22 marzo 2010

0009 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Polonia ---> Italia con Aleksandra Jaeschke

di Salvatore D’Agostino

Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.

La corruzione dell'identità multipla in un’Italia che ama architettonicamente il calcistico 'catenaccio'. Una formazione europea, l'architettura come network e l'Italia vista e costruita giocando.









Salvatore D’Agostino Aleksandra Jaeschke di anni..., originaria di..., migrante a ..., qual è il tuo mestiere?

Aleksandra Jaeschke

età: 33 anni;

originaria di: Stalowa Wola (Polonia) anche se sono stata sempre migrante e questo ha tanta importanza. Direi che la mia città di origine è Poznan ci sono andata al liceo e ci torno per trovare i miei genitori ma non ci abito da 15 anni;

migrante: a Siracusa prima sono stata a Varsavia, poi a Londra e Barcellona;
qual è il tuo mestiere: architetto.

Qual è stata la tua formazione? 

Al penultimo anno di liceo ho cominciato a prepararmi per entrare in una facoltà di architettura. Volevo però andare a studiare all'estero. Cercando delle borse di studio ho trovato un concorso per studiare grafica a Londra in un college americano. Ho deciso di partecipare anche se non era quello che volevo fare. Ho vinto il concorso ma ho deciso comunque d'iscrivermi in una facoltà di architettura in Polonia per poter tornare in qualsiasi momento.

Mentre mi preparavo per Londra, frequentavo i corsi a Varsavia. Questi tre mesi passati nella facoltà mi hanno fatto capire il sistema dell’insegnamento polacco - secondo me molto vicino alle scuole italiane -. Non ero molto entusiasta, eravamo in troppi e i corsi erano molto teorici e poco sperimentali. Non si giocava. Così sono partita per Londra. Ho frequentato il college americano per due anni per ottenere una piccola laurea “Bachelor of Arts in Visual Communication”. La scuola non era molto stimolante ma ho conosciuto degli insegnanti che mi hanno fatto capire come muovermi a Londra, aiutandomi a crescere. Uno di questi professori mi ha fatto scoprire l’Architectural Association (AA) e mi ha aiutato a ottenere una borsa di studio. Passati gli esami sono entrata al primo anno (mentre completavo ancora l’altro corso), se ricordo bene era il 1999.

La AA mi ha cambiata e ha cambiato il mio modo di pensare l’architettura. Anzi, “mi ha imposto il suo” - un concetto fortemente anglosassone e sperimentale. La cosa incredibile della AA è che in questa scuola si gioca ma si gioca sul serio.
Durante i miei primi tre anni alla AA ho lavorato part-time per uno grosso studio americano Gensler. Questo mi ha permesso di scoprire il mondo della professione, il mondo reale, direi iper-reale.
Al secondo anno ho vinto una borsa di studio grazie alla quale ho passato un mese alla British Academy in Rome. Questo è stato il mio primo soggiorno in Italia.

Mi sono laureata nel 2005. Il periodo della tesi è stato molto duro ma anche il più importante per la mia formazione. Si potrebbe dire che in questi due anni sono diventata l’architetto che sono adesso.
Dopo la laurea ho tentato di avviare uno studio di architettura con Andrea Di Stefano e altri due architetti, tutti laureati alla AA. Abbiamo lavorato insieme a diversi concorsi per sei mesi. Durante questo periodo abbiamo capito che non volevamo rimanere a Londra e ci siamo trasferiti come studio ACAB a Barcellona (aprile 2006-marzo 2007). Durante il soggiorno a Barcellona sono stata invitata a far parte di OCEAN (prima Ocean North) un network internazionale per la ricerca nel campo di architettura. Nel frattempo il gruppo ACAB si è sciolto.
Dopo questa esperienza sono venuta a Siracusa per partecipare al concorso Europan 9, edizione del 2007. Siracusa era una delle città partecipanti poiché insieme a Andrea Di Stefano avevamo già lavorato sulla stessa zona precedentemente, abbiamo deciso di partecipare.

Finito il concorso ci siamo dedicati alle attività di ricerca di OCEAN. Abbiamo fatto mostre, istallazioni, workshop e progetti insieme ad altri membri del network. Questo ha comportato tanti viaggi.
Nel 2008 insieme a Andrea Di Stefano abbiamo aperto lo Studio Aion
Ufficialmente lo studio esiste dall’aprile 2008 anche se AION è un nome che usiamo per le nostre attività di ricerca dal 2002.

