25 luglio 2011

0049 [MONDOBLOG] Julian Adda e Nicola Bergamin: Intanto c'è qb

di Salvatore D'Agostino

Questo dialogo nasce grazie a un commento scritto da Robert Maddalena in un’intervista a Vinicio Bonometto, in cui mi segnalava l’esistenza di un’e-zine ideata da Claudio Panerari all'interno dello IUAV nel 2000, per saperne di più mi suggeriva di contattare Julian Adda un suo collaboratore di quel periodo. 

In una mail del 12 aprile 2011 Julian Adda mi scrive:
La mia collaborazione con Claudio Panerari si è svolta dal gennaio 2000 fino all'autunno 2004, quando è venuto a mancare. [...]

Intanto c'è qb
QB era apparsa tra il febbraio 2002 e il gennaio 2004.
L'idea era di usare la rete per lanciare spunti di riflessione sull'architettura - ma non solo quella - contemporanea verso gli studenti.
I destinatari erano gli studenti del corso, i laureandi; e poi un po' alla volta avevo cominciato a diffonderla presso i colleghi padovani e non; si trattava sempre di files pdf molto leggeri, per cui facilmente inviabili.
Nel 2008 ho riportato sul blog qb allo scopo di rimetterla in circolo (varie volte ne avevo parlato con LineadiSenso - Robert Maddalena -, a sua volta laureando con Panerari e poi collaboratore alla didattica) ma era un passaggio macchinoso. La versione grafica che ne veniva fuori non mi piaceva per nulla, troppa confusa, poco leggibile, per nulla chiara ed immediata. Non avendo pensato successivamente ad un sito specifico per qb, quel blog non l'ho più aggiornato.
Ho però inserito tutti i qb nel mio sito dal quale sono liberamente scaricabili (non ho idea se e quanta gente abbia scaricato o scarichi quei files). [...]
Di qb - forse la prima e-zine ideata all’interno di un corso universitario - ne ho parlato anche con Nicola Bergamin anch’egli, come Julian Adda, collaboratore di Claudio Panerari.



Salvatore D'Agostino
«Noi aderiamo al programma: “Spostate le idee, non le persone”. (Motto popolare pendolare).»1
Spostare le idee, non le persone” potrebbe essere una frase pronunciata da Tim Lee Berners, sintesi perfetta dell’era dell’informatica.
Chi fu l’ideatore di questo motto e che senso gli avevate attribuito? 

Nicola Bergamin Il motto era di Claudio Panerari, non so se l'avesse copiato, almeno non coscientemente, altrimenti avrebbe riportato l'autore.
Il senso era, da un lato, di cercare di utilizzare qualsiasi strumento di comunicazione per favorire la didattica e promuovere la nostra attività all'interno e all'esterno della facoltà, dall'altro, Claudio diceva agli studenti che dovevano essere come i nomadi e quindi nelle loro peregrinazioni verso la facoltà portarsi dietro tutto l'occorrente per studiare, lavorare, mostrare e dimostrare - cosa che non sempre accadeva - l'adesione alla pratica di spostare le idee. Nella realtà significava sostanzialmente evitare dimenticanze e le conseguenti perdite di tempo. 

Julian Adda L’ideatore fu Claudio Panerari stesso, almeno così ricordo. Avevamo lezione una volta a settimana, ci si trovava in facoltà. Quasi ogni volta lui arrivava con una nuova idea da sviluppare, per costruire attività che coinvolgessero sia gli studenti che noi gruppo di collaboratori. Un bel giorno arrivò con questa idea del web magazine, sviluppando ulteriormente la bozza che aveva stilato nel 2000 e relazionato al DPA dello IUAV. Gettava le idee sul tavolo, a disposizione anche dei nostri interessi personali.
Il web magazine era nato dall’associazione di due considerazioni:

una, la propagazione di teoria (architettonica, filosofica, antropologica) in pillole (probabilmente ora avrebbe detto: via Twitter, in 140 battute), che prendeva spunto da un’idea di Roberto Masiero, che all’epoca credo tenesse un corso di estetica;

due, la consapevolezza che il pendolarismo diffuso tra gli studenti generasse enormi perdite di tempo, e che sarebbe stato più sensato spostare le idee – forse oggi potremmo dire le informazioni – piuttosto che le persone fisiche.

Io gli davo quest’ultimo senso: era più facile preparare, una volta alla settimana, in mezza giornata un numero di qb ed inviarlo a 50, 100 persone, e seminare idee, piuttosto che radunare le stesse 100 persone una volta al mese e parlar loro di quattro idee per qb, tenere lezione, fare revisioni.
La produzione di qb in seguito ha comunque generato anche delle comunicazioni specifiche, tenute all'interno del corso, su alcuni temi di architettura e letteratura che consideravamo particolarmente interessanti.

Il motto di Claudio Panerari mi ha ricordato questa riflessione di Gian Antonio Stella:
«L’imprenditore in teoria dovrebbe cercare la localizzazione ottimale. Macché: quando casa sua non è più la localizzazione ottimale della minuteria metallica, il veneto non ci pensa un attimo a spostarsi. Non di casa, però: cambia settore. Il suo obiettivo è restare dove sta, nel suo bel capannone dietro casa, facendo la cosa al momento più conveniente.»2
NB Claudio era un migrante, nato a Bolzano da famiglia di origine mantovane, trasferita, durante il ventennio in Alto Adige (o Sud Tirolo tanto per non urtare la sensibilità di nessuno) e del Nord Est subiva il fascino, anche se in maniera disincantata; rileggendo alcune sue comunicazioni, una mi ha fatto sorridere, dopo un'articolata elencazione dei problemi riguardo alla didattica ed in generale alla produttività del gruppo di lavoro, terminava dicendo: «Concludo con una esortazione forte: Bestie, lavorate! che nell'economia del NE da normalmente ottimi risultati».
Il tono era ironico, ma al tempo stesso manifestava la consapevolezza di come il modello di riferimento richiedesse notevoli sacrifici.
Ritornando alla movimentazione di idee e all'imprenditore veneto, per Claudio il problema non era fare la cosa più conveniente, ma comunicarla nella maniera più efficace, sia all'interno che all'esterno della Facoltà, sempre alla ricerca di una possibilità di sperimentare concretamente le elaborazioni teoriche sviluppate in facoltà, altrimenti destinate a diventare sterili speculazioni.

