopportare tranquillamente in una scala che per noi sembrerebbe oggi non gigantesca ma addirittura assurda. Il Corviale non fa il verso a questi manufatti, però non può essere indifferente a queste testimonianze.

Dopo questo discorso di carattere generale, allora, io credo che vanno ricordati, proprio in alcune immagini del Corviale, i rapporti con l'architettura di questa città. Vorrei dire che, in effetti, un aspetto singolare di questo edificio, se così si può chiamare, è proprio il rapporto tra partiture modulari ripetitive, monotone con i grandi elementi dell'architettura, come lo sono i grandi portali del Corviale. Un rapporto ancora più ricco quando tutto questo si relaziona agli episodi secondari del progetto, che sono praticamente incastrati nel grande manufatto oppure fanno parte del contesto dell'immagine di Corviale. Elementi sottesi in questa tessitura fondamentalmente anonima e ripetitiva. Anzi è proprio questa tessitura anonima e ripetitiva che mette in evidenza e in grande valore gli episodi singolari all'interno della sua tessitura. Per uscire dal generico si possono citare i cinque portali presenti nel progetto che sono come le porte di una città, o come i grandi portali dei palazzi romani che, evidentemente, sono sempre degli elementi costanti dell'architettura dal 500 in poi. Elementi che evidenziano non semplicemente un fatto di carattere funzionale, ma l'attenzione dell'osservatore ad alcuni punti dell'architettura su cui è costruito il contesto generale. Ho citato i portali perché sono la cosa più appariscente e più evidente. Ma lo sono anche, per esempio, i grandi episodi composti dai cinque blocchi dei condomini che sono evidenziati attraverso quella struttura e il sistema degli assi che rappresenta una specie di tessitura gigantesca di connessione tra il manufatto e il territorio che lo circonda. Il territorio che lo circonda è quello della campagna romana. La campagna romana, però, del versante ovest della città, che è molto diversa da quella del lato est. È' un sistema di colline parallelo all'andamento del mare, sulle cui creste esistono questi evidenti segni di una vegetazione composta da eucaliptus o da pini. Spesso grandi viali di pini che formano su queste creste delle emergenze morfologicamente molto significative, e di cui Corviale in certi termini riprende la motivazione. Non è un caso che il Corviale sta sulla cresta di una di queste colline e riprende alcune sollecitazioni del paesaggio circostante. Esiste poi un paesaggio più ravvicinato che è il contesto nel quale il Corviale vive, e che non è indifferente. Un paesaggio che comprende circa una sessantina di ettari, in cui il Corviale sta all'interno diventando un protagonista prepotente, che si pone in grande evidenza in rapporto a questo grande spazio vuoto che gli sta intorno.

In questo senso, però, va sventato subito l'equivoco che il Corviale sia qualcosa come un'unità di abitazione. Corviale si pone proprio al contrario dell'unità di abitazione, che è stato pensato come elemento ripetitivo, come un elemento che viene studiato nella sua complessità e funzionalità e può essere ripetuto. Il Corviale nasce come un unicum per quel sito e per questa città di Roma. Una maniera di essere che, in fin dei conti, è la stessa di tutte le fabbriche romane. La struttura di Roma è tipicamente composta da eventi morfologici emergenti e non da elementi ripetitivi, come invece si può riscontrare in tante altre città d'Italia, dove l'elemento della ripetizione del modulo, della tipologia ripetuta, è l'elemento dominante rispetto ad un contesto di morfologie singolari.