Hai lavorato per il più grosso studio di architettura nel mondo 'Gensler' un’azienda con un organico con più di 1200 architetti. In Italia non c'è uno studio così strutturato tra i primi 50 in Europa. Ci puoi parlare di questa esperienza? 

È stata un'esperienza relativamente poco importante per la mia formazione. Ho visto come funziona un’azienda ben strutturata e dove si ha accesso a tutte le consulenze immaginabili. Ho imparato cosa significa la professionalità e come si organizza lo studio per renderlo molto produttivo. Sfortunatamente ho partecipato poco allo sviluppo dei progetti visto che ero ancora all'inizio della mia formazione. Comunque la mia impressione è che allo studio mancava la coerenza architettonica che normalmente si sviluppa intorno ad una e diverse figure di riferimento - Gensler non ha l’impronta di un architetto fondatore - per questo la chiamo un’azienda.

Del tuo racconto mi ha colpito un verbo ‘giocare’ che usi due volte, raccontando della tua esperienza all'interno dell’università polacca dove «Non si giocava» e della formazione all'AA dove: «in questa scuola si gioca ma si gioca sul serio». 
Che cosa intendi per gioco? 

Per gioco intendo un approccio alla progettazione che fa parte integrante del modello d'insegnamento anglosassone.
La scuola che ho fatto è impostata intorno ai laboratori di progettazione. Normalmente durante l'anno si fa un progetto solo. Il lavoro comporta tantissimi sperimenti – si fanno disegni, plastici, film, happening, interviste, diagrammi. Tutto quello che può aiutare a osservare, interpretare e canalizzare i processi in corso, per capire i materiali con cui si lavora. Si fanno tantissime cose che sembrano assurde e slegate dall'architettura per trovare nuovi modelli, nuove modalità di leggere e di trasformare lo spazio. La domanda che viene posta è: “Come funziona?” piuttosto che “Cos'è?”
Bisogna affrontare le cose con la mente di un bambino che vede le cose per la prima volta per poi smontarle e rimontarle in un modo diverso. La libertà' e spregiudicatezza con cui si fanno le cose ne fa un gioco ma è un gioco serio perché deve diventare un sistema di relazioni rigoroso, un modello ad alta prestazione.
Alla fine dell'anno si deve difendere il lavoro di fronte ad una giuria dei professori per poter passare all'anno successivo. Questo ne fa un gioco molto serio :-)

Com'è organizzato Ocean e che cosa intendi per network internazionale? 

Ocean è un organizzazione non profit che si dedica alla ricerca nel campo di architettura, urbanistica, design e altre discipline legate all'ambiente e allo spazio. Raggruppa diversi professionisti, non solo architetti. I membri del gruppo lavorano insieme su progetti di ricerca, spesso attraverso università affiliate, organizzano workshop, mostre e pubblicazioni. Lavorare in una rete di liberi professionisti e accademici ha un enorme potenziale perché connette delle competenze e dei modi di lavorare che provengono da diversi ambienti che normalmente non si incrociano. Ognuno porta con se non solo il suo bagaglio culturale e professionale ma anche l'accesso a delle competenze e conoscenze diverse.
Il modo in cui si svolge il lavoro di questa rete dipende dal progetto. Alcune volte abbiamo dovuto spostarci per poter lavorare insieme nello stesso posto (questo funziona meglio per i progetti di breve durata, per esempio concorsi). Altre volte abbiamo lavorato tramite internet, ogni tanto organizzando delle video conferenze per poter discutere lo sviluppo del progetto. Nella maggior parte dei casi c'è una persona o un gruppo che propone un progetto e poi si occupa della sua gestione e gli altri contribuiscono in una maniera mirata – lavorando su un aspetto specifico del progetto, su richiesta del responsabile del gruppo.

Il gruppo non è gerarchico, tutti possono proporre delle attività e essere il capogruppo di un progetto. La struttura che esiste all'interno della rete serve solo per facilitare l'amministrazione.
Io ho partecipato alle attività del gruppo per due anni, lavorando, per esempio, sul concorso per la nuova biblioteca di Praga (New Czech National Library in Prague, OCEAN NORTH and Scheffler + Partner, 2006), un'istallazione a Oslo (Barely - Sound-Active Installation, 2007), una mostra a Orleans (OCEAN - Conception Performative, FRAC Centre, Orleans, 2008) e alcuni workshop.