JA Immagino che vada distinta un’attività imprenditoriale fisica rispetto alle attività intellettuali tipiche di un’università, che si possono realizzare con uno spostamento fisico parziale, se non nullo. E credo che Stella forzi un po’ la mano: l’atteggiamento da lui citato funzionava negli anni 70', 80', quando il mondo correvo verso il Nordest; ma dagli anni 90' in poi molti imprenditori hanno spostato l’attività (salvo tornare quando si sono resi conto che comunque qui c’era e c’è la qualità).
Trovo molto significativo il titolo che quest’anno ha il Festival Città Impresa 2011Far viaggiare le idee
Leggo: «Nella sua quarta edizione il Festival si propone di mettere al centro il grande tema delle infrastrutture e delle reti (fisiche e immateriali) […] per far viaggiare le idee e le merci delle nuove industrie creative».
Confronto e scambio per far sviluppare le idee: questo interessava a Panerari, e per il confronto e lo scambio non occorreva necessariamente spostarsi fisicamente.

La frase di Nicola «Claudio era un migrante, nato a Bolzano da famiglia di origine mantovane» mi ha fatto venire in mente una piece di Marco Paolini:
«Scusi dov’è il Sile?» Domando a una bionda svampita di Zeriolo, a metà strada fra Castelfranco e Treviso. «Deve essere verso Bassano», risponde incerta, e mi indica la direzione opposta al fiume, che, invece, è dietro l’angolo. Per capire che rapporto c’è fra gli abitanti e il territorio, è buona cosa uscire dalla via maestra e chiedere informazioni a caso. Il test migliore è quello di domandare delle acque. Sono sempre le prime ad essere dimenticate. [...] Poi sbuca un operaio, questo è veneto sicuro. «Scusi dov’è il Ponte?» Ma neanche lui sa dov’è. A Zeriolo lui ci sta per sgobbare in capannone, mica per guardare il panorama, «non so de qua», è di Santa Brigida, sette chilometri più in là. Ma in Veneto, per «non essere de cuà» basta sette chilometri più in là”.3


In questi dieci anni è cambiato il panorama mentale e fisico del Veneto? 

NB Ho l'impressione che in questi dieci anni non ci sia un solo posto al mondo in cui non sia cambiato il panorama fisico e culturale. Il Veneto non fa eccezione. Tanto per continuare a citare Paolini, credo nella quarta di copertina del suo libro L'anno passato vi siano almeno 20 modi di chiedere «Di dove sei?» nei diversi dialetti veneti.

JA L'esempio di Paolini mi solleva una questione: ma siamo sicuri che tutti sappiano leggere il territorio dove vivono?
E mi spiego: una persona, abituata per motivi di lavoro, ad attraversare il nostro territorio, qualche mese fa mi ha raccontato che per andare da Padova alla sua città di residenza (a circa 40 km da Padova) hanno realizzato una nuova strada «tutta dritta, sali in tangenziale qui a Padova da via Vicenza, ed esci a X, andando sempre dritto».
Tutta dritta? Mi chiedo.
Significa che hanno costruito una nuova strada che attraversa la campagna veneta?
Un'altra, l'ennesima strada?
Tralasciando il rimpallo di domande/risposte intermedio, la conclusione alla quale sono arrivato è che questa persona ha imboccato tre diversi tratti stradali (due tangenziali, una superstrada), le quali sono connesse tra di loro da grumi di svincoli, credendo però di stare sempre sulla medesima "strada". Il primo tratto andava verso nord, il secondo verso est, il terzo ancora verso nord, quindi con evidenti modifiche della direzione; almeno, questo è quello che io ritenevo evidente, ma che evidentemente (scusatemi il gioco di parole) non lo è per altri.
La conclusione che ne traggo è un'ulteriore domanda: prima ancora della misura del cambiamento dell'immagine mentale del territorio che abitiamo, in che modo conosciamo il territorio che attraversiamo?
Evidentemente non basta attraversare (in auto) il territorio per conoscerlo: appena fuori dal proprio piccolo ambito, il mondo comunque ci rimane ignoto. E il piccolo ambito che conosciamo può essere reticolare, una serie di grumi collegati da filamenti stradali, oltre i quali non vediamo nulla.

NB No, forse la risposta ha confuso sinteticità con generalità, intendevo dire che il tempo comporta necessariamente un cambiamento, e questo non sarà ovviamente solo fisico ma anche della percezione di quella fisicità, le "cose" esistono in quanto qualcuno le rappresenta. Calandomi nello specifico veneto, ciò che continua a stupirmi è una sorta di coesistenza di universi paralleli, se da un lato è vero che continuiamo a consumare territorio, tre nuove strade, centri commerciali e residenziali, dall'altro continua comunque a esistere e coesistere un'altra natura relativamente poco antropizzata; tra la statale che collega Padova a Vicenza e il corso del Bacchiglione, che attraversa entrambe le città, ci sono in media meno di 4 km di distanza, in un caso è possibile percorrere 30 km senza praticamente uscire da un centro abitato nell'altro senza entrarne. Il tempo cambia l'ambiente e cambia la nostra percezione di questo, che però non potrà mai essere univoca, essendo infiniti noi e infiniti (quasi) gli ambienti, da ciò l'impossibilità di definire in maniera univoca, appunto, il Veneto, ce ne sono tanti almeno quanti i modi per chiedere «da dove vieni?» 

«[...] oltre i quali non vediamo nulla», Julian, il tuo finale si ricollega a una riflessione del geografo Franco Farinelli:
«Prova ne sia appunto il nome del Somìa. Il contadino che abitava ai suoi piedi non ne conosceva il nome perché quella montagna faceva parte del suo luogo, dell'ambito di cui interno egli viveva e lavorava e che costituiva tutto il suo mondo. Non essendovi per lui un'altra montagna, non avendo necessità di distinguere perciò tra un monte e l'altro, per lui il Somìa non era una montagna, ma la montagna, l'unica possibile.»4
Riprendendo un'analisi del CENSIS del 2008 dove si evidenziava che in Italia:
«Si vive in piccoli centri ma, sempre più, all'interno di "grandi contenitori metropolitani" dove l'urbanizzazione continua salda centinaia di comuni vicini. Anche in queste conurbazioni (quella milanese-lombarda, veneta, Roma e l'area napoletana), come nel resto del territorio, il radicamento territoriale resta molto forte.»5
Secondo una ricerca condotta dallo scienziato Albert-László Barabási - pubblicato sulla rivista Nature6 - monitorando un campione di centomila persone si è dimostrato che quest'ultimi ripercorrono sempre gli stessi tragitti con qualche sporadica lunga deviazione. Dov'è ubicata la globalizzazione? 