Un altro elemento da ricordare, continuando, è un discorso più interno ai problemi dell'architettura, e cioè il rapporto tra l'architettura, la residenza e i servizi che fanno parte di un complesso edilizio di questo genere. In effetti noi siamo abituati, anche da esempi recenti, ad essere legati alla logica di derivazione funzionalista che distingue per parti molto distinte la residenza, i servizi e certe attrezzature. Una distinzione che si identifica con delle tipologie volumetriche molto chiaramente articolate. Nel Corviale c'è il tentativo di rendere omogenee queste parti che, in genere, vengono disarticolate in modo da fare di questo contesto, sia pure singolare, un pezzo di città. In questo senso i servizi di Corviale sono mescolati, se si può usare questo termine, con l'architettura della residenza e ne fanno parte in maniera strettissima e abbastanza alternativa rispetto agli altri interventi similari. Questo tentativo di avere sempre il rapporto con la città visto come elemento non solamente funzionale ma come elemento prevalentemente di carattere morfologico, è suggerito da una quantità di fatti accessori che, forse, non si notano facilmente a prima vista. Lo si noteranno quando evidentemente il Corviale sarà finalmente finito dopo una gestazione piuttosto complicata. Quando le si potranno notare sarà possibile vedere che nel progetto vi sono delle memorie della città di Roma che è fatta sì di monumenti singolari, ma anche di cose molto secondarie come obelischi, le fontane, il sistema del verde, il sistema di alcuni elementi figurativi particolarmente singolari in una città come Roma. Il Corviale ha consentito di introdurre all'interno della sua architettura alcuni elementi e segnali di riconoscimento che sono praticamente le grandi sculture che noi abbiamo messo nei cinque grandi ingressi di Corviale. La riconoscibilità dei luoghi nella città storica sono legati appunto a cose di questo genere, e il tentativo è stato quello di ricreare artificiosamente a tavolino, se vogliamo dire, con tutta l'artificiosità che il problema richiede, un processo di formazione spontanea della città storica che evidentemente nel caso specifico andava ricordato ma non ripetuto meccanicamente. Questa idea di Corviale che è stata identificata come una casa lunga un chilometro - banalizzandola al massimo, perché evidentemente su Corviale ci sono i partiti favorevoli e i partiti contrari - è stato un tentativo nel campo dell'edilizia pubblica di risolvere dei problemi della città in cui, ormai, si tende sempre più ad appiattire le soluzioni attraverso la pratica dello standard urbanistico o attraverso la pratica dello zoning. Una pratica che sta praticamente distruggendo le nostre città. Non è solo la speculazione edilizia, infatti, a compiere i maggiori danni alle nostre città ma anche un certo tipo di cultura urbanistica.

Io credo che valga la pena, a questo punto, di spendere qualche parola sull'argomento di organizzazione del progetto di Corviale. L'architettura è una cosa molto concreta che si misura anche in termini organizzativi e in termini di confronto, specialmente quando il consenso delle persone che hanno partecipato a questo progetto è così vasto (circa una trentina di persone) che comporta di per sé una Babele piuttosto rilevante di linguaggi, di aspettative e di ambizioni. La gestione progettuale di Corviale è stata molto complessa ed è durata circa due anni. In effetti la difficoltà maggiore di questo progetto, che si può accettare o rigettare ovviamente a piacimento ma direi non con leggerezza, è praticamente di mantenere il concetto unitario di base coerente nel tempo. Questo perché in una progettazione che dura così a lungo e a cui hanno contribuito più progettisti, evidentemente il pericolo maggiore è quello di arrivare ad una confusione di contributi che praticamente distruggono, come di solito avviene nei progetti, un'idea originaria. E non dico un idea bella o brutta, che è un discorso che mi interressa relativamente meno, ma un'idea coerente. E questo è stato evitato per il contributo di una minoranza di questi progettisti che ha creduto in questo progetto e che, soprattutto, se n'è occupata nel tempo. Perché un progetto di questo genere, che richiede due anni di progettazione e cinque di esecuzione, ad oggi, evidentemente rischia di essere distorto nel cammino della sua esecuzione.
In ultimo vorrei ricordare un aspetto che mi pare importante: il rapporto tra progetto e produzione edilizia. Il discorso del sistema lineare di Corviale è una scelta evidentemente che si rifà ad una serie d'interessi di carattere morfologico e di richiami alla storia della città di Roma. Però, indubbiamente, il sistema lineare è anche una scelta tecnica e non semplicemente una scelta formale. Una scelta che presuppone la possibilità di organizzare un grande cantiere di dimensione rilevante attraverso un sistema di produzione industriale. Noi ci siamo trovati di fronte alla possibilità di aprirci a due alternative: che ciò potesse essere fatto attraverso un sistema di prefabbricazione in opera oppure attraverso un sistema di prefabbricazione in stabilimento. Queste due alternative andavano sviluppate entrambe in quanto dovevamo dare spazio ad Imprese che avrebbero fatto la migliore offerta optando per une delle due soluzioni. Questa possibilità di rispondere a due uscite possibili dal punto di vista tecnico del progetto, ha indubbiamente fatto perdere molto tempo. La scelta finale dell'Impresa che ha vinto l'appalto è stata quella di uno stabilimento di produzione di elementi che stava a circa cinque chilometri dal cantiere e ha portato come necessità di rifare tutto il progetto esecutivo adattandolo, sia pure lasciando fermi i presupposti del progetto, al sistema di stabilimento. 