Il tuo ultimo progetto?

Una casa unifamiliare. Nel progetto tutto scaturisce dal semplice atto di impilare e slittare le travi in legno lamellare. Abbiamo cercato di limitare uso di acciaio, inserendo il minimo necessario all'interno dello spessore di legno.
La sezione delle travi, ridondante dal punto di vista strutturale, permette il controllo di altre dinamiche: condizioni termiche, problemi legati all'usura del materiale, l'umidità o l'acustica. Le pareti laterali vengono bucherellate in una maniera apparentemente casuale ma il sistema rispetta rigorosamente le esigenze luminose.
Questo stabilisce uno stretto legame tra la struttura, il materiale e le condizioni interne – nella sua semplicità volumetrica e funzionale la casa stabilisce dei rapporti specifici con il suo ambiente - una monade che assorbe il mondo esterno per capire meglio vedi qui.

L'undici settembre 2005 sul Corriere della Sera è stata pubblicata una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica (ndr in quel periodo era Carlo Azeglio Ciampi) firmato da 35 architetti italiani ti riporto l’incipit:
«L'architettura italiana attraversa una situazione drammatica. Mentre in altre nazioni europee, in particolare in Francia, in Germania, in Spagna, negli ultimi decenni sono state realizzate grandi opere di interesse sociale che hanno trasformato sensibilmente l'ambiente urbano mettendo a disposizione dei cittadini nuovi servizi che esprimono lo spirito del nostro tempo, in Italia iniziative del genere si contano sulle dita, mancano di una meditata programmazione e si devono quasi sempre all'intervento di architetti stranieri. Nel riconoscere il carattere positivo dell'apporto di forze culturali esterne non si può fare a meno di notare che una delle ragioni della preferenza loro accordata si deve alle realizzazioni compiute, realizzazioni per le quali in Italia sono mancate le premesse concrete, con la conseguenza di aver privato gli architetti italiani di quelle occasioni di lavoro che avrebbero permesso loro di offrire un contributo originale all'attuale stagione di rinnovamento della architettura.»1
In Italia non si fa ricerca. Agli architetti manca un metodo coerente con i tempi. Manca un rinnovamento nell'ambito universitario.
Gli architetti italiani non dovrebbero essere allarmati perché gli stranieri gli rubino il lavoro ma perché il loro lavoro venga svolto da altri professionisti ad un prezzo ribassato e in una maniera mutilata. Servirebbero dei cambiamenti nella legislazione. La professione si è impoverita anche perché è scomparsa dalla scena politica. Nei programmi dei partiti politici non si parla mai della città come potenziale ambito di rinnovo sociale. Non si parla dell'ecologia urbana. Manca un rinnovamento politico. Io mi auguro più stranieri in Italia e più italiani all'estero. Una contaminazione creativa e produttiva.

L'ultima domanda è contenuta in questa foto:
Interno Duomo di Siracusa foto di Salvatore Gozzo










Una grande lezione di architettura. Un giusto equilibrio tra il rispetto che uno porta per il passato e quello che ha per il futuro. Magnifico modo di operare sulla storia senza scordarci delle necessità di oggi. Sarebbe bello poter pensare che questo processo non sia finito e che questo edificio possa mutare con i tempi. Ci vorrà rispetto, coraggio e tanta spregiudicatezza.

22 marzo 2010
Intersezioni ---> Fuga di cervelli
__________________________________________
Note:
1 L'appello degli architetti italiani, Corriere della Sera, 11 settembre 2005. (Qui per capire)

17 commenti:

  1. non posso che confermare quanto scritto nell'intervista e da me sempre sostenuto.. l'architettura, il movimento, la scuola di architettura italiana deve partire dall'università e si deve sviluppare attraverso la ricerca..
    un altro passo che mi colpisce è anche questo:

    "Gli architetti italiani non dovrebbero essere allarmati perché gli stranieri gli rubino il lavoro ma perché il loro lavoro venga svolto da altri professionisti ad un prezzo ribassato e in una maniera mutilata. Servirebbero dei cambiamenti nella legislazione."