NB Non sono un antropologo, ma credo ormai che il termine globalizzazione interessi quasi esclusivamente dei processi più economici che culturali (anche se non sono poi così sicuro che tali processi non finiscano per coincidere) forse Glocal è comunque ciò che caratterizza l'Europa e l'Italia in particolare.
Come diceva una pubblicità del Gazzettino di qualche anno fa, la differenza tra il Quotidiano più letto dai Veneti e il NY Times è che nel primo puoi trovare anche la cronaca locale; per ritornare alla ricerca sui percorsi forse varrebbe la pena di chiedersi cosa fa la gente durante il tragitto, se e quale radio ascolta, se è collegata a qualche social network o similaria, se legge un libro o un giornale, se qualche volta guarda il paesaggio che quotidianamente attraversa.
In ogni caso il contatto o la connessione a un ambiente, è sempre virtuale o comunque mediata e indiretta, magari solo dal finestrino della nostra auto.

JA
Non credo sia da confondere il pendolarismo con la globalizzazione, si tratta di due fenomeni diversi, in una certa misura paralleli. Non vedo globalizzazione in quei tragitti casa – lavoro che si ripetono sempre uguali, che quarant'anni fa si esaurivano nell'ambito della città e che ora in una città frammentata come il nord est assumono certe lunghezze spazio-temporali, nella Randstad altre, in una città metropolitana altri ancora. Mi sembra che la globalizzazione non sia ubicata da nessuna parte, che sia qui ben vicina a noi, che ci accompagni giorno dopo giorno, nella ripetizione modulare dei marchi multinazionali nei parchi commerciali e della GDO nei centri commerciali che si ripetono cadenzati lunghi le vie di comunicazione, nelle somiglianze di ogni centro storico dove, mescolati alle insegne tradizionali, si trovano quelle delle grandi catene, nella standardizzazione personalizzata dell'offerta ai consumi della vita contemporanea. Viviamo in un grande arcipelago, dove le isole della globalizzazione stanno fianco fianco agli isolotti della localizzazione, uniti/separati gli uni dagli altri dalle infrastrutture di collegamento, che siano quelle lineari/materiali, di asfalto o ferro, o quelle puntiformi/astratte costituite da aeroporti e corridoi del cielo. 

Riporto il ‘primo punto uno’ obiettivo di Claudio Panerari per la proposta di una rivista Web al DPA del 5 febbraio 2000:
«1.1.
L’opportunità di dare vita ad una rivista w e b nasce da due bisogni diversi:
- la necessità di rendere pubbliche e diffondere le idee che si sviluppano nella scuola;
- il desiderio di iniziare ad esplorare le potenzialità di un mezzo, che promette di abbattere le barriere della distribuzione e di interagire con i destinatari del messaggio.»
NB Claudio sosteneva, giustamente, che la scuola è il luogo dove elaborare teorie e sviluppare ricerche, che però devono assolutamente trovare il modo di essere sperimentate pena l'inaridimento delle idee e la conseguente autoreferenzialità della scuola stessa, credo anche Louis Kahn dicesse qualche cosa di simile parlando dell'università come luogo dell'architettura e della città come luogo della professione (cito a memoria).
La diffusione non era quindi intesa solamente verso altre scuole o altri ricercatori, ma soprattutto verso quel mondo "reale" che sembrava non aver bisogno di architettura, accontendandosi sempre di edilizia.

JA
Condivido quello che scrive Nicola. 

Julian, dal 30 agosto 2005 gestisci un blog personale Spazio Bianco; sei tra i pionieri dei blogger architetti. A che cosa serve un blog per un architetto?

JA Spazio bianco è nato con l'idea di approfittare del mio lavoro come corrispondente del Giornale dell'Architettura per amplificare l'ambito di destinazione, e quindi di lettura, di quello che scrivevo, cogliendo l'occasione della realizzazione del monumento Memoria e Luce di Libeskind, inaugurato ai primi di settembre 2005 e che all'epoca ha animato parecchie discussioni in città. Nel mio caso, quindi, serviva da specchio ad un lavoro di cronaca architettonica che veniva svolta sul mezzo cartaceo, partendo dalla considerazione che di fronte ad una notizia degna di nota che appare sulla carta stampata, ve ne sono cento che scompaiono. L'idea era di navigare tra quelle 100 e pescarne delle altre.
L'idea era buona, la realizzazione, lo riconosco, pessima: difficile fare un buon blog da soli, ed in questo periodo non sono mai riuscito a costruire un gruppo di amici con lo spirito adatto al tema.
In generale, credo che un blog per un architetto scritto da un architetto, serva ad ampliare ulteriormente la possibilità di riflessione e scambio di opinioni, partendo da quelle notizie che altrimenti svaniscono, per arrivare fino ai risvolti tragicomici della professione: in fin dei conti, un blog è un diario, e ai diari si affidano anche le riflessioni amare sulla vita quotidiana. 

Nicola, a che cosa serve il Web per un architetto?

NB Se la TV potrebbe essere una finestra sul mondo aperta dal salotto di casa, il WEB è un'immensa biblioteca cui attingere informazioni e conoscenze, sia tecniche che teoriche, come per una biblioteca ciò che trovi non sempre coincide con quello che cercavi, ma considero questa un'opportunità piuttosto che un imprevisto.
Anche la veicolazione delle immagini è straordinaria e straordinariamente rapida, la possibilità quasi per tutti di far conoscere il proprio lavoro è un'opportunità praticamente inesistente fino a dieci anni fa. Il problema è quello dell'utilizzo consapevole del mezzo, considerando che non siamo in grado di verificare completamente quanto e come i "dati" inseriti in rete vengano ri-elaborati.