15 marzo 2012
Intersezioni --->SQUOLA

14 commenti:

  1. Caro Salvatore, è un documento molto interessante e ti fa merito averlo divulgato in un momento di grande scontro ideologico sulla questione Corviale.
    Ci sono infatti persone, come gli appartenenti al gruppo Salingaros che rivendicano una distruzione (appunto ideologica) del manufatto e altri che ne sostengono una possibile riqualificazione.
    Dal mio punto di vista, quello che emerge dal monologo di Fiorentino è una visione distorta della città , dei suoi simboli e delle sue funzioni. Tutti gli edifici che cita (il S.Michele, la Manica Lunga, i resti romani nella campagna) sono edifici con funzione pubblica. Mai a Roma si sarebbero sognati di creare un'architettura evocativa dove condannare ad una vita squallida migliaia di persone. A Parigi, dove si sono ricordati di questa differenza, Chemetov ha costruito un simil-corviale pensandolo per un ministero, non per un'abitazione. Colpisce anche il modo con cui Fiorentino pensa alla campagna circostante l'edificio, come se questa potesse rimanere un pezzo intonso di Agro Romano, come se dalle siringhe dei tossici potessero spuntare margherite.
    Eppure, io credo che la vera sfida è pensare ad una sua riqualificazione, non alla distruzione. La trasformazione e la stratificazione sono la vera cifra della romanità. Ma anche questo Fiorentino non lo sapeva. Un saluto. Giulio Paolo Calcaprina

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  2. Traslochi romani,
    grazie.