    RispondiElimina
  2. Le problematiche dell'italia sono gestite da dinamiche complesse e inestricabili e si intrecciano con numerosi aspetti della realtà italiana. Tanto per cominciare nella scarsità di fondi nella scala dei valori l'architettura non può scavalcare la sanità quindi l'architettura esce dai programmi politici. Il problema principale della facoltà di architettura è...che non ci sono soldi. Si va avanti praticamente sul volontariato delle persone (assistenti e professori) che lavorano in condizioni difficilissime dove tra regole e regolette bisogna far passare l'architettura. Solo un italiano ci può riuscire e solo uno studente italiano riesce a crescere nonostante tutto. L'impreparazione degli studenti ERASMUS è leggendaria nella nostra facoltà. Meri produttori del pupazzi da vendere al mercatino delle pulci.

    La nostra verità è che i VOSTRI PROGETTI SPERIMENTALI GIOCANO TROPPO E TROPPO SERIAMENTE. UN GIOCO è UN GIOCO. PUNTO. I progetti esteri qui in italia sono MOSCI, gli sperimentalismi affogano nel fogliame della mancata pulizia, nelle cacche di piccione sui panelli solari, nei giardini in cui cresce la cicoria, nel traffico che ingorga irrimediabilmente le strade, nel sistema dei trasporti pubblici insufficiente, nel mancato presidio delle forze di polizia del territorio con annessa delinquenza, nell'incuria di una popolazione ridotta all'alfabetismo latente e nel difficile rapporto con la storia che bene o male è sentito, anche se in modo distorto, da tutti gli italiani, . Il vostro STILE si nutre della possibilità di disporre di soldi e fruitori colti in grado di apprezzare il vostro lavoro, riducendo l'architetto spesso a mero artista.

    [...]"Si fanno tantissime cose che sembrano assurde e slegate dall'architettura per trovare nuovi modelli, nuove modalità di leggere e di trasformare lo spazio."[...] Aleksandra Jaeschke

    ECCO APPUNTO CERCARE LA NOVITA' E' LA COSA PIU' VECCHIA CHE CI SIA. IL METODO ANGLOSASSONE E' SOLO TEORICO.

    [...]"Io mi auguro più stranieri in Italia e più Italiani all'estero. Una contaminazione creativa e produttiva."[...]

    Dovreste imparare da noi come si fa l'architettura che risolve i problemi ne uscireste arricchiti e smettereste di produrre bei pupazzi. Che non si fraintenda, usare come bambini fantasia, invenzione, creatività e immaginazione non esula dal nostro lavoro tanto meno sperimentare (vedi Munari). Solo (alcuni) architetti italiani nelle SOLUZIONI SEMPLICI HANNO TROVATO LA GRANDEZZA DELLA PERFEZIONE. SOLUZIONI CHE NON TROVANO POSTO NELLA CARTA PATINATA DELLE RIVISTE MA CHE FANNO L'UNICA COSA CHE COMPETE ALL'ARCHITETTURA: FARSI TEATRO PER LA VITA PERCHE' LA VITA SE NE APPROPRI.
    Noi da voi vogliamo solo i soldi.

    Salvatore, scusami se smetti di bacchettarci sulle mani scoprirai che l'architettura che è riuscita a farsi strada in italia è : TOSTA E INCAZZATA.

    RispondiElimina
  3. ---> anonimo,
    rispondo volentieri al tuo commento.
    Di solito evito di pubblicare commenti ‘anonimi’ quindi, aspetto un tuo commento ‘firmato’ altrimenti, rischiamo di parlare a ‘vuoto’.
    Buona giornata,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  4. "Gli architetti italiani non dovrebbero essere allarmati perché gli stranieri gli rubino il lavoro ma perché il loro lavoro venga svolto da altri professionisti ad un prezzo ribassato e in una maniera mutilata"
    Esatto, è quello che penso anch'io.
    Incominciamo a farci sentire però...non abbassarci a lavorare comunque a qualsiasi condizione: così si perde e basta.
    Matteo

    RispondiElimina
  5. Condivido con l'anonimo alcune cose: c'è tanta archittura fighetta da rivista all'estero e poca da noi, questa forse non è una perdita... Però è anche vero che c'è poca architettura di grande qualità, seppure umile e al servizio del "teatro della vita". Secondo il mio umile giudizio c'è sì a monte una insensibilità degli italiani verso il costriuito che li circonda, ma anche tanta mancanza di professionalità e passione negli architetti ingegneri geometri che hanno fatto e fanno i progetti che si realizzano davvero. E' in loro che c'è aridità e insensibilità per primi!