25 luglio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 qb1, 28 febbraio 2002. Qui
2 Gian Antonio Stella, Schei. Dal boom alla rivolta: il mitico nordest. Milano, Baldini&Castoldi, 1996, p. 70.
3 Marco Paolini (cita liberamente da Paolo Rumiz, La secessione leggera. Dove nasce la rabbia del profondo Nord, Roma, Editori Riuniti, 1997, p.42) Bestiario Veneto. Parole mate, Biblioteca dell’immagine, 1999, p.73
4 Franco Farinelli, Geografia, Einaudi, 2003, p. 40
5 Agenzia ripresa dal sito Piccoli Comuni, CENSIS - METÀ ITALIANI VIVE IN COMUNI CON MENO DI 20MILA ABITANTI, 5 giugno 2008. Link
6 Studio condotto insieme a Marta C. González e César A. Hidalgo, Understanding individual human mobility patterns, Nature, n. 453, 5 giugno 2008. Link

Scheda storica:
qb è stata proposta al DPA dello IUAV da Claudio Panerari e Roberto Grossa il 5 febbraio 2000. Qui per approfondire. Edita dal 2 febbraio 2002 al 6 gennaio 2004. Sono stati pubblicati 71 numeri. Qui l'archivio online.

21 luglio 2011

...a proposito del Project Heracles, l'Aquila e intersections...

di Salvatore D'Agostino

...Project Heracles,
 
Da oggi fino al 4 agosto alla galleria The Gopher Hole, 350 old street di Londra saranno esposte e messe a disposizione le cartoline del Project Heracles, prendendo spunto da uno scambio di email tra i filosofi Lieven De Cauter e Dieter Lesage si è voluto porre l’attenzione sulla geografia politica di due continenti Europa e Africa, vicini quasi a toccarsi, che nella realtà si fronteggiano limitandosi agli scambi economici.


18 luglio 2011

0048 [MONDOBLOG] IUAV Web


Il prossimo dialogo a tre con Julian Adda e Nicola Bergamin si è sviluppato attraverso mail dopo il racconto del 'blog involontario di Francesco Tentori' fatto da Vinicio Bonometto.
Tentori, dal 2000 al 2003 (circa) utilizzò le pagine del sito dello IUAV per ampliare il dialogo con gli studenti oltre le lezioni (pagine che abbiamo forse recuperato).
Il 5 febbraio dello stesso anno Claudio Panerari e Roberto Grossa portarono al consiglio del DPA (Dipartimento Progettazione Architettonica) la bozza per il finanziamento di una rivista Web edita dallo IUAV, il progetto non fu mai approvato.
Nel febbraio 2002 Claudio Panerari, con l’aiuto di Roberto Masiero, diede vita a una rivista ‘informale’, non istituzionale, edita attraverso mail dal nome qb (quanto basta).

Riporto il primo numero:
(visualizza/scarica l'originale)


01. L’architetto è un muratore che sa di latino.
(Adolf Loos)

02. La teoria va bene. Costruire è meglio.
(Rudolph Schindler)

I colleghi storico/teorici ci stimolano a riflettere sul nostro progetto. Le critiche corrette vanno accettate e possono diventare occasione per un balzo in avanti. All’osservazione 01. è però facilmente contrapponibile la risposta 02. (che ho scoperto dopo le tesi).

L’idea di un foglio web gira da molto. Ne parleremo in qb.1. Sarei felice di avere vostre osservazioni informali, indirizzate naturalmente a tutti.

La storia Web dell'architettura italiana si arricchisce di un episodio d'incomunicabilità tra i ricercatori più intuitivi e i dirigenti delle istituzioni. Posso immaginare la faccia di chi doveva approvare il progetto e il gusto di dire no ai giovani irrequieti a favore di una comoda conferenza o rivista accademica. Di seguito riporto alcuni stralci della meticolosa bozza (con dettagliati preventivi di spesa) presentata dai due ricercatori.
Se la mancata rivista Web dello IUAV rappresenta un passaggio particolare per questa non storia del Web italiano, dagli spunti della bozza emerge una visione del Web molto timida, utilitaristica e senza una spinta - anche azzardata - verso il futuro, preoccupata più della lentezza della connessione di quel periodo che del suo potenziale. Conserva una visione legata al territorio, all'emancipazione culturale dello IUAV nei confronti degli altri atenei italiani, al nord-est e forse - per assurdo parlando di Web - chiusa verso un orgoglio Veneto/veneziano.
Nei fatti lo IUAV non avrà mai una storia legata a una rivista Web.
(visualizza/scarica l'originale)

PROPOSTA PER UNA RIVISTA WEB DEL DPA

Obiettivi
1.1. L’opportunità di dare vita ad una rivista w e b nasce da due bisogni diversi: - la necessità di rendere pubbliche e diffondere le idee che si sviluppano nella scuola;

- il desiderio di iniziare ad esplorare le potenzialità di un mezzo, che promette di abbattere le barriere della distribuzione e di interagire con i destinatari del messaggio.

1.2. La nostra scuola ha fatto molteplici tentativi per uscire dall’isolamento editoriale a cui la condanna la relativa arretratezza del nordest italiano (non dimentichiamo che anche ai tempi del massimo splendore, i suoi prodotti venivano pubblicati da editori secondari), ma i risultati sono stati spesso inferiori alle speranze.

Viceversa, quando un veneziano riesce a controllare uno strumento di diffusione nazionale ed internazionale, è quasi necessariamente costretto a prendere le distanze dalle sue origini, per non perdere contatto con la nuova dimensione in cui è inserito (v. Casabella).

[…]

1.5. Utilizzare il web come strumento per arricchire l’offerta di servizi del Dipartimento può essere un’idea da non sottovalutare. Il w e b attualmente è inadeguato rispetto alle promesse: è lento, costoso, confuso. L’accesso ai siti promettenti è spesso casuale ed i dati che se ne riportano sono a volte inutili e quasi sempre incompleti.

1.6. Tuttavia, sono vicini rapidi mutamenti tecnologici: la banda larga consentirà di avvicinarsi molto ad un libro elettronico che sia comparabile nell’uso al libro di carta. Soprattutto, si è scommesso così tanto denaro sul w e b, che i tentativi per trarne qualcosa di utile saranno incessanti e presumibilmente efficaci.

Infine, l’interesse per l’oggetto è destinato a sviluppare le sue potenzialità nascoste: nei prossimi anni il nostro modo di comunicare e progettare si modificherà almeno quanto si è trasformato nell’ultimo decennio con l’introduzione del computer nella progettazione.

1.7. Il primo obiettivo per una rivista web consiste allora nel rovesciare in positivo gli elementi negativi della rete:

- rendere l’utente un lettore fedele;

- assicurare un aggiornamento frequente e regolare del sito;

- non aspettare la ricerca dell’utente, ma avvisarlo dell’aggiornamento del sito;

- permettere all’utente la navigazione tra siti di contenuto analogo;

- fornire documentazioni brevi ed accurate.