    Giulio Paolo Calcaprina,
    riporto uno scritto dell’ultimo libro di Stefano Boeri dove parla del Corviale:
    «L’utopia concreta del Corviale è stata infatti doppiamente beffata […] perché quando il Corviale ha cominciato a «funzionare», nelle periferie romane già pulsava il ritmo diverso e brulicante di una miriade di piccole trasformazioni edilizie. Il tentativo di concentrare una città in un unico edificio nulla ha potuto infatti contro la marea di villette e palazzine che lo ha presto raggiunto e sorpassato, lasciandolo sul posto come un antico bastione abbandonato.
    Proprio per questo, più che un’infrastruttura, il Corviale ricorda il fossile di un grande dinosauro tardivo, uno degli esemplari sopravvissuti ai primi sommovimenti climatici; selezionati, ma comunque destinati a estinguersi.
    Eppure , proprio questo suo ritardo congenito, insieme con la potenza immutata della sua geografia di cemento, deve consigliare oggi una grande e lucida prudenza. Che allontani l’utopia negativa di una «cancellazione» del Corviale e il progetto – altrettanto pericolosamente autoritario e velleitario – di una sua sostituzione con un villaggio in stile medievale.
    Ci sono buone ragioni infatti per pensare che il riscatto del Corviale non possa che nascere dall’attento studio delle sue attuali condizioni. Nonostante tutto, nonostante le immense difficoltà, la vitalità del Corviale sta proprio nelle sue anomalie, nella sua inaspettata permeabilità ad accogliere forme di vita ecclettiche. Sta nelle relazioni di vicinato tra le famiglie e gruppi di provenienza culturale eterogenea; nell’uso improprio dei ballatoi e dei negozi».
    Una citazione che ci aiuta a saltare il fosso delle utopie ‘architettoniche’ portatrici sane di abitabilità (vedi la proposta del gruppo che hai citato) quindi condivido con te l’idea del non abbattimento del Corviale.
    Comprendo, anche se non condivido, ciò che dici sull’ideazione architettonica di uno dei progettisti ciò che invece non capisco è il facile nesso tra quest’architettura e i tossici.
    I tossici abitano ovunque, te le trovi all’interno della cornice barocca catanese e barese o nei vicoli del porto di Genova e in tantissimi centri urbani trascurati come il Corviale.
    Quindi evitiamo l’equivoco Corviale=tossici .
    Sull’esclusività romana della ‘trasformazione e la stratificazione’ avrei dei dubbi, Milan Kundera pensa che la caratteristica europea sia quella di avere il ‘massimo di diversità nel minimo spazio’.
    Ecco ciò che dobbiamo iniziare a fare non è solo stratificare e trasformare ma anche sostituire , cambiare (poiché i potenti romani abbattevano, non stratificavano) e a volte abbandonare.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  3. Ti sono grato per avere esplicitato il tuo pensiero. Con esso ho in comune il desiderio di riqualificare un organismo edilizio che, architettonicamente, trovo assai pregevole (forse preferirei dire "stilisticamente", anche se ora è una parola priva di senso, perché l'architettura deve comprendere in essa un pensiero rivolto alla vita delle persone che la abitano) ma, come già detto, socialmente e umanamente spaventoso.
    Non tutto è colpa dei progettisti. Se tu, amministrazione pubblica, non crei le possibilità di una mescolanza sociale tra gli abitanti che andranno ad abitare una struttura, il risultato sarà un ghetto. Comunque, i progettisti conoscevano già in partenza questo dato, ma non hanno fatto nulla per mitigare la negatività di questa condizione, anzi l'hanno amplificata, creando una superstruttura.
    Non lo dico a te, che probabilmente l'hai visitata, ma magari a qualche altro lettore: visitatela! Camminateci dentro! Così com'è è spaventosa. Incontrollabile.
    Con il tema del controllo del territorio arrivo alle "margherite", che era un paradosso per dire che anche lo spazio verde (come gli spazi connettivi e pubblici del Corviale) devono necessariamente essere progettati con la possibilità di controllo da parte delle persone che ci abitano (o che ci commerciano, i negozianti sono i migliori custodi del territorio!) e che hanno interesse a mantenerli vivibili.
    Perciò un grande spazio "incolto" e non delimitato attorno ad una struttura in cui abitano migliaia di persone è una terra di nessuno. Qui il senso di quanto ho scritto con una frase ad effetto, in effetti dal tono qualunquistico.
    Già su questo argomento ho dibattuto con Monica Sgandurra, ospitato da Paesaggio Critico, perché difendevo la scelta, che sta perseguendo l'amministrazione romana, di recintare i giardini urbani, anche piccoli, per difenderli dal vandalismo e per contribuire al loro controllo.
    Non sarà confacente all'estetica del moderno ma è una scelta che prende atto di una situazione reale di difficoltà economica, gestionale e di controllo del territorio.
    Infine una nota sul riferimento alla stratificazione romana: i romani, è vero, demolivano e ricostruivano. La stratificazione a Roma arriva dopo i romani, già dal medioevo e, costantemente, per tutti i periodi storici successivi.
    Nelle tavole del Piranesi raffiguranti il Campo Vaccino, la grandiosità dei resti dei Fori a diretto confronto con le povere case medioevali raffigura una sproporzione che ha ispirato, con il mito dell'età dell'oro, tutto il Rinascimento, particolarmente Michelangelo. Spero di avere chiarito meglio il senso delle mie affermazioni.