    RispondiElimina
  6. Ho bellissimi ricordi di Poznan. Amici che abitavano nell'incredibile quartiere chiamato "Osiedle Orla Bialego" (Rione Aquila Bianca), il gelido capodanno del '97 (-28°C!) trascorso cantando O Sole Mio fuori dal finestrino di una "Maluch" (la 126 P), con la bottiglia di Zubrowka sempre ben in mano.
    E, naturalmente, la città. Uno dei pochissimi esempi in cui l'antico (cioè il centro con la meravigliosa piazza Rynek) si sposa perfettamente con il socialista (l'Aquila Bianca) e con il moderno (il nuovo centro commerciale).
    Vi invito davvero a visitarla, architetti!
    Signora Ola, non posso fare a meno di pensare che, con un esempio di città così sotto gli occhi, Lei sia diventata così brava.
    Ciò che purtroppo manca in Italia dove, di fianco ad un antico a dir poco meraviglioso, abbiamo un moderno quasi sempre orripilante (a parte le doverose eccezioni), tale per cui ancor oggi un edificio del '700 vale molto di più di uno del secolo scorso.
    Saluti.
    Vil Geometra.

    RispondiElimina
  7. Per fortuna esistono casi eccellenti come Aleks e AION, dove la ricerca ha scansato il gioco per ottenre dei risultati elevati.
    non capisco tuttavia la rabbia del commento "anonimo" che sfoga una specie di invidia verso "i soldi ed i fruitori colti in grado di apprezzare il lavoro".
    accetto appieno la definizione di architettura come "teatro per la vita perchè la vita se ne appropri", quindi l'architettura come scenario della quotidianità che standoti accanto fisicamente diffonde benessere.
    il commentatore anonimo invita AION a smettere di disegnare bei pupazzi; a mio avviso sbaglia!!!
    L'invito corretto dovrebbe essere quello di trasformare i loro stupendi disegni in ARCHITETTURA.....quella reale...che esiste fisicamente!!!
    forse soltanto dopo aver superato il "PURGATORIO" degli uffici tecnici, delle sovrintendenze, asl, vigili del fuoco e burocrazie varie e soprattutto CANTIERI, imprese, fornitori, SAL, certificati di conformità ed il malloppo delle responsabilità annesse, pagati quanto basta per coprire a stento il mutuo a fine mese... i fantastici disegni di AION, se realizzati come ideati, potranno essere ritenuti ARCHITETTURA.
    Con l'augurio che anche noi architetti, ingegneri e geometri che elaboriamo "soluzioni semplici...che non trovano posto nella carta patinata" possiamo trovare il nostro fruitore colto che apprezzi i nostri giochi!!!!
    arch. Ciccio Minniti

    RispondiElimina
  8. ---> Nicolò,
    a proposito di università leggevo alcune riflessioni di Toyo Ito sull’università giapponese (libro ‘Istruzione per l’uso’) molto sconfortanti.
    Osservava lo scollamento tra il dire e il fare dell’architettura.
    L’università giapponese ricca di procedimenti burocratici non riusciva più a formare le nuove generazioni.
    Il sistema italiano non è semplicemente impantanato nelle pastoie ‘gerarchiche’ universitarie ma anche in un sistema legislativo, culturale e soprattutto economico un po’ avvilente.
    Bisogna trovare una nuova strategia.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  9. ---> Anonimo ,
    Goffredo Fofi conclude la sua recensione del libro di Roberto Alajmo ‘l’arte di annacarsi’ così: «Palermo e Napoli, due amori difficili. «In fondo, Sicilia e Campania sono figlie entrambe dello stesso Stato assistenziale, caratterizzato dall’essere allo stesso tempo troppo e troppo poco presente. Lo Stato si comporta col Meridione come quel genitore che per farsi perdonare le proprie assenze compra un sacco di regali al figlio, e si sorprende quando poi scopre che il figlio è cresciuto male, diventando un delinquente. Allora gli dà uno schiaffo, e si sorprende ancora di più quando il figlio glielo restituisce, lo schiaffo. Ecco, Palermo e Napoli sono figlie dello stesso padre. Solo che questo padre ormai ha rinunciato a provarci, coi ceffoni. Un trattamento che riserva solo ai figli degli altri», cioè agli immigrati».
    Link: http://www.facebook.com/notes/mario-perrotta/per-carita-non-facciamo-una-new-laquila-repubblica-9-aprile-2009/381079778489#!/photo.php?pid=30889106&id=1543884450