2. Forma


2.1. La forma attuale del w e b costringe ad alcune limitazioni inusuali nell’università:

- i testi devono essere stringati, perché i video attuali appesantiscono molto la lettura ed impediscono i rimandi tra punti diversi del testo, che sono normali nella stampa su carta;

- i testi complessi debbono essere presentati come approfondimenti successivi e facoltativi (in

sequenza: abstract/testo completo/note);

- la forma della pagina ed i caratteri non possono essere impostati in modo definitivo, ma dipendono dal video e dal computer dell’utente: l’impaginazione segue quindi regole diverse rispetto a quelle dei testi a stampa;

- la quantità di informazioni inviate (soprattutto nelle immagini) non può essere eccessiva, per non allungare troppo il tempo di ricezione; si è quindi costretti a cercare un compromesso tra qualità dell’immagine e capacità delle linee di comunicazione;

- un sito w e b non è autorevole ed accessibile se non traduce in inglese almeno i testi principali.

[...]

4.5. Modo di lavoro
Per la redazione, lavorare in rete significa accettare il principio: “spostate le idee, non le persone” non solo come principio, opportunistico (per evitare chilometri di strada), ma anche per verificare la potenzialità di interattività della rete. La redazione potrebbe riunirsi una volta al mese per inviare in linea il nuovo numero, verificare i numeri in lavorazione e proporre nuovi argomenti. La responsabilità scientifica del numero dovrebbe essere assunta collettivamente dalla redazione, mentre il singolo redattore dovrebbe essere responsabile solo dei contatti con gli autori, della raccolta e del confezionamento dei materiali. Le comunicazioni interne alla redazione (e possibilmente anche quelle con gli autori) dovrebbero essere affidate in primo luogo alla e -mail e telefono.

Uno sforzo analogo dovrebbe essere richiesto agli autori. I contributi dovrebbero essere forniti come semielaborati in rete e gli autori dovrebbero essere disponibili ad accettare il dibattito in rete.

Nel prossimo MONDOBLOG racconterò l’esperienza di due anni di qb e non solo. A proposito di IUAV vi segnalo che dal 2008, direi per fortuna, alcuni contenuti dei Workshop estivi (giugno-luglio) sono riportati in blog non istituzionali eccoli: 08, 09, 10 e 11.

18 luglio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG

14 luglio 2011

0018 [A-B USO] Beniamino Servino | Un luogo perduto



È chiamata piazza. Piazza Carlo III. Piazza? Ma se dentro c’entra tutta una piccola città. Isernia, per esempio, 20 mila abitanti, ci sta tutta. Ma non i volumi, tutta la città con le strade le piazze la villa comunale.

Ci siete mai andati? [non a Isernia, a piazza Carlo III (ndr Caserta)] Già, lì ci si va apposta. Non è che la incontri camminando per la città. Ci capiti perché ci vuoi andare.

Io ci vado ogni tanto in bicicletta.

Il titolo di queste note è UN LUOGO PERDUTO, ma sarebbe più adatto IL LUOGO DELLA FOLLIA.

11 luglio 2011

0047 [MONDOBLOG] Verifica dei poteri 2.0: archphoto

di Salvatore D'Agostino

Il 24 marzo 2011 il blog Nazione Indiana ha iniziato un’indagine sulle dinamiche letterarie e critiche che si sono sviluppate in rete negli ultimi dieci anni, chiamandola Verifica dei poteri 2.0; una ricostruzione storica a cura di Francesco Guglieri e Michele Sisto è sottoposta al vaglio di diversi protagonisti del Web e non.

L’inchiesta inizia con questa citazione del 1960 di Franco Fortini:
«I luoghi dell’opinione e del gusto letterario sono stati sorpresi nel giro di pochi anni dall’insorgere ed estendersi di forme per noi nuove di industria della cultura che hanno mutato aspetto e funzione ai tradizionali organi di mediazione fra scrittori e pubblico, come l’editoria, le librerie, i giornali, le riviste, i gruppi politici e d’opinione. Alla motorizzazione la società letteraria ha resistito anche meno dei nostri storici centri urbani.»1
Quest’intervista a Emanuele Piccardo, direttore editoriale di archphoto, ripercorre una tra le tappe delle nuove forme di comunicazione degli ultimi dieci anni dell’architettura italiana.



Salvatore D'Agostino 
«Ieri ricevo, come molti, la newsletter di Domusweb in cui con grande enfasi si parla delle novità grafiche bellissime, contenuti bla, bla, bla... spinto dalla curiosità vado a cliccare e devo dire che un po' di scoramento mi è preso."[...] negli ultimi sei mesi abbiamo lavorato a un sito completamente nuovo che ridefinisce la presenza di Domus sul web. Sarà un inizio completamente nuovo e introdurrà una rinnovata e bellissima linea grafica, una serie di nuovi contenuti, collaboratori e rubriche"Così scrive il bravo Joseph Grima. Però qualche dubbio mi viene navigando nel sito, dopo dieci anni di frequentazioni web con Archphoto e con gli amici di Channelbeta, noi che siamo stati i primi a mettere gallery di immagini, video interviste, video alle architetture. Poi tutti ci hanno copiato a partire da Europaconcorsi, Exibart ecc... noi però eravamo già orientati verso l'uso totale dei media già nel 2002.»2
Inizia così una tua recente nota su Facebook. Pensi che Archphoto sia stata l’avanguardia del Web in Italia? 

Emanuele Piccardo Il web che si occupa di architettura in Italia nasce nel 1995 con la creazione, da parte del gruppo Dada, del portale architettura.it (Arch'it) gestito da Marco Brizzi (ndr dal 1998). Successivamente nascono Antithesi, Architecture.it (ndr Web log non più attivo),  Archphoto e Channelbeta.
A fine 2001 insieme a Luca Mori fondiamo archphoto.it , effettivamente attivo da gennaio 2002, contrariamente a quanto si pensa non è un sito di architettura e fotografia. Chi ha inventato il nome, da me condiviso, ben esprimeva la mia persona ovvero un architetto-fotografo che nel tempo non farà il progettista ma farà progetti culturali.
Dopo una breve frequentazione come collaboratore di arch'it3, mi sono reso conto che non mi soddisfaceva. Gli articoli trattavano i temi più disparati così ho iniziato a pensare che c'era spazio per fare una rivista diversa, tematica e che producesse contenuti, non limitandosi solamente a mettere articoli senza una linea critica. Produrre per me significa seguire il dibattito e rappresentarlo, attraverso il video, per il "web people" che non può assistere a mostre o eventi o visitare architetture e renderlo visibile online. Come già affermato, in una recente intervista da Gianlugi D'Angelo su questo blog, il web in quegli anni era archeologico, i siti si aggiornavano con Dreamweaver e tutto era abbastanza complicato non c'erano né blogspot né wordpress.
Archphoto dunque nasce per raccontare l'architettura non solo attraverso i progetti e le riflessioni teoriche ma anche attraverso le discipline ad essa affini come sociologia urbana, fotografia, cinema e arte contemporanea. Fin dall'inizio io, Luca Mori e poi Luisa Siotto ragioniamo sulle modalità di presentazione dei progetti, sull'inserimento dei video, non c'era lo streaming gratuito per cui erano salvati rigorosamente in Windows Media Player o Real Player divisi per isdn e 56K, caricandoli sul server del sito, con l'obiettivo di renderli fruibili a tutti. Siamo stati la prima webzine italiana di architettura ad avere i video e i contributi audio.
Inoltre ho iniziato a usare l'intervista video come strumento per fare critica.
Ciò mi ha consentito di produrre una quantità considerevole di video, solo in parte messi in rete (visibili qui).
Quindi sì Archphoto è stata all'avanguardia perché produceva cultura, non solo nella dimensione virtuale ma anche nei territori organizzando conferenze e seminari (come la biennale off del 2002 "14_02 incontri per l'architettura italiana" che diede origine ad un numero monografico di Parametro). Modalità che continuano anche oggi. Poi con l'avvento di wordpress tutto è divenuto più facile, dal 2007 Archphoto è su wordpress grazie al lavoro di Miki Fossati che ha modificato i parametri dati per rifare con wordpress stesso la grafica dell'"archeologico" Archphoto. Ciò smentisce chi, ignorando come funziona il web, afferma che wordpress è limitato e non consente modifiche non è vero ed Archphoto ne è la dimostrazione lampante (ndr con riferimento alle dichiazioni di Fabrizio Gallanti di Abitare su WA).
 

A vent’anni dal World Wild Web e dieci da archphoto. Non credi che inserire gallery di foto, video interviste e news siano state semplici trasposizioni dell’uso comune del Web?

Visto con gli occhi di oggi la risposta è ovvia: sì.
Infatti le gallery di foto riguardano il settore dedicato alla fotografia, io mi riferivo però all'inserimento delle immagini negli articoli. Noi oggi possiamo inserire video e foto contemporaneamente all'interno della struttura grafica di archphoto o di una piattaforma gratuita. La tecnologia e le opportunità sono mutate e si sono evolute. Quindi sì è uso comune. Affermare che sia "una semplice trasposizione" non la condivido perché occorre contestualizzare storicamente i fenomeni altrimenti si rischia di essere superficiali. Però non confondiamo una rivista online di architettura con un blog, nascono da presupposti differenti.


Mi spiego meglio. Non mettevo in discussione la vostra azione pioneristica – come ad esempio l’uso delle video-interviste – e immagino le difficoltà tecniche e i tempi biblici per caricare un video. Siete stati intuitivi e quindi bravi.
Ti chiedevo vi è bastato introdurre questi nuovi strumenti d’informazione (ripeto bravi per l’arguzia) per essere definiti una rivista di architettura digitale d‘avanguardia? 

L'avanguardia consiste nell'anticipare azioni e comportamenti che poi verranno fatti da tutti.  Archphoto ha anticipato modalità di rappresentazione visiva dei contenuti inerenti alle arti visive che poi sono divenute "normali". Europaconcorsi all'inizio non aveva le gallery di progetti, Exibart non aveva i video; magari non siamo stati determinanti però... La vera sfida è innovare attraverso le idee, siti che esistevano negli anni duemila sono scomparsi quindi ci vuole una certa resistenza per sopravvivere.
Ad esempio siamo stati i primi nel 2008 a creare un aggregatore di notizie sull'architettura e sul design "The city of blogs" (e tu ci avevi intervistato), che il buon Gianlugi D'Angelo ne aveva rimosso l'esistenza (ndr confronta qui), nonostante fosse venuto al nostro stand al congresso UIA di Torino 2008.
Nello stesso anno abbiamo fatto lo streaming video in diretta dal padiglione americano ai giardini della Biennale di Venezia, non con una connessione wi-fi o in fibra ma con una pennetta vodafone, quindi con sbalzi del segnale di ricezione. Oggi Archphoto ha un ruolo di avanguardia culturale nel senso che il livello di approfondimento critico è molto più selettivo del passato, soprattutto rimane una forte volontà nel ricercare nuovi autori (architetti, artisti, intellettuali) per costruire un network in progress.

Io distinguerei tra l’avanguardia e i pionieri nel Web.
L’avanguardia sono i codici ideati da Tim Berners-Lee e testati il 6 agosto del 1991.
I pionieri chi elabora i codici di Tim Berners-Lee creando nuove città nell’infinito pianeta Web.
A proposito di The city of blogs perché dopo il congresso UIA il progetto fu sospeso?

Giusta osservazione. Anche in questo caso contestualizzo "avanguardia" in quanto le mie competenze sono culturali e non informatiche com'è giusto che sia. Compito di chi cura e gestisce un sito è proporre temi interessanti ai suoi lettori che siano espressione di un concetto politico (in senso lato) dell'architettura in cui sia chiaro l'obiettivo. Deve esserci una totale unicità di visione tra l'informatico e il gestore del sito, se una delle due figure è latitante non funziona.
Per cui intendo avanguardia le modalità di concezione di un sito nell'ambito culturale, ovvero quello che riesco a controllare. Poi dal 2007 con la sinergia attuata con Miki Fossati c'è stata un'evoluzione ulteriore e si è rafforzato l'insieme contenuto+struttura. Ciò è potuto succedere perché nel frattempo le opportunità e il contesto tecnologico l'hanno consentito. Oggi è più facile fare un sito, hai piattaforme gratuite con grafiche dignitose, sei tu che gestisci tutto.
The city of blogs l'abbiamo sospeso e messo offline, forse verrà riattivato con nuove modalità, un'idea in merito c'è, vedremo...

«Dipenderà quindi da noi se, nel futuro, vorremmo fare di questi mezzi, in nome di una ideologia della dematerializzazione universale, un uso alienante, oppure farne invece, come io ritengo che si dovrebbe, un uso che sfrutti al massimo il formidabile potenziale di interfaccia conoscitiva, progettuale e creativa dell’uomo con il mondo. Non una fuga mundi, ma una creatio mundi.»4
Quest’invito di Tomás Maldonado, scritto circa vent’anni fa, stride con l’idea e l’uso quasi infantile della tecnologia in Italia. L’auspicata creatio mundi si è arenata in un default mundi (perdona l’accostamento improprio delle due parole).
Da default aspettiamo passivi le nuove funzioni. Nel caso delle riviste digitali di architettura, in questi vent’anni, non c’è stata nessuna Webzine in grado di dialogare con le testate storiche italiane (apprezzate all’estero) e imporsi ‘autorevolmente’ fuori dal contesto italiano.
Perché? 

A proposito di avanguardia il pensiero di Maldonado lo è!
Domanda difficile. Come fai a dialogare con riviste come Domus e Casabella se ti poni in uno spazio alternativo a loro, se proponi un diverso modo di interfacciarsi con il progetto usando strumenti e linguaggi diversi?
Oggi il web è il mezzo più veloce per diffondere le notizie, è un infinito archivio che raccoglie dati su persone, fatti, eventi in cui non hai un limite di tempo. Nel caso dell'architettura è fantastico, puoi aggiornare il sito in ogni momento a seconda delle esigenze senza avere una scadenza. Però sono importanti sia le riviste cartacee sia quelle online. Sul cartaceo puoi fare approfondimenti teorico-critici che non puoi fare nel web, per questo abbiamo deciso di fare archphoto 2.0 cartacea, anche per prendere in giro quelli che parlano di web 2.0., rafforzando la tematizzazione e ponendosi contro un certo modo di fare la rivista. Oggi le riviste italiane non hanno più quella capacità di fare critica come nel moderno o negli anni sessanta laddove riviste come Domus e Casabella rompevano con la loro tradizione per assimilare contenuti e forme grafiche simili alle fanzine degli Archigram o alle autopubblicazioni degli architetti e degli artisti.
L'altra ragione riguarda il provincialismo delle webzine italiane che sono, per evidenti motivi economici, in italiano senza traduzione in altre lingue. Questo determina esclusione perché non dialoghi con il resto del mondo.
 

Non credo che Internet sia un archivio, ma non importa.
Perché senti l’esigenza di creare una rivista ‘contro’ e non ideare una rivista con un carattere autonomo?

Internet per me e molti altri è un archivio di parole, pensieri, notizie, è uno spazio come potrebbe essere una biblioteca d'idee in cui tutti contribuiscono ad implementarla. Internet è un mare di gesti nei confronti dell'altro, fornendogli un punto di vista fatto di molti punti di vista, non m'interessa il pensiero di un architetto che apre un blog e scrive ciò che gli passa per la mente. M'interessa un architetto che fa delle riflessioni coerenti con il proprio tema di ricerca, se ce l'ha, un architetto che esca dal proprio ego; capisco di chiedere troppo. Internet è un modo alternativo di fare cultura, dare spazio e visibilità a chi produce ricerche interessanti che altrove non sarrebbero conosciute, in questo senso è democratico. Chiunque può mettere online le proprie idee e ricerche, sta al lettore selezionare e capire dove si annida la fuffa e dove c'è realmente competenza scientifica. Internet non è la panacea di tutti i mali, non è infallibile, se devo fare una ricerca avrò ancora bisogno di consultare un libro cartaceo, toccarlo, sentirne l'odore. Internet è uno degli strumenti ma non deve essere l'unico, per me è necessario usare più strumenti per comprendere meglio la natura delle cose.
Per entrare nel merito della tua domanda, il sistema accademico e tradizionale della Rivista non esplora i nuovi territori dell'architettura si mantiene all'interno di un binario consolidato, insomma non rischia. L'esigenza di essere contro è manifestare un'autonomia di pensiero dalla cultura dominante, de-strutturare il linguaggio per costruirne uno nuovo così si crea un carattere autonomo. Perché solo individuando il nemico sai qual è la direzione, senza nemico non hai riferimenti. Il nemico è l'ipocrisia, la banalità, la superficialità degli intellettuali che orientano la cultura, sia essa architettonica o letteraria. Intellettuali che non hanno etica nelle loro azioni ignorandone le conseguenze sociali, ciò vale per tutte le discipline ma negli ultimi anni in particolare per l'architettura.

Niente di personale, su internet, sui blog e sul nemico mi trovi in disaccordo ma non è rilevante.
A che cosa serve una rivista digitale per un architetto?

Meno male che non condividiamo gli stessi pensieri altrimenti sarebbe una discussione noiosa. Senza il nemico c'è il "buonismo", il non prendere posizione e quindi compiere delle scelte, individuare un punto in cui mettersi
A che cosa serve una rivista cartacea/digitale per un architetto?
Dipende dall'architetto. All'architetto incapace servono entrambe per copiare il linguaggio da altre architetture, all'architetto capace serve per capire come si sviluppano le ricerche di altri architetti, artisti, sociologi ed essere aggiornato sulla riflessione critica contemporanea. Dipende dalla rivista, se prendiamo Lotus degli anni ottanta o Domus di oggi, Abitare di Italo Lupi o L'Arca, Arch'it o Architecture, Archphoto o Under-Construction (ndr sito non più visibile)...
Per il resto mi sembra di aver già risposto spiegando le motivazioni che mi hanno mosso a fondare Archphoto.
Le risposte le darà il tempo, giudice delle nostre azioni.

11 luglio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG

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Note:
1 Franco Fortini, Verifica dei poteri, in Id., Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, nuova edizione accresciuta, il Saggiatore, Milano 1969, p. 41.
2 Emanuele Piccardo, La deriva delle riviste di architettura, note di Facebook profilo personale, 3 dicembre 2010 alle ore 10.39. Qui
3 Alcuni articoli apparsi su Arch'it: 8 aprile 200125 aprile 2001 e 4 agosto 2011.
4 Tomás Maldonado, Reale e Virtuale, Milano Feltrinelli, 1993 (I ed. 1992), P. 78

Scheda storica: 
Archphoto viene registrato nel 2001 sulla piattaforma DADA fondatori Emanuele Piccardo e Luca Mori.
Il primo numero online è edito nel gennaio 2002; tema trattato Architettura e Fotografia.
Nell'estate del 2002 inizia la collaborazione con Luisa Siotto.
Nel 2003 nasce il laboratorio plug_in e si decide di far editare archphoto attraverso plug_in.
Nel 2007 Miki Fossati cura il passaggio sulla piattaforma Wordpress nell'architettura informatica attuale.
Nel marzo del 2011 nasce la rivista cartacea archphoto 2.0.

7 luglio 2011

0008 [POINTS DE VUE] Cryptome | La rivoluzione via social network in Bielorussia

di Salvatore D'Agostino
«È stato allora che abbiamo cominciato a intuire che internet stava per diventare un canale pubblicitario, come di fatto è, per designer e architetti. Ancor oggi ci sono migliaia di siti web fatti per cercare incarichi e mostrare il proprio portfolio, ma niente che sia pur lontanamente non ortodosso. L'intento di Cypherpunk era, per l'appunto, quello di contrastare alla base questa situazione». (John Young)*
Ho conosciuto il sito Cryptome leggendo l’intervista ai due fondatori e architetti Deborah Natsios e John Young nel numero di Maggio di Domus. Cryptome è un sito che raccoglie dal 1996 documenti censurati o secretati da parte dei governi di tutto il mondo esattamente dieci anni prima della nascita di WikiLeaks. Come promemoria ho creato la voce Cryptome su Wikipedia Italia.

Ieri
Cryptome ha pubblicato un reportage sulla 'rivoluzione via social network', così chiamata dai suoi sostenitori, in atto in Bielorussia poco diffusa dalla stampa mondiale e censurata dal suo governo.
Attraverso un tam tam su internet, domenica tre luglio 2011, dei manifestanti sono scesi in strada per applaudire e opporsi con questo semplice gesto pacifico contro un regime che da diciassette anni li avvilisce.
Il presidente Alexander Lukashenko ha cercato di contrastare la protesta bloccando l'accesso a Facebook, Twitter e un importante social network russo utilizzato dagli organizzatori. La polizia in borghese ha sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, arrestando decine di persone adesso detenute nel carcere di Minsk.

5 luglio 2011

0046 [MONDOBLOG] Architettura open source

di Salvatore D'Agostino
 «Il crollo delle maschere e la diffusione transnazionale delle notizie stanno testimoniando che si compie una facile profezia in Italia, al di là di ingiustificati entusiasmi primaverili: la gente si è rotta i coglioni e, se si rompe i coglioni, non è che si confronta con il televisore - va direttamente dall'unico possibile rappresentante che lo Stato di Cose può schierare di fronte ai cittadini oggi, cioè il Poliziotto. Questo atto è testimoniato. Inizia di un totale inizio una lunghissima battaglia, che è in realtà una guerra, anzi: più guerre. Si incendiano zone sovrapposte del vivere civile: le lotte per l'ambiente, per la dignità della vita, per i diritti inalienabili di un'etica universale, per l'uguaglianza, per l'abbattimento dei filtri all'informazione diffusa.
Ogni inizio segna una fine. Oggi terminano in Italia gli anni Ottanta e Novanta e Zero Zero - compiendo quella trasformazione che ha in piazza Alimonda a Genova il cominciamento autentico e sanguinario di questo inizio.» (Giuseppe Genna)
1
Giovanni Mazzocchi fu l’editore che assecondò l’idea di Giò Ponti (1928) di creare una rivista internazionale di architettura finanziandola dal 1929, la rivista era Domus.
Mazzocchi aveva in mente di cambiare direttore ogni tre anni per aumentare la sua autorevolezza transnazionale, Flavio Albanese ricorda:

«C’è una logica in tutto questo: Domus (ndr cambiando spesso direttore) riceve nuove energie mantenendo il suo prestigio internazionale proprio legandosi al nome dei direttori, figure professionali che già tengono la scena ma che diventano più importanti e acquistano peso proprio grazie alla rivista.»2
Nel suo terzo numero (948 - giugno 2011) il neo direttore Joseph Grima nel suo editoriale introduce una voce editata su Wikipedia Open Source Architecture, un concetto3 che rispettando la struttura Wiki non è stato elaborato da un solo autore ed è destinato a mutare.


Grima per stilare il neologismo si è rivolto a Paola Antonelli, Adam Bly, Lucas Dietrich, Dan Hill, John Habraken, Alex Haw, John Maeda, Nicholas Negroponte, Hans Ulrich Obrist, Carlo Ratti, Casey Reas, Marco Santambrogio, Mark Shepard, Chiara Somajni e Bruce Sterling dando un’identità a un'idea che stiamo elaborando e che non avevamo ancora definito. 
L’open source architecture non indica uno stile architettonico, non è manuale da impartire nelle accademiche ma «una sorta di manifesto del ventunesimo secolo»4 che sintetizza i processi ‘condivisi’ e ‘inclusivi’ che incidono concretamente nel risolvere o evidenziare problemi collettivi che siano essi software o brani di città:
«Se gli edifici e le città di domani saranno come dei 'computer in cui vivere' (con le dovute scuse a Le Corbusier), OSArc (ndr acronino di open source architecture) offre una struttura aperta e di collaborazione per la scrittura del loro sistema operativo.»5 
Una voce perfettibile Wiki che può essere migliorata da chiunque. Mi sono permesso di creare (grazie l’aiuto di un anonimo wikipediano) il suo omologo in italiano: Architettura open source. Buona rielaborazione. 

Nella prossima intervista parlerò di riviste Web e di critica con il direttore di archphoto Emanuele Piccardo. 

5 luglio 2011

Intersezioni ---> MONDOBLOG

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Note:

1Giuseppe Genna, #notav: Il giorno che l'Italia venne giù, Carmilla, 4 luglio 2011. Link
2 Nino Sunseri, Intervista a Flavio Albanese (ndr direttore di Domus dal 2007 al 2010). Il nuovo direttore di Domus, Prima comunicazione, n. 372, aprile 2007. Link
3Vorrei sottolineare che anche la rivista Lotus tratta questi temi nel suo ultimo numero 145 dal titolo ‘Activism in Architecutre’: risolvere un problema comune è diventato un tema, paradossalmente, innovativo.
4 Joseph Grima, Editoriale, Domus, n. 948, giugno 2011, p. I.
5 AA. VV., Open Source Architecture, Domus, n. 948, giugno 2011, p. II

L'immagine è una scansione parziale del ritratto collettivo degli autori di open source architecture di Pietro Leoni dello studio Carlo Ratti associati.