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  4. Ho letto con attenzione, spero, i tre commenti alle parole e alle riflessioni fatte da Fiorentino sulla sua opera più controversa. E’ inutile, credo, commentare i commenti, nel senso di provare a confutare le idee che ci sembrano, a torto o ragione, sbagliati. Io penso sempre, e fa parte della maniera con cui provo a fare e comunicare le cose dell’architettura, che vi sono due distinti piani, separati, da tenere in conto ogni qual volta valutiamo un opera. Piccola o grande che sia. Privata o pubblica. Che sia un cucchiaio o una città. Il risultato specifico di un opera, da una parte, e le questioni che, soprattutto nei casi più rilevanti ( ma vale anche nelle occasioni minori) vengono affrontate con generosità (o almeno così dovrebbe essere) dall’altra. Un architetto di rilievo come lo fu Michelangelo ebbe a dire, a proposito di questo, che è meglio nella vita saper perdere molte volte che vincere poche volte. E come non ricordare Ernesto Nathan Rogers, in aggiunta, che amava ricordare a se stesso come fosse meglio avere maggiori difficoltà nelle capacità con cui realizzare la vita che nei propositi che stanno alla base di questo tentativo di vivere. Molti potrebbero dire che di buoni propositi è lastricata la via dell’Inferno ma questo non vuol dire eludere il doppio binario con cui si deve valutare il fare le cose. Un progetto è sempre una soluzione contingente che dipende da tante di quelle variabili ( umane come sociali, intime come storiche) che in sé, da solo, dimostra poco. Nel caso del Corviale il vero manufatto da valutare, prima ancora che quello edilizio, è la questione che il progetto prova a piegare all’occasione data. Un questione che è dilagata negli ultimi quaranta anni, diventando il consumo irrazionale di una risorsa scarsa come il suolo. La questione centrale del progetto di cui discutiamo è come andare incontro e soddisfare un aumento demografico sostenuto e concentrato, soprattutto nelle città, elaborando un modello abitativo che consumi meno suolo e realizzi delle condizioni di vita private e sociali che pur non potendo essere come quelle legate a modelli dissipativi di suolo, comunque rappresentino un modello di vita su cui maturare e migliorare. E’ strano che siano proprio coloro che difendono l’erosione significativa dei suoli naturali a favore dell’artificiale, a non rendersi conto che è quel modello intensivo evocato dal Corviale l’unica soluzione praticabile, oltre a provare ingenuamente a mettere alberi e giardini sulle facciate degli edifici. A non rendersi conto, in sostanza, che la stessa Unità di Abitazione, che comunque è un precedente anche diverso del Corviale, ha posto la stessa questione tramutandosi in un discorso caduto nel vuoto. Un vuoto riempito da coloro che per lavoro d’impresa cercano suoli ogni giorno su cui costruire delle belle, abitudinarie, poco rischiose case a schiera o in linea che lasciano tutti tranquilli tranne il computo complessivo dei suoli che vengono a mancare a questo mondo. La soluzione realizzata possiamo criticarla come vogliamo ed è legittimo farlo. Ma io mi trovo a disagio quando parliamo solo di questo aspetto della questione. Un disagio cui sono ormai abituato,a dire il vero. Parlare e fare architettura rendendo centrale non tanto il progetto ma quel progetto, infatti, è la maniera migliore per rendere residuale il nostro sapere ed il nostro mestiere. Una condizione residuale anche lussuosa, alle volte, ma tale. Un lusso dorato che è simile a quello che vivono alcune Tribù del Nord America completamente assorbite e omologate cui viene garantito, però, quel margine di autenticità quando mettono i loro vestiti e ballano le loro danze tradizionali ad uso e consumo dei turisti in giorni prestabiliti. Anche l’architettura, ormai, sembra proprio una cosa del genere. Ed ogni qual volta gli stessi architetti dimenticano la rilevanza dello scenario progettuale a favore di un progetto specifico, non fanno altro che mettersi le Piume in testa e ballare intorno ad un Fuoco Fatuo.

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  5. Giulio,
    avevo chiesto a Isidoro Pennisi un intervento a proposito di Piranesi, l’architettura e il disegno secondo Manfredo Tafuri (tema di una nostra conversazione privata) ma Isidoro, essendo un accademico, ha pensato bene di ribadire il suo punto di vista.
    La metafora finale di Pennisi ci aiuta a riflettere sul tema della città che fisiologicamente non in senso ‘tradizionale’ si modifica ogni giorno.
    Una modifica ‘open source’ per usare un termine del Web, tanti piccoli gesti quotidiani pubblici, privati, leciti, illeciti, autorizzati, necessari, naturali, biologici trasformano il nostro ‘patrimonio architettonico’.

    T’invito ad abbondare dei termini tecnici senza senso.

    RIQUALIFICARE:
    Un’architettura non si riqualifica al limite si ri-progetta per assumere un nuovo aspetto (che cambia come abbiamo detto ogni giorno).