    Io vivo nel profondo Sud e capisco perfettamente il tuo pensiero.
    L’Italia è un paese dove l’architettura va mediata con l’arte dell’arrangiarsi o meglio della sopravvivenza.
    L’architetto ‘italiano’ ogni giorno lavora nella totale assenza di regole ‘democratiche’ (vige la regola delle relazioni che contano) e rispetto delle qualità lavorative (vige la regola della soluzione tecnica più furba).
    Sono altresì convinto che la critica italiana deve armarsi di santa pazienza e cercare meglio gli architetti resistenti, come li abbiamo definiti nell’inchiesta OLTRE IL SENSO DEL LUOGO
    Ovvero l’architettura di resistenza.
    Nel mio piccolo ne ho parlato su ‘Andy Magazine ‘Periferia, degrado e abusivismo’ citando i lavori di: studio Albori, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Beniamino Servino, Critical garden.
    Ciò che non condivido è l’idea latente di dover accettare supinamente questo ‘sfascio’, Goffredo Fofi lucidamente c’invita a una maggiore consapevolezza. come credo abbia fatto Aleksandra Jaeschke.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  10. ---> Matteo,
    “così si perde e basta” ne sono convinto anch’io.
    Occorre pensare a nuove strategie ma soprattutto non aver fiducia nelle vecchie strategie, non c’è architetto, ingegnere e geometra che non ti dice:”È così che ci vuoi fare”.
    Io ci voglio fare, preferisco vivere male che fare cose senza senso o ‘all’italiana’.
    Come?
    Nel lavoro quotidiano e iniziando a dar voce a chi ci sa fare.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  11. ---> Emanuele Papa,
    non vorrei essere categorico ma l’insensibilità verso il costruito deriva dalla mancanza di cultura storica dell’architettura.
    Difficilmente un normale cittadino saprebbe distinguere le epoche storiche delle facciate della propria città.
    L’italiano sembra avere una doppia personalità spaziale, la roba (la propria casa) e la non roba (oltre la propria casa).
    La prima sensibilità spaziale viene curata la seconda viene declamata nelle orazioni pubbliche ‘viviamo in un paese di…, la colpa non è la mia ma degl’altri.
    Come si diceva in altri post o commenti: c’è da ricostruire -fisicamente e culturalmente - quest’Italia distrutta dal dopo-dopo guerra.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  12. ---> Vil Geometra,
    una domanda: ma siamo proprio sicuri che la grammatica architettonica dell’antico sia sempre impeccabile?
    Io credo che spesso edifici antichi ma banali siamo elevati a forma di ‘arte architettonica’.
    Non siamo forse un po’ misoneisti?
    Régis Debray diceva: “Non siamo mai completamente contemporanei nel nostro presente”.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    P.S.: interessanti i tuoi ricordi

    RispondiElimina
  13. ---> Ciccio Minniti,
    occorre intendere la parola gioco come ‘attrezzo concettuale’ importante per un certo modo di concepire l’architettura.
    Ci sono diversi gradi per leggere l’architettura spetta alle riviste patinate il grado di massima eccellenza, non credi?
    Sono convinto che gli altri gradi possono trovare spazio in ‘sensori’ diversi e che sia finito il tempo delle continue lamentele.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  14. No, Salvatore,
    non tutto ciò che è antico è meritorio di essere salvato o glorificato. Ne sanno davvero qualcosa proprio i Polacchi, i quali hanno ricostruito il centro della loro Varsavia.

    http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=ulica+piwna,+warszawa&sll=52.229676,21.012229&sspn=0.333092,1.055374&g=varsavia&ie=UTF8&hq=ulica+piwna,&hnear=Varsavia,+Polonia&t=h&z=16

    Ricordo che Varsavia nel 1945 era completamente distrutta dai tedeschi: basandosi sulle fotografie e sui quadri del Canaletto i Polacchi in 5 o 6 anni ne hanno rifatto il centro. Architettura antica solo esternamente, nuova nelle strutture (ovvio che ora, a distanza di oltre 60 anni, sono vecchie anche quelle). Non tutto, certo, gli è venuto bene, ma se non altro hanno evitato una seconda Konigsberg (che adesso si chiama Kaliningrad).

    (http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=kaliningrad&sll=52.248887,21.01246&sspn=0.010405,0.03298&ie=UTF8&hq=&hnear=Russia,+Oblast'+di+Kaliningrad,+Kaliningrad&t=h&z=11)

    Ti sembra poco? Se vai a Kaliningrad, adesso, trovi solo cemento, degardo e mancanza di anima: al confronto, Librino ti fa sentire a tuo agio...

    Non ce l'ho con le città nuove: adoro Povazska Bystrica in Slovacchia

    http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=povazska+bystrica&sll=54.711595,20.509972&sspn=0.314163,1.055374&ie=UTF8&hq=&hnear=Pova%C5%BEsk%C3%A1+Bystrica,+Slovacchia&t=h&z=12

    perchè tutta nuova! Non c'era niente, prima della costruzione di quella città. Quindi le idee nuove, l'urbanistica socialista, si è ben sposata con lo stile altrettanto socialista. Nuovo, quindi, ma organico. Nessuna architettura nuova, quindi, su un impianto urbanistico antico, che normalmente si traduce in disastri urbani.

    Ci sono però alcuni luoghi, in Europa, dove il nuovo nell'antico è una splendida realizzazione, un'eccezione quindi rispetto alle regole. Poznan è una di quelle eccezioni, ma potrei citare Bilbao, Norimberga, Nizza e, in parte sì in parte no, anche Berlino.

    Saluti.

    Vil Geometra.

    RispondiElimina
  15. Grazie per i vostri commenti.

    Non penso di aver detto delle cose nuove per quanto riguarda la situazione degli architetti italiani. Sapete tutti meglio di me quanto e' difficile fare il nostro mestiere qui in Italia. Siamo in tanti e il nostro valore dal punto di vista sociale e' basso. Gli italiani non stimano gli architetti. Certo le atrocità del dopoguerra non giocano al nostro favore... si preferisce ormai percepire l'architettura come design, arredamento e decoro. Cosi' forse fa meno paura...

    Qui voglio dire una cosa importantissima: per me l'architettura non e' design. Architettura e' molto più complessa e mi piace pensarla come organizzazione dei flussi di materia e energia. In questo senso LA SPERIMENTAZIONE (scordiamoci la parola GIOCO che ho usato riferendomi all'università e che mi rendo conto non ha senso nel contesto italiano) non riguarda un oggetto architettonico ma un'organizzazione della vita' – l'organizzazione dei flussi, delle funzioni e dei materiali... Non capisco perché la sperimentazione deve essere subito associata agli edifici delle riviste patinate? Chi ha detto che non si può sperimentare nell'ambito dell'organizzazione delle funzioni, dei flussi delle persone usando un linguaggio architettonico molto semplice? Come spesso fanno gli olandesi... Smettiamo di parlare dello stile e del linguaggio!!! Parliamo dell'organizzazione!
    Perché non avviare una sperimentazione che prende in considerazione la specificità del contesto italiano? Un contesto ovviamente molto diverso da quello olandese o inglese … molto piu' complicato e difficile...

    Sperimentare, cercare di far emergere delle nuove soluzioni non significa un'ossessione per la novità formale. La lingua italiana non offre una traduzione giusta alla parola inglese “novelty” che ha un significato molto più ampio e ricco di un semplice “latest” nel senso delle tendenze e mode.

    Un'altra cosa... Non penso che possiamo chiedere all'architettura di risolvere tutti i problemi politici e sociali. Forse siamo noi architetti ad attribuire troppa importanza al nostro mestiere... Io credo che noi possiamo e dobbiamo impegnarci a creare delle condizioni (quando ci viene data la possibilità) che favoriscono un CREATIVO teatro della vità... ma se la regia o gli attori sono scarsi...


    PS. Munari era un grande maestro... ma mi sembra che non venga abbastanza letto dagli studenti italiani di oggi...giocava troppo?

    Aleks

    RispondiElimina
  16. ---> Vil geometra,
    interessante e appassionato il tuo racconto ‘urbano’.
    Io ho un limite non riesco a leggere la città per congelamento storico osservo la sua stratificazione.
    In Italia ci siamo dimenticati di stratificare la storia.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  17. Aleks,
    io non cambierei la parola gioco poiché si capiva benissimo il tuo intento.

    Prima di ritornare su questa parola mi piace riprendere due tue affermazioni:
    1) «Certo le atrocità del dopoguerra non giocano al nostro favore... si preferisce ormai percepire l'architettura come design, arredamento e decoro. Cosi' forse fa meno paura... »

    2) «Un'altra cosa... Non penso che possiamo chiedere all'architettura di risolvere tutti i problemi politici e sociali. Forse siamo noi architetti ad attribuire troppa importanza al nostro mestiere... Io credo che noi possiamo e dobbiamo impegnarci a creare delle condizioni (quando ci viene data la possibilità) che favoriscono un CREATIVO teatro della vità... ma se la regia o gli attori sono scarsi... »

    Sul primo punto non avevo mai riflettuto sulla paura italiana e la sua tendenza al gioco del ‘design’ e non al gioco ‘dell’architettura’.
    A dir la verità c’è stata una forte spinta alla sperimentazione in Italia tra gli anni 60’ e i 70’ con Pierluigi Nervi, Sergio Musmeci (il ponte sul Basento credo che anticipi le idee di Cecil Balmond), Superstudio e gli Archizoom duetteranno con grande vigore con gli Archigramm, l’architettura radicale di Gianni Petenna, UFO, Pianeta fresco, Ugo la Pietra…, il primo Renzo Piano con il Beaubourg spiana la strada all’architettura ‘iconica’ e soprattutto le architetture mai realizzate (sigh!) di Maurizio Sacripanti che anticipa gli OMA ma tutto ciò è stato accantonato a favore di un’architettura postmoderna edulcorata e mielosa che ancora fa convegni nelle aule delle università italiane.
    Un’accademica poco sperimentale che ha preferito abbandonare la fatica ei cantieri per produrre il ‘nulla’.
    Il tuo secondo punto pone un’altra riflessione interessante per molto tempo alcuni architetti progressisti hanno pensato all’architettura come cura sbagliando notevolmente ‘politica’, creando un cortocircuito che ancora oggi possiamo leggere nelle cronache dei giornali dove vengono sviscerati le opere degli architetti ‘IN’ e trascurati le soventi opere degli architetti ‘speculativi’.
    Una tragedia molto italiana, Zevi nel suo ‘Saper vedere l’architettura’ diceva: «La cultura degli architetti moderni è troppo spesso legata alla loro cronaca polemica».
    Il moderno italiano è un pasticcio poiché si è trasposto il linguaggio delle architetture in muratura sulle costruzioni in cemento armato.

    Riprendo la nozione di Gioco parlando di Bruno Munari hai ragione gli architetti italiani sconoscono le sue opere.
    Munari come gli architetti sopracitati è stato messo da parte era considerato un perditempo.
    Nel 67 scriveva: «Molti artisti di arti visuali, pittori, disegnatori, ecc., hanno il terrore delle macchine. Non ne vogliono nemmeno sentir parlare: credono infatti che le macchine, un bel giorno, potranno fare delle opere d'arte e si sentono già disoccupati. Anche un celebre critico qualche tempo fa, a proposito di arte programmata, ha scritto su un grosso quotidiano italiano questo grande interrogativo: avremo l'arte delle macchine? Frase che denota solo l'ignoranza del problema, poiché è come dire avremo l'arte del pennello? o della matita? È effettivamente triste vedere una buona cultura classica accoppiata a una completa ignoranza della cultura moderna, di oggi, adesso, qui».
    Purtroppo molta accademia e molti professionisti ancora si pongono questa domanda.
    Concludo citandoti una poesia di Bruno Munari del 1945 tratta dal suo libro capolavoro ‘Codice ovvio’:
    ARTE E CONFINI

    In italia l’arte ha da essere italiana
    in polonia polacca
    in turchia turca
    e se un turco va a dipingere in polonia
    che arte ha da fare?
    e se la polonia occupa la turchia?

    in italia arte italiana
    e a un metro e ottanta dal confine francese?

    in italia arte italiana
    in sicilia siciliana
    in piemonte piemontese
    a milano milanese
    e in corso garibaldi 89?

    in italia l’arte ha da essere arte
    in polonia arte
    l’etichetta verrà dopo

    Saluti e buon gioco (lascia perdere i semantici piagnucoloni),
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina

Due note per i commenti (direi due limiti di blogspot):

1) Il commento non deve superare 4096 caratteri comprensivi di spazio. In caso contrario dividi in più parti il commento. Wilfing architettura non si pone nessun limite.

2) I link non sono tradotti come riferimento esterno ma per blogspot equivalgono a delle semplici parole quindi utilizza il codice HTML qui un esempio.