    GHETTO:
    L’architettura non produce ghetti o aree abitate da persone con un senso diverso del concetto scolastico dell’abitare.
    Quindi nessuna analogia Corviale=delinquenza.
    Basta andare a Catania per capire come uno straordinario Barocco=delinquenza.
    A Bari il barocco pugliese=delinquenza.
    A Genova le parti storiche del porto=delinquenza.
    E così via.
    L’architettura sia essa ‘tradizionale’ o ‘contemporanea’ non incide sul senso dell’abitare.
    Serve capire, come hai rilevato anche tu, la politica urbana che causa le aree densamente abitate dai socialmente 'delinquenti' (per semplificare).

    MURO E CONTROLLO
    Sono termini delicati condivido l’idea di Monica Sgandurra.
    Serve senso civico. Un muro è un atto di repressione come il controllo.

    PIRANESI E MICHELANGELO
    Direi Michelangelo e in seguito Piranesi.
    :-)

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  6. Si, ovviamente prima Michelangelo e poi Piranesi. Ero concentrato sulla sproporzione, non sulla cronologia.
    Grazie, oltre a salvatore, anche Isidoro Pennisi per gli interessanti spunti di riflessione che mi ha offerto

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  7. Giulio Paolo Calcaprina,
    resta valido il tuo invito: «visitatela! Camminateci dentro!»
    Aggiungo ma non per giudicarla come caso ‘topico’ Roma è vasta.

    Per capire, un po’, la Roma e i romani di oggi, oltre a camminare, t’invito a leggere i libri di Walter Siti (su tutti il Contagio).
    E riflettere su questo vecchio spezzone di film tratto dal catartico ‘Caro diario’ di Nanni Moretti.
    Ti riporto il dialogo:
    «- Passando accanto a queste case, sento un odore di tute indossate al posto dei vestiti, un odore di videocassette, cani in giardino a far la guardia e pizze già pronte dentro scatole di cartone. Ma perché sono venuti quaggiù trent'anni fa?
    - Scusi ma perché siete venuti ad abitare qui a Casal Palocco?
    - Ma guardi che verde, la tranquillità...
    - Si, il verde ma...voi...sono sicuro una trentina di anni fa...no?...siete venuti qua. Sessantuno...
    - Sessantadue.
    - Ecco...trent'anni fa Roma era una città meravigliosa!
    - Ma qui è diverso...
    - Qui è diverso...anche ora. Ma Roma allora era "bellissima", capisce? Questo, mi spaventa. Cani dietro i cancelli, videocassette, pantofole...
    - ...tutto il contrario di Amsterdam, dove la notte cammini, ma in realtà passeggi tra tavolini da pranzo, salotti, camere da letto, tutto illuminato tutti visibili. Una vita senza tendine».

    Saluti non romani,
    Salvatore D’Agostino

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  8. Ho appena visto, con qualche mese di ritardo, il video di Fiorentino su Corviale. Si tratta di un documento estremamente interessante, che aiuta a capire meglio un progetto citato da molti, ma probabilmente conosciuto veramente da pochi (e io non sono tra quelli). Giudicare oggi le parole di Fiorentino è difficile quanto inutile. Era un'altra epoca. Io mi chiedo piuttosto: è più rispettoso della storia demolirlo o intervenirci sopra in maniera anche pesante stravolgendone l'impostazione? Forse il costruire sopra rimaneggiando è più tipico della tradizione romana. Grazie del prezioso documento e dello spazio. Saluti

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  9. Stefano Nocita,
    mi chiedo perché il Corviale dovrebbe essere demolito e nel frattempo non toccare le migliaia di casette, villette, palazzine, palazzotti più o meno abusivi che negli stessi anni hanno cementato - spesso senza logica ‘urbana’ - il suo intorno?

    Inoltre che cosa s’intende per tradizione romana?
    Costruire ricopiando gli stili o sulla base del ‘lascito spaziale storico’ creare nuove architetture?
    Quindi ‘tradire’ la tradizione come indica la stessa etimologia del termine ‘tradizione’.

    In questo video Fiorentino spiega come il Corviale sia un edificio dalla forte stereometria romana prendendo le distanze dagli edifici prettamente ‘funzionalistici’ del moderno.
    Recementemente il blogger tedesco Kafkas Vermächtnis nei suoi appunti visivi sul Corviale riesce a cogliere in pieno la bellezza ‘monumentale’(architettonicamente discuterei più sul concetto del ‘monumento’ che sull'idea del contenitore lungo un chilometro) dell’opera, se ti va puoi leggere qui il suo post.